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Home » HP Trio » Sohail torna tra le braccia della sua famiglia: il bambino simbolo della fuga da Kabul

Sohail torna tra le braccia della sua famiglia: il bambino simbolo della fuga da Kabul

Separato dalla famiglia durante l'evacuazione dei civili da Kabul, ad agosto scorso, il neonato era stato trovato e soccorso da un giovane tassista, che aveva lanciato appelli attraverso Facebook per rintracciarne i genitori

Marianna Grazi
11 Gennaio 2022
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Il piccolo Sohail Ahmadi viene passato dai genitori oltre il filo spinato fuori dall’aeroporto di Kabul nelle mani di un soldato americano

Le foto del neonato, consegnato dalla famiglia per disperazione a un soldato americano oltre il muro dell’aeroporto di Kabul, sono diventate una delle immagini simbolo che definirono il caos dell’evacuazione americana dell’Afghanistan. Il bambino, Sohail Ahmadi, aveva solo due mesi quando il 19 agosto, durante la tumultuosa fuga in seguito al ritorno dei talebani al potere, i suoi genitori, Mirza Ali Ahmadi, che aveva lavorato come guardia di sicurezza presso l’ambasciata degli Stati Uniti, e sua moglie Suraya, temendo che loro figlio sarebbe stato schiacciato nella folla mentre si avvicinavano ai cancelli dell’aeroporto, lo avevano ‘consegnato’ oltre il filo spinato nelle mani del militare statunitense. Di lui, da allora, si era persa ogni traccia.

Il piccolo oggi ha sei mesi ed è di nuovo con i genitori. Nella foto insieme al nonno e alla famiglia del tassista che lo ha salvato

Ma qualche settimana fa, finalmente, il piccolo Sohail è stato ritrovato ed ora è di nuovo riunito con la sua famiglia. Dopo aver visto una storia con le sue foto pubblicata dall’agenzai Reuters a novembre scorso, il bambino è stato localizzato a Kabul, dove un tassista di nome Hamid Safi, 29 anni, lo aveva trovato solo e in lacrime all’aeroporto. Safi racconta di aver cercato senza successo i genitori del bimbo all’interno dello scalo e di aver poi deciso di prendersene cura, portandolo a casa da sua moglie e dai suoi figli. In tutto questo tempo il neonato (che oggi ha circa sei mesi) è rimasto con la famiglia del tassista, che non ha mai smesso di cercare la sua famiglia, pubblicando la foto del bambino, ribattezzato Mohammad Abed, sul proprio profilo Facebook.

È stato il nonno di Sohail ad andarlo a riprendere a casa del tassista Hamid Safi

Il padre Mirza Ali, all’inizio di novembre, ha raccontato che quel 19 agosto, nella disperazione, ha passato Sohail oltre il muro dell’Abbey Gate a un soldato in uniforme, aspettandosi di riuscire a colmare presto quei cinque metri rimanenti fino all’ingresso dell’aeroporto per riprenderlo. In quel momento però, le forze talebane hanno spinto la folla indietro e quando Ahmadi, sua moglie e gli altri quattro figli (rispettivamente di 17, 9, 6 e 3 anni) sono riusciti finalmente ad entrare Sohail non si trovava più da nessuna parte. Ha aggiunto anche di averlo cercato disperatamente, ma gli è stato detto dai funzionari che probabilmente suo figlio era stato portato fuori dal Paese separatamente e avrebbero potuto ritrovarlo più tardi, una volta negli Stati Uniti, dove la famiglia è stata evacuata. Una volta arrivati a Fort Bliss, in Texas, dopo un lungo viaggio con tappe prima in Qatar e poi in Germania, i coniugi per mesi hanno lanciato appelli nella speranza di ritrovare il figlio.

Il bambino potrà presto raggiungere i genitori negli Stati Uniti

Ma senza un’ambasciata americana in Afghanistan e con le organizzazioni internazionali sovraccariche, i rifugiati hanno avuto molte difficoltà a ottenere risposte sui tempi o anche solo sulla possibilità di riunificazioni complesse come questa. Dopo più di sette settimane di negoziati, sabato 8 gennaio il tassista Safi ha potuto riconsegnare il bambino al nonno e agli altri parenti rimasti in Afghanistan. L’anziano, riuscendo a stento a contenere l’emozione, contattato dalla Bbc ha detto: “Stiamo festeggiando e cantando, sembra una festa di matrimonio“. L’uomo ha viaggiato dalla lontana provincia di Badakhshan fino a Kabul per riabbracciare il nipote. Il resto della famiglia ha assistito alla festa via videochat e adesso aspetta solo di riabbracciare il bambino.

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
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