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Home » HP Trio » Ragazze madri costrette a dar via i figli “nati dal peccato”: la protesta delle donne britanniche

Ragazze madri costrette a dar via i figli “nati dal peccato”: la protesta delle donne britanniche

A distanza di decenni dopo queste donne continuano a combattere per guarire una ferita ancora aperta: "Vogliamo che il governo si scusi"

Camilla Prato
1 Giugno 2021
Newborn baby securely grasping his mother's hands, close-up fingers.

Newborn baby securely grasping his mother's hands, close-up fingers.

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Immaginate di essere giovani, molto giovani, e di avere un figlio. E che questo vi venga strappato dalle braccia dallo Stato, perché frutto ‘peccaminoso’ concepito al di fuori di un matrimonio. Questa è la storia di circa 250mila ragazze del Regno Unito che, negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, furono obbligate a dare i propri neonati in adozione dopo essere state affidate a delle istituzioni religiose, e che ora pretendono le scuse ufficiali del governo.

Questi organi religiosi gestivano 150 case per ragazze madri negli anni del dopoguerra, prima che la responsabilità principale per la questione delle adozioni fosse trasferita dalle organizzazioni di volontariato alle autorità locali nel 1976.

Questa vicenda, nota da sempre, ha fatto nuovamente scalpore quando la Bbc ha mandato in onda le denunce di alcune di queste donne, tra cui quella della ex parlamentare laburista e ministro del governo, Ann Keen, che, nel 1966, partorì un bambino a 17 anni e fu poi costretta a lasciarlo. “È stata una coercizione. Le frasi che mi dicevano erano ‘è per il tuo meglio’ e ‘se ami davvero il tuo bambino, dovresti rinunciarvi'”, ha raccontato alla televisione. “Ma io non ho rinunciato a mio figlio né l’ho abbandonato. Le scuse ripulirebbero il mio nome e il suo. Ciò che è accaduto è un’ingiustizia storica e ora è il momento di chiedere scusa”, ha aggiunto. “Quando partorii non mi fu dato alcun antidolorifico. L’ostetrica disse: così te ne ricorderai e non commetterai più peccato”.

Tra il 1950 e il 1980, sono state circa 500mila le mamme britanniche che hanno dovuto dare i loro figli in adozione semplicemente perché erano single ed avevano meno di 24 anni. Venivano emarginate dalla società, dalle famiglie e dai gruppi religiosi, e i loro figli venivano definiti illegittimi poiché non erano nati da una tradizionale unione matrimoniale. Circa la metà di queste donne ha subito pressioni continue per rinunciare ai propri bambini da parte di professionisti, inclusi medici e ostetriche.

Spesso non sapevano nulla della famiglia a cui il proprio bambino sarebbe stato affidato, ma oggi, a distanza di decenni, quelle stesse mamme chiedono giustizia e vogliono che il governo si scusi pubblicamente per le adozioni forzate, che in passato sono state costrette ad accettare. Per questo è nato “The Movement for an Adoption Apologyscuse”, fondato da Veronica Smith, una donna di 74 anni, che nel 1965 ha dovuto dire addio al suo piccolo dopo solo una settimana dalla sua nascita. La donna afferma che delle scuse sono il minimo che lo Stato possa fare per dare una consolazione a tutte quelle che, come lei, hanno vissuto traumi e dolori a causa di quelle adozioni. Veronica ha raccontato che suo padre non ha mai saputo della gravidanza, poiché non sarebbe riuscito a sopportare la vergogna: “Onestamente se avessi ucciso qualcuno forse sarebbe stato più accettabile per lui. Avevo commesso un peccato mortale e, agli occhi della Chiesa cattolica, non sarei mai andata in paradiso”.
“Quello che è successo a queste donne è straziante e indifendibile. Scusarsi con loro è la cosa giusta da fare per il governo”, ha affermato Sue Armstrong Brown, presidente di Adoption UK.

Nel 2016, il cardinale Vincent Nichols, capo della chiesa cattolica in Inghilterra e Galles, si scusò per il dolore causato a queste giovani madri. “Purtroppo per le donne non sposate l’adozione era considerata nel migliore interesse della madre e del bambino”, disse. Anche la Chiesa anglicana ha espresso rammarico: “Ciò che in quel momento si pensava fosse la cosa giusta da fare, ha causato un grande dolore”. Nel 2013 anche l’Australia e, cinque anni dopo l’Irlanda, si scusarono. Nel Regno Unito, invece, nel 2018 una mozione approvata dai deputati ha chiesto al Primo ministro di farsi portavoce delle scuse da parte delle istituzioni. Ma ciò non è mai accaduto.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Immaginate di essere giovani, molto giovani, e di avere un figlio. E che questo vi venga strappato dalle braccia dallo Stato, perché frutto 'peccaminoso' concepito al di fuori di un matrimonio. Questa è la storia di circa 250mila ragazze del Regno Unito che, negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, furono obbligate a dare i propri neonati in adozione dopo essere state affidate a delle istituzioni religiose, e che ora pretendono le scuse ufficiali del governo. Questi organi religiosi gestivano 150 case per ragazze madri negli anni del dopoguerra, prima che la responsabilità principale per la questione delle adozioni fosse trasferita dalle organizzazioni di volontariato alle autorità locali nel 1976. Questa vicenda, nota da sempre, ha fatto nuovamente scalpore quando la Bbc ha mandato in onda le denunce di alcune di queste donne, tra cui quella della ex parlamentare laburista e ministro del governo, Ann Keen, che, nel 1966, partorì un bambino a 17 anni e fu poi costretta a lasciarlo. "È stata una coercizione. Le frasi che mi dicevano erano 'è per il tuo meglio' e 'se ami davvero il tuo bambino, dovresti rinunciarvi'", ha raccontato alla televisione. "Ma io non ho rinunciato a mio figlio né l'ho abbandonato. Le scuse ripulirebbero il mio nome e il suo. Ciò che è accaduto è un'ingiustizia storica e ora è il momento di chiedere scusa", ha aggiunto. "Quando partorii non mi fu dato alcun antidolorifico. L'ostetrica disse: così te ne ricorderai e non commetterai più peccato". Tra il 1950 e il 1980, sono state circa 500mila le mamme britanniche che hanno dovuto dare i loro figli in adozione semplicemente perché erano single ed avevano meno di 24 anni. Venivano emarginate dalla società, dalle famiglie e dai gruppi religiosi, e i loro figli venivano definiti illegittimi poiché non erano nati da una tradizionale unione matrimoniale. Circa la metà di queste donne ha subito pressioni continue per rinunciare ai propri bambini da parte di professionisti, inclusi medici e ostetriche. Spesso non sapevano nulla della famiglia a cui il proprio bambino sarebbe stato affidato, ma oggi, a distanza di decenni, quelle stesse mamme chiedono giustizia e vogliono che il governo si scusi pubblicamente per le adozioni forzate, che in passato sono state costrette ad accettare. Per questo è nato "The Movement for an Adoption Apologyscuse", fondato da Veronica Smith, una donna di 74 anni, che nel 1965 ha dovuto dire addio al suo piccolo dopo solo una settimana dalla sua nascita. La donna afferma che delle scuse sono il minimo che lo Stato possa fare per dare una consolazione a tutte quelle che, come lei, hanno vissuto traumi e dolori a causa di quelle adozioni. Veronica ha raccontato che suo padre non ha mai saputo della gravidanza, poiché non sarebbe riuscito a sopportare la vergogna: "Onestamente se avessi ucciso qualcuno forse sarebbe stato più accettabile per lui. Avevo commesso un peccato mortale e, agli occhi della Chiesa cattolica, non sarei mai andata in paradiso”. "Quello che è successo a queste donne è straziante e indifendibile. Scusarsi con loro è la cosa giusta da fare per il governo", ha affermato Sue Armstrong Brown, presidente di Adoption UK. Nel 2016, il cardinale Vincent Nichols, capo della chiesa cattolica in Inghilterra e Galles, si scusò per il dolore causato a queste giovani madri. "Purtroppo per le donne non sposate l'adozione era considerata nel migliore interesse della madre e del bambino", disse. Anche la Chiesa anglicana ha espresso rammarico: "Ciò che in quel momento si pensava fosse la cosa giusta da fare, ha causato un grande dolore". Nel 2013 anche l'Australia e, cinque anni dopo l'Irlanda, si scusarono. Nel Regno Unito, invece, nel 2018 una mozione approvata dai deputati ha chiesto al Primo ministro di farsi portavoce delle scuse da parte delle istituzioni. Ma ciò non è mai accaduto.
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