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Home » Attualità » Obbligo di gonna alle sommelier, Nicole Hesslink si ribella al “dress code sessista”

Obbligo di gonna alle sommelier, Nicole Hesslink si ribella al “dress code sessista”

La fotografa americana non ha dubbi: imporre alle donne di indossare la gonna è sessismo. Lei ha lasciato il corso, la Fondazione sostiene che “l’obbligo nasce da motivi estetici”

Margherita Ambrogetti Damiani
17 Febbraio 2022
Nicole Hesslink

Nicole Hesslink

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Italia, anni venti del duemila: secondo la Fondazione italiana sommelier, le donne devono indossare gonna e scarpe con i tacchi. Che si tratti di eventi, cene, di una giornata di formazione o di un normale turno di lavoro in segreteria, sul dress code non si deve sgarrare. Unica alternativa al classico duo giacca con gonna un tubino nero o blu scuro. Attenzione, poi, agli abbinamenti: gli accessori devono essere intonati. Distintivo e foulard completano l’outfit della perfetta sommelier.

Nicole Hesslink, la fotografa americana di 30 anni che ha lanciato l’accusa di sessismo contro la Fondazione italiana sommelier

L’accusa di sessismo della fotografa americana Nicole Hesslink

Dal 2013 ad oggi, nessuna protesta, non una levata di scudi né, tanto meno, un sano “il corpo è mio e lo vesto come voglio io” da parte delle aspiranti sommelier. Nulla di nulla fino all’arrivo della fotografa americana Nicole Hesslink. Poco più di trent’anni, una storia d’amore con un marchigiano e una certezza nella mente: gonne e tacchi d’obbligo per le donne anche no. Con un post – denuncia sul suo profilo Instagram ha raccontato la questione, dopo aver scritto una mail alla Fondazione per capire la ratio della norma. Nicole aveva tentato – senza successo – la strada della mediazione, dicendo di voler indossare un paio di pantaloni eleganti al posto della gonna, ma niente da fare.

La mail mandata da Nicole Hesslink alla Fondazione italiana sommelier (Foto tratta dal profilo Instagram di Nicole Hesslink)

La Fondazione sommelier risponde: “L’obbligo nasce per motivi estetici”

Dal web, non sono mancate dimostrazioni di sostegno e di solidarietà nei confronti della Hesslink. Peccato che lo stesso trattamento non le sia stato riservato dalla Fondazione che non ha tardato a chiarirle che “l’obbligo nasce per motivi estetici”. In buona sostanza, nell’opinione di chi ha scritto le norme che regolano la Fondazione, le donne che indossano pantaloni sarebbero meno belle di quelle che indossano la gonna e, per questa ragione, non sarebbero degne di diventare sommelier. Game, set match. Nicole ha risolto il problema alla base, lasciando la Fondazione e continuando rincorrere il proprio sogno di diventare sommelier altrove. Adesso, resta da capire cosa sceglierà la Fondazione tra l’integralismo delle gambe scoperte e l’emancipazione femminile. La polemica sui social sembra non essere destinata a placarsi. 

La storia su Instagram del collettivo studentesco Ludus che annunciava l’inizio della protesta al liceo Righi di Roma

Dalla studentessa del liceo a Roma alla receptionist di Napoli: i precedenti

Non è la prima volta che imporre un dress code si rivela un fenomeno sessista. Pochi giorni fa a Roma è esplosa una protesta degli studenti al liceo scientifico Righi per “abbattere il dress code” della scuola. Una professoressa ha insultato una studentessa che stava indossando una maglietta da lei considerata troppo corta, dicendole “Ma che stai sulla Salaria?“. La protesta dei compagni è scattata immediatamente, e il giorno dopo gli studenti si sono presentati a scuola indossando pantaloncini corti e gonne per “rompere il dress code”.

A fine gennaio, poi, un’azienda di Napoli è stata multata per aver chiesto in un annuncio di lavoro da receptionist le foto in costume da bagno delle candidate. Nell’annuncio la società campana invitava le candidate, che dovevano necessariamente essere “di bella presenza”, a inviare una foto a figura intera “in costume da bagno o similare”. L’Ispettorato nazionale del lavoro ha comminato all’azienda una multa da 10mila euro per violazione del divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
Italia, anni venti del duemila: secondo la Fondazione italiana sommelier, le donne devono indossare gonna e scarpe con i tacchi. Che si tratti di eventi, cene, di una giornata di formazione o di un normale turno di lavoro in segreteria, sul dress code non si deve sgarrare. Unica alternativa al classico duo giacca con gonna un tubino nero o blu scuro. Attenzione, poi, agli abbinamenti: gli accessori devono essere intonati. Distintivo e foulard completano l’outfit della perfetta sommelier.
Nicole Hesslink, la fotografa americana di 30 anni che ha lanciato l'accusa di sessismo contro la Fondazione italiana sommelier

L’accusa di sessismo della fotografa americana Nicole Hesslink

Dal 2013 ad oggi, nessuna protesta, non una levata di scudi né, tanto meno, un sano “il corpo è mio e lo vesto come voglio io” da parte delle aspiranti sommelier. Nulla di nulla fino all’arrivo della fotografa americana Nicole Hesslink. Poco più di trent’anni, una storia d’amore con un marchigiano e una certezza nella mente: gonne e tacchi d’obbligo per le donne anche no. Con un post - denuncia sul suo profilo Instagram ha raccontato la questione, dopo aver scritto una mail alla Fondazione per capire la ratio della norma. Nicole aveva tentato - senza successo - la strada della mediazione, dicendo di voler indossare un paio di pantaloni eleganti al posto della gonna, ma niente da fare.
La mail mandata da Nicole Hesslink alla Fondazione italiana sommelier (Foto tratta dal profilo Instagram di Nicole Hesslink)

La Fondazione sommelier risponde: "L'obbligo nasce per motivi estetici"

Dal web, non sono mancate dimostrazioni di sostegno e di solidarietà nei confronti della Hesslink. Peccato che lo stesso trattamento non le sia stato riservato dalla Fondazione che non ha tardato a chiarirle che “l’obbligo nasce per motivi estetici”. In buona sostanza, nell’opinione di chi ha scritto le norme che regolano la Fondazione, le donne che indossano pantaloni sarebbero meno belle di quelle che indossano la gonna e, per questa ragione, non sarebbero degne di diventare sommelier. Game, set match. Nicole ha risolto il problema alla base, lasciando la Fondazione e continuando rincorrere il proprio sogno di diventare sommelier altrove. Adesso, resta da capire cosa sceglierà la Fondazione tra l’integralismo delle gambe scoperte e l’emancipazione femminile. La polemica sui social sembra non essere destinata a placarsi. 
La storia su Instagram del collettivo studentesco Ludus che annunciava l'inizio della protesta al liceo Righi di Roma

Dalla studentessa del liceo a Roma alla receptionist di Napoli: i precedenti

Non è la prima volta che imporre un dress code si rivela un fenomeno sessista. Pochi giorni fa a Roma è esplosa una protesta degli studenti al liceo scientifico Righi per "abbattere il dress code" della scuola. Una professoressa ha insultato una studentessa che stava indossando una maglietta da lei considerata troppo corta, dicendole "Ma che stai sulla Salaria?". La protesta dei compagni è scattata immediatamente, e il giorno dopo gli studenti si sono presentati a scuola indossando pantaloncini corti e gonne per "rompere il dress code". A fine gennaio, poi, un'azienda di Napoli è stata multata per aver chiesto in un annuncio di lavoro da receptionist le foto in costume da bagno delle candidate. Nell'annuncio la società campana invitava le candidate, che dovevano necessariamente essere "di bella presenza", a inviare una foto a figura intera "in costume da bagno o similare". L'Ispettorato nazionale del lavoro ha comminato all'azienda una multa da 10mila euro per violazione del divieto di discriminazione nell'accesso al lavoro.
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