Le
donne sono
più della metà degli stranieri in Italia, ovvero delle persone residenti nel nostro Paese ma prive di cittadinanza. Si tratta di circa 2,6 milioni, il
51,8% di tutta la popolazione straniera che vi abita. Un trend, per altro,
in crescita costante negli anni: nel 2002 infatti gli stranieri si dividevano piuttosto egualmente tra uomini e donne, ma a partire dal 2006 si è registrato un aumento nella presenza femminile fino al 2015, quando in Italia risiedevano 293mila donne in più rispetto agli uomini.
Nonostante siano la maggioranza, queste si trovano in una situazione di particolare
vulnerabilità, soprattutto dal punto di vista lavorativo, per la loro condizione doppiamente fragile di donne e di straniere. A testimoniarlo è l’ultimo rapporto della
Fondazione OpenPolis che si occupa di raccogliere ed elaborare dati a servizio, come si legge nello statuto, "delle comunità, delle istituzioni, di chi fa informazione e ricerca, di chi s'impegna nell’attivismo sociale e politico".
La situazione occupazionale
Da un lato, sono
più esposte alla disoccupazione rispetto alle italiane: costituiscono infatti il
16% di tutte le disoccupate, pur rappresentando l'8,5% della popolazione femminile residente in Italia. Il dato è solo lievemente inferiore nel caso degli uomini: gli stranieri costituiscono il 14,4% dei disoccupati e l'8,3% della popolazione maschile residente. Dall'altro, a fare la differenza vera, è soprattutto il
tasso di inattività. Questo è molto alto tra le donne, mentre è molto basso tra gli uomini stranieri rispetto agli uomini italiani, quindi la differenza di genere appare particolarmente marcata. Il tasso di inattività è elevato soprattutto tra le ragazze provenienti da
Paesi meno secolarizzati e più tradizionalisti nella ripartizione dei ruoli familiari: nel del
Pakistan, ad esempio, tocca il 90%, mentre va molto meglio per le donne che arrivano dai Paesi dell’Europa orientale, dove i tassi di scolarizzazione sono molto più alti. Come testimonia il rapporto "
Second European union minorities and discrimination survey" della
European union agency for fundamental rights (Fra), per fattori legati sia alla loro cultura che a quella del paese ospite, le giovani migranti sono quindi maggiormente inquadrate come
Neet (not in employment, education, or training), una condizione di alienazione dal mondo del lavoro che ha effetti a lungo termine spesso molto severi.
A rendere difficile il loro inserimento lavorativo è innanzitutto il
pregiudizio, spesso più forte nelle culture di origine ma radicato anche nel nostro Paese, che vede la donna come unica
responsabile della cura dei figli. In Italia le Neet straniere nel 2020 erano circa
214mila, più del doppio dei corrispondenti maschili (104mila). Va detto che, come per la disoccupazione, anche tra i cittadini italiani il fenomeno colpisce più duramente le donne. Ma anche in questo caso la
forbice è meno ampia, soprattutto per quanto riguarda l'inattività: delle 214mila neet straniere, 181mila sono inattive (33mila sono invece disoccupate), mentre tra i giovani si arriva ad appena 60mila inattivi (e 44mila disoccupati). Nonostante ciò le donne straniere sono spesso
più istruite degli uomini. Il numero delle laureate è doppio rispetto a quello dei laureati e maggiore è anche quello di diplomate, mentre i maschi "primeggiano" per quanto riguarda il possesso della licenza di scuola media o elementare o con nessun grado di istruzione. "La situazione delle donne straniere in Italia sembra quindi
rispecchiare tendenze generali a livello italiano ed europeo (le donne hanno mediamente un grado di istruzione più alto, ma sono
meno incluse nel mondo del lavoro), tuttavia in modo più severo rispetto alle cittadine italiane. Questo conferma il ruolo dell'
intersezionalità: essere donne e straniere crea una condizione di doppia fragilità" conclude la Fondazione Open Polis.