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Strage di attivisti, quando difendere diritti, libertà e ambiente diventa una condanna

di DOMENICO GUARINO -
9 marzo 2022
Gonzalo-Cardona-Molina

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K Za Win, poeta birmano ucciso per aver protestato contro il golpe dei militari

Frozan Safi, 29 anni, docente di economia, attivista per i diritti delle donne in Afghanistan. Gonzalo Cardona Molina, 55 anni, ambientalista colombiano che ha salvato dall’estinzione una rara specie di pappagallo. K Za Win e Khet Thi, poeti birmani colpevoli di avere composto versi per protestare contro il colpo di stato militare: sono solo 4 dei 357 difensori dei diritti umani assassinati nel 2021 in 35 paesi differenti. I dati sono contenuti nel rapporto Front Line Defenders (Fld), una ong che cerca di proteggere gli attivisti a rischio. Altre centinaia di difensori dei diritti umani sono stati picchiati, detenuti e messi sotto accusa, ha affermato Fld, in particolare in Medio Oriente. Le crisi in Myanmar, Nicaragua e Afghanistan hanno costretto i difensori a nascondersi o a fuggire.

Come negli anni precedenti, la maggior parte degli omicidi è avvenuta nelle Americhe e nella regione Asia-Pacifico. La Colombia, in particolare, dove gli attivisti sono regolarmente presi di mira dai gruppi armati nonostante l’accordo di pace del 2016, è ancora il Paese più pericoloso per i difensori dei diritti umani, con 145 omicidi di leader sociali o difensori dei diritti umani. Il secondo Paese più mortale è stato il Messico, con 42 morti, seguito da Brasile, India, Filippine e Afghanistan, dove l’acquisizione del potere dei talebani ad agosto ha accelerato la crisi dei diritti umani nel Paese.

Molte delle uccisioni avrebbero potuto essere evitate, poiché sono state precedute da minacce e richieste di protezione, secondo FLD. Gli attivisti per i diritti “sono costantemente sotto minaccia, ma denunciare queste minacce si rivela inutile”, lamenta infatti Ivi Oliveira di Front Line Defenders. “Nella maggior parte dei casi, lo Stato stesso è il colpevole, nonostante gli obblighi coperti da vari processi delle Nazioni Unite e persino, in alcuni casi, da leggi o procedure nazionali. E in altri Paesi dove lo Stato ha perso il controllo del territorio o degli spazi, i vuoti sono spesso riempiti da gruppi criminali e armati, ponendo minacce significative per i diritti umani”.

Ambientalisti i più a rischio

L'attivista e docente di Economia Frozan Safi, uccisa in Afghanistan a colpi di arma da fuoco

Scendendo  nel dettaglio, gli attivisti per i diritti ambientali sono di gran lunga la categoria più bersagliata in tutto il pianeta: il 59% del totale, cioè 211 morti. Ma i difensori dell’integrità degli ecosistemi, chi si oppone ai megaprogetti, chi fa campagne per la tutela dei diritti delle popolazioni indigene, è anche più nel mirino in termini di attacchi, intimidazioni e altri tipi di pressioni da parte delle autorità. Con il 14,5% dei casi totali, questa categoria di persone è quella che finisce più di frequente nel mirino, prima di chi si batte per la libertà di espressione (9,4%), per i diritti umani (9,3%), per i diritti delle donne (8,3%) e per i diritti delle persone LGBTQI+ (7,6%). Le categorie più vulnerabili, donne e popolazioni indigene, sono anche quelle che vengono colpite in modo più sproporzionato. Le donne e le persone transgender sono il 18% degli attivisti uccisi nel 2021, in crescita rispetto al 13% del 2020. Ancora più evidente nel caso dei popoli indigeni: sono il 6% della popolazione mondiale ma totalizzano quasi 1/3 degli omicidi di attivisti.