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Manutenzione della mente: è necessario lasciarla libera e riconoscere la nostra parte grezza

di GERALDINA FIECHTER -
18 aprile 2022
manutenzione mentale

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Anche la mente ha bisogno di manutenzione. State pensando a un libretto d’istruzioni? A qualche consiglio pratico tipo esercizi ginnici? Sbagliato. Per riportare la nostra mente a uno stato di salute bisogna lasciarla libera. Almeno per un po’. Bisogna fare come con i campi lasciati “a maggese” - così si dice in agricoltura - lasciarli cioè inoperosi e in pace fino a quando saranno pronti per ospitare nuovi semi.

I prigioni di Michelangelo

I Prigioni, Michelangelo. Un gruppo di sei statue eseguite per la tomba di Giulio II: quattro di esse, databili al 1525-1530 circa, sono vistosamente "non-finiti" e sono conservate nella Galleria dell'Accademia a Firenze, vicino al David.

È questo equilibrio fra rumore e silenzio, fra vuoto e pieno, fra materia grezza e materia finita, a tenerci sani di mente. E per spiegarlo lo psichiatra e psicanalista Stefano Calamandrei è partito da I Prigioni di Michelangelo, incantando il pubblico del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio chiamato a raccolta dall’Associazione Itaca, che da anni si occupa dei disagi della mente e che al post-pandemia ha dedicato una giornata di studi. Ci sono molte interpretazioni sul motivo per cui Michelangelo lasciò parte del marmo grezzo, intatto, a contrasto con la parte scolpita e finita. Può esserci un significato religioso (la materia grezza rappresenterebbe l’uomo imprigionato nel peccato originale poi liberato e forgiato dalla dottrina cattolica), altri hanno pensato a una sfida ai colleghi rivali dimostrando la sua libertà dai vincoli imposti dai committenti, ma forse simboleggiano e raccontano l’idea che Michelangelo aveva della scultura: togliere il superfluo per lasciare che la statua esca dal marmo seguendo l’idea originaria.
I Prigioni, Michelangelo

I Prigioni, Michelangelo. Due di essi, del 1513 circa, sono pressoché finiti e si trovano oggi al Louvre a Parigi, mentre gli altri

Il rapporto tra età adulta e inconscio

Per il professor Calamandrei quelle meravigliose opere d’arte sono il simbolo del rapporto che ognuno di noi deve tenere vivo fra l’identità adulta e la parte indefinita, infantile, non dominata dalla ragione, alla quale dovremmo sempre, saltuariamente, abbandonarci. “C’è un lato positivo lasciato dalla pandemia e dai lunghi lockdown che abbiamo vissuto - ha spiegato - ed è stato l’incontro con noi stessi e con la solitudine. Non è facile, lo so. Ma solo se abbiamo la capacità di abbandonarci agli stati di improduttività delle mente, lasciando da parte i doveri e le aspettative, possiamo far riaffiorare e riconoscere i desideri più profondi e lasciare che la mente si nutra di ciò che abbiamo dentro”. È ciò che accade da bambini, spiega, quando giochiamo in solitudine fino a dimenticarci di qualunque altra cosa che ci circonda. “È così che impariamo che la nostra mente può funzionare da sola ed è così che cominciamo a credere in noi stessi, a costruire la nostra identità, la nostra scultura finita”.

Abbandonarsi al non finito per recuperare la propria identità

Ed ecco quindi la domanda che dobbiamo farci, dice il professore Calamandrei: “Prendendo spunto dalle immagini de "I Prigioni" di Michelangelo, e considerando che ognuno di noi deve avere momenti in cui riposarsi o destrutturarsi, quale attività o forma artistica prediligiamo per abbandonarci al non-finito e recuperare quindi la vostra identità?”.
La risposta è assolutamente libera: c’è chi dipinge cose astratte, chi scarabocchia, chi canta, chi cuce, e anche chi guarda una serie televisiva dietro l’altra o addirittura si abbandona allo zapping senza né capo né coda. “E proprio come in un campo lasciato a risposare - dice ancora lo psichiatra di Itaca - la mente può trovare vecchie sementi che possono rifiorire, vecchi progetti , ricordi e abilità. Oppure possono nascere nuovi fiori, nuovi semi portati dal vento, dei papaveri, dei fiori di campo, e anche dei rovi, certo, pensieri spinosi e dolorosi, perché non  tutto fila così liscio dentro di noi. Ma se manteniamo questa capacità di guardarci dentro e riconoscere ciò che è nostro, riusciamo a far riposare la nostra mente e a farla tornare produttiva e creativa”.

L'arte come strumento psicologico

L’arte è un grande strumento psicologico, dice il professor Calamandrei, ed è per questo che le scuole dovrebbero trovare sempre il modo di far sviluppare nei ragazzi un  “rapporto con la propria materia grezza”, fondamentale per costruire l’identità “libera dagli eccessivi condizionamenti esterni e dalle aspettative degli adulti”. E se stare con se stessi è un pilastro della manutenzione della mente, non meno importanti sono i rapporti che scegliamo. “Ricordate il mito di Anteo, figlio della madre terra, una delle famose fatiche di Ercole? - spiega Calamandrei - Ecco, noi siamo come Anteo, ogni volta che tocchiamo terra riprendiamo forza. Quando troviamo rapporti affettivi saldi, a cui tornare, troviamo la forza di guardarci dentro per quello che siamo e che davvero vogliamo”. Come dire: per stare da soli, abbiamo bisogno di sapere che prima o poi possiamo tornare a toccare terra.