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Home » HP Trio » Referendum giustizia, quali sono i cinque quesiti promossi e perché Salvini ha il battiQuorum

Referendum giustizia, quali sono i cinque quesiti promossi e perché Salvini ha il battiQuorum

La legge Severino, la limitazione della carcerazione preventiva, le elezioni del Csm: i quesiti passati al vaglio della Consulta

Ettore Maria Colombo
18 Febbraio 2022
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Dopo la bocciatura dei referendum sulla cannabis e l’eutanasia legali, cosa resta in piedi? E su cosa si andrà a votare? Un quesito è quello sulla legge Severino. Si chiede di abrogare la norma che indica l’impossibilità per i parlamentari di mantenere il proprio ruolo dopo una condanna definitiva, ma anche per governatori, consiglieri regionali e sindaci e solo per una condanna in primo grado, norma assai odiosa e di cui si lamentano molto, e da tempo, gli amministratori locali di tutti i partiti.

Il secondo riguarda, invece, la limitazione della carcerazione preventiva, i cui presupposti resterebbero solo in caso di pericolo di fuga o per i reati più gravi (tolti anche per il reato di finanziamento illecito ai partiti). Il terzo: la separazione delle carriere. Secondo la norma attuale, i magistrati possono passare da giudice a pm e viceversa per quattro volte (norma che la riforma Cartabia riduce a due). Se vince il sì, il magistrato dovrà decidere a inizio carriera se vuole fare il giudice o il pm, mantenendo sempre quel ruolo. Quattro, la valutazione delle toghe. Il quesito introduce il diritto di voto degli avvocati nei Consigli giudiziari, ma questa norma diventa inutile se verrà approvata la riforma del Csm, che prevede identica misura. Cinque, le elezioni del Csm. La legge vigente prevede l’obbligo, per un magistrato che vuole essere eletto, di trovare da 25 a 50 firme per la candidatura. Il quesito elimina per chi si candida il via libera delle correnti, aprendo alle candidature senza appoggi, ma anche questa norma è dentro la riforma della legge elettorale per la componente togata del Csm che il Parlamento dovrebbe, in teoria, approvare.

Il Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato

Resta fuori, non ammesso, il sesto quesito, quello sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. Oggi un cittadino, danneggiato da comportamenti non corretti di un magistrato, può rivalersi solo in modo ‘”indiretto” (allo Stato che poi può intervenire sul magistrato). Per i promotori avrebbe dovuto essere chiamato in causa il magistrato in modo diretto ma, per la Corte, il quesito era ‘innovativo’, non abrogativo.

Il battiQuorum di Matteo Salvini

Il leader della Lega Matteo Salvini

Tre referendum bocciati, dunque, e altri cinque promossi, ma tutti e cinque sulla giustizia. Matteo Salvini, che li ha promossi, parla di “vittoria” ma sa bene che, senza i due referendum sui diritti civili, il quorum è ad altissimo rischio (serve la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto perché un referendum abrogativo sia valido), ecco perché chiede l’election day con le elezioni amministrative che si terranno a maggio. Ma è difficile che lo otterrà. Si dovrebbe votare tra il 15 maggio e il 15 giugno, in una domenica ad hoc. Un lasso di tempo che, peraltro, potrebbe consentire alla maggioranza di governo di portare a casa, nel difficile rimpallo tra una Camera e l’altra, la riforma del Csm che – secondo il Pd, e non solo – renderebbe inutili due/tre referendum.

Insomma, non a caso Salvini diceva “voterei no (ai referendum su eutanasia e droghe, ndr), ma sarei andato comunque a votare” proprio perché temeva, e teme, l’alto astensionismo su quesiti molto, troppo, ‘tecnici’, quelli sulla giustizia, deprivati della spinta dei referendum su temi etici che avrebbero certo favorito l’alta partecipazione.

Sul fine vita sulle spalle di Pd, M5s e LeU

Ma mentre il resto del centrodestra incassa lo stop sui due temi etici, su cui avrebbe dato battaglia per il NO (sia FdI che FI sono contro, da sempre, sia l’eutanasia che le droghe leggere), anche il fronte giallorosso è nelle peste. L’onore della prova, sul fine vita, la cui proposta di legge entra ed esce dal calendario della Camera, sta tutto sulle spalle di Pd-M5s-LeU che dicono di volere un testo ma sono molto titubanti nell’approvarlo perché temono la reazione del mondo cattolico. Il Vaticano è fermo nel sostenere che “sia il suicidio medicalmente assistito che l’eutanasia non sono forme di carità cristiana” e, in Parlamento, la Lega, FdI e FI si ergono a paladini della “sacralità della vita” e non vedono l’ora di affossare il testo in esame in aula, anche grazie a una gragnuola di voti segreti in agguato.

Il leader M5S Giuseppe Conte

Ma la sfida è tutta aperta. Letta e Conte si spendono: “la legge sul fine vita va approvata“. Il testo, in verità, è stato costruito in modo accorto, riportando pari pari le indicazioni della sentenza della Consulta del 2019, quindi in teoria è a prova di bomba. La Corte giudicò non punibile l’aiuto al suicidio di persone che hanno patologie irreversibili, sofferenze intollerabili o che siano tenute in vita da trattamenti di sostengono vitale e dotati della capacità di intendere e volere. I sostenitori del testo – il dem Alfredo Bazoli in testa – dicono che “una cosa è l’omicidio del consenziente” (appena ricordato, in modo negativo, da Amato, ndr) e una cosa l’aiuto al suicidio, due cose ben diverse dal punto di vista etico e legale.

Il segretario del Pd Enrico Letta

“La morte volontaria medicalmente assistita va normata, lo dico anche da credente e medico” dice l’ex capogruppo del Pd, Graziano Delrio. Ma per Cappato, “la norma in esame alla Camera è un passo indietro rispetto ai diritti conquistati nei tribunali” e ricorda i troppi paletti imposti dalla legge per accedere al suicidio medicalmente assistito, incluso il requisito di essere attaccati a sostegni vitali, di avere sperimentato le cure palliative, di avere il visto di più medici, di prevedere l’obiezione di coscienza dei sanitari. Certo è che una – parziale e incompleta – legge sarebbe meglio di nessuna legge come sarà per la cannabis, il cui testo non uscirà mai – questa la facile previsione – dai cassetti della commissione. Per ora, comunque, ermellini-popolo italiano è finita due a zero e non è stato certo un bel vedere.

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
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  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Dopo la bocciatura dei referendum sulla cannabis e l'eutanasia legali, cosa resta in piedi? E su cosa si andrà a votare? Un quesito è quello sulla legge Severino. Si chiede di abrogare la norma che indica l’impossibilità per i parlamentari di mantenere il proprio ruolo dopo una condanna definitiva, ma anche per governatori, consiglieri regionali e sindaci e solo per una condanna in primo grado, norma assai odiosa e di cui si lamentano molto, e da tempo, gli amministratori locali di tutti i partiti. Il secondo riguarda, invece, la limitazione della carcerazione preventiva, i cui presupposti resterebbero solo in caso di pericolo di fuga o per i reati più gravi (tolti anche per il reato di finanziamento illecito ai partiti). Il terzo: la separazione delle carriere. Secondo la norma attuale, i magistrati possono passare da giudice a pm e viceversa per quattro volte (norma che la riforma Cartabia riduce a due). Se vince il sì, il magistrato dovrà decidere a inizio carriera se vuole fare il giudice o il pm, mantenendo sempre quel ruolo. Quattro, la valutazione delle toghe. Il quesito introduce il diritto di voto degli avvocati nei Consigli giudiziari, ma questa norma diventa inutile se verrà approvata la riforma del Csm, che prevede identica misura. Cinque, le elezioni del Csm. La legge vigente prevede l’obbligo, per un magistrato che vuole essere eletto, di trovare da 25 a 50 firme per la candidatura. Il quesito elimina per chi si candida il via libera delle correnti, aprendo alle candidature senza appoggi, ma anche questa norma è dentro la riforma della legge elettorale per la componente togata del Csm che il Parlamento dovrebbe, in teoria, approvare.
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Il battiQuorum di Matteo Salvini

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Tre referendum bocciati, dunque, e altri cinque promossi, ma tutti e cinque sulla giustizia. Matteo Salvini, che li ha promossi, parla di “vittoria” ma sa bene che, senza i due referendum sui diritti civili, il quorum è ad altissimo rischio (serve la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto perché un referendum abrogativo sia valido), ecco perché chiede l’election day con le elezioni amministrative che si terranno a maggio. Ma è difficile che lo otterrà. Si dovrebbe votare tra il 15 maggio e il 15 giugno, in una domenica ad hoc. Un lasso di tempo che, peraltro, potrebbe consentire alla maggioranza di governo di portare a casa, nel difficile rimpallo tra una Camera e l’altra, la riforma del Csm che – secondo il Pd, e non solo – renderebbe inutili due/tre referendum. Insomma, non a caso Salvini diceva "voterei no (ai referendum su eutanasia e droghe, ndr), ma sarei andato comunque a votare” proprio perché temeva, e teme, l’alto astensionismo su quesiti molto, troppo, ‘tecnici’, quelli sulla giustizia, deprivati della spinta dei referendum su temi etici che avrebbero certo favorito l’alta partecipazione.

Sul fine vita sulle spalle di Pd, M5s e LeU

Ma mentre il resto del centrodestra incassa lo stop sui due temi etici, su cui avrebbe dato battaglia per il NO (sia FdI che FI sono contro, da sempre, sia l’eutanasia che le droghe leggere), anche il fronte giallorosso è nelle peste. L’onore della prova, sul fine vita, la cui proposta di legge entra ed esce dal calendario della Camera, sta tutto sulle spalle di Pd-M5s-LeU che dicono di volere un testo ma sono molto titubanti nell’approvarlo perché temono la reazione del mondo cattolico. Il Vaticano è fermo nel sostenere che "sia il suicidio medicalmente assistito che l’eutanasia non sono forme di carità cristiana" e, in Parlamento, la Lega, FdI e FI si ergono a paladini della "sacralità della vita" e non vedono l’ora di affossare il testo in esame in aula, anche grazie a una gragnuola di voti segreti in agguato.
Il leader M5S Giuseppe Conte
Ma la sfida è tutta aperta. Letta e Conte si spendono: "la legge sul fine vita va approvata". Il testo, in verità, è stato costruito in modo accorto, riportando pari pari le indicazioni della sentenza della Consulta del 2019, quindi in teoria è a prova di bomba. La Corte giudicò non punibile l’aiuto al suicidio di persone che hanno patologie irreversibili, sofferenze intollerabili o che siano tenute in vita da trattamenti di sostengono vitale e dotati della capacità di intendere e volere. I sostenitori del testo – il dem Alfredo Bazoli in testa – dicono che "una cosa è l’omicidio del consenziente" (appena ricordato, in modo negativo, da Amato, ndr) e una cosa l’aiuto al suicidio, due cose ben diverse dal punto di vista etico e legale.
Il segretario del Pd Enrico Letta
"La morte volontaria medicalmente assistita va normata, lo dico anche da credente e medico” dice l’ex capogruppo del Pd, Graziano Delrio. Ma per Cappato, "la norma in esame alla Camera è un passo indietro rispetto ai diritti conquistati nei tribunali" e ricorda i troppi paletti imposti dalla legge per accedere al suicidio medicalmente assistito, incluso il requisito di essere attaccati a sostegni vitali, di avere sperimentato le cure palliative, di avere il visto di più medici, di prevedere l’obiezione di coscienza dei sanitari. Certo è che una – parziale e incompleta – legge sarebbe meglio di nessuna legge come sarà per la cannabis, il cui testo non uscirà mai – questa la facile previsione – dai cassetti della commissione. Per ora, comunque, ermellini-popolo italiano è finita due a zero e non è stato certo un bel vedere.
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