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Home » HP Trio » “Una missione per conto di Dio”: la ‘crociata’ di una giudice del Tennessee contro i bambini neri

“Una missione per conto di Dio”: la ‘crociata’ di una giudice del Tennessee contro i bambini neri

Nella contea di Rutherford il caso di 11 bambini arrestati in una scuola elementare per "aver assistito a un litigio senza essere intervenuti" ha portato alla luce una pratica abituale e sconvolgente di discriminazione. Portata avanti per anni dalla giudice Donna Scott Davenport e dai funzionari locali

Marianna Grazi
12 Ottobre 2021
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Al razzismo sembra non esserci fine ma quando questo si rivolge ai bambini desta ancora più scalpore. Bambini che per il solo fatto di avere la pelle scura sono stati vittima di atteggiamenti gravissimi, addirittura arrestati e rinchiusi in carcere prima ancora di aver compiuto 10 anni. È quanto accaduto, ad esempio, in una scuola elementare della contea di Rutherford, vicino a Nashville, nel Tennessee. A raccontare l’accaduto è stata ProPublica, la nota organizzazione statunitense di giornalismo investigativo. I fatti risalgono al 2016 quando, nella Hogbood Elementary School di Murfeesboro, capoluogo della contea, 11 bambini afroamericani sono stati arrestati per un crimine che nello Stato del Tennessee nemmeno esiste. Sei di loro sono stati ammanettati e quattro addirittura rinchiusi in prigione. Secondo la giudice locale, che ha emesso il mandato, sarebbe loro la “responsabilità penale per la condotta di un altro”. Ken Armstrong, uno dei giornalisti che ha ricostruito l’accaduto, ha riassunto la vicenda: “Tre agenti di polizia sono andati in una scuola elementare nel Tennessee e hanno arrestato quattro bambine nere. Una è caduta in ginocchio. Un’altra ha vomitato. La polizia ha ammanettato la più piccola, una bambina di 8 anni con le treccine. Il loro presunto crimine? Aver guardato dei ragazzi litigare e non averli fermati“. Una di loro non era nemmeno presente durante la rissa: era a una festa in onore del campionato di basket della scuola.

Mark Harris for ProPublica

Una storia assurda, perfino negli Stati Uniti, dove le discriminazioni verso la comunità nera non sono certo casi eccezionali: per un afroamericano è 5,9 volte più probabile essere arrestato rispetto a un bianco americano, ha maggiori probabilità di essere condannato e, dopo la condanna, di subire lunghe pene detentive. Questo è quanto emerso –non a sorpresa– nel report delle Nazioni Unite del 2018. “La fonte di tali disparità è più profonda e più sistemica della discriminazione razziale esplicita. Gli Stati Uniti in effetti gestiscono due distinti sistemi di giustizia penale: uno per i ricchi e un altro per i poveri e le persone di colore”, si legge.

Ma nella vicenda nella contea di Rutherford la volontà di sorvegliare e punire in modo esemplare fin dalla più giovane età gli appartenenti delle comunità povere, ghettizzate e discriminate emerge con evidenza eclatante. Qui dove, secondo un censimento dello scorso anno circa il 40% della popolazione non si identifica come bianca e il 13% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, a partire dal 2008 era stato attivato un sistema di filtraggio, del tutto illegale, che permetteva ai carcerieri di decidere se un minore arrestato e rinchiuso nel centro di detenzione minorile dovesse essere rilasciato o meno in vista dell’udienza. Un sistema tale che qualsiasi bambino arrestato, senza che ci fosse una definizione della minaccia, indiscriminatamente, è stato tenuto dietro le sbarre. Dagli ultimi dati disponibili, del 2014, la percentuale di giovani e giovanissimi incarcerati nella contea dopo che i loro casi sono stati deferiti al tribunale per i minori è del 48%, quasi dieci volte la media statale (5%).

La spiegazione di queste percentuali è altrettanto terribile: i funzionari locali sostengono che la struttura di detenzione sarebbe un modo di fare soldi facili. Per ognuno dei 64 posti letto disponibili che vengono riempiti, sarebbero infatti riusciti a guadagnare 175 dollari al giorno. Soldi, insomma, fatti a scapito, sulla pelle, di bambini. Al vertice di questa piramide della (in)giustizia c’è un’unica persona, Donna Scott Davenport, giudice del tribunale dei minori della contea. È lai a nominare tutti i magistrati e ad approvare le politiche del centro di detenzione. Secondo ProPublica, la sua crociata contro i bambini locali sarebbe “una missione per conto di Dio”, per compensare l’incapacità dei genitori di impartire la giusta disciplina e insegnare ai piccoli che le azioni hanno delle conseguenze.

6/ Davenport describes her work as a calling.

“I’m here on a mission. It’s God’s mission,” she once told a newspaper.

— Ken Armstrong (@bykenarmstrong) October 8, 2021

La stima parla di circa 1.500 bambini imprigionati illegalmente nella contea di Rutherford sotto la giurisdizione di Davenport. Il caso della Hobgood Elementary School è stata però la scintilla che ha acceso il fuoco della rivolta: sono state indette due class action, una che ha posto fine al sistema di filtraggio, l’altra che ha visto la contea risarcire gli 11 bambini coinvolti. I loro avvocati hanno inoltre ottenuto dei documenti che mostrano come i minori potessero fare la doccia soltanto osservati da un membro adulto dello staff, tutte le treccine dovevano essere rimosse e ogni cicatrice, segno o tatuaggio fotografato. ProPublica, dopo aver ripercorso la vicenda, ricorda che diverse ricerche mostrano come l’arresto e la detenzione di minori danneggino non solo questi, ma l’intera comunità, dato che i bambini incarcerati hanno una probabilità molto più alta di commettere crimini in futuro, di sviluppare tendenze autolesionistiche e di avere difficoltà a trovare un lavoro e integrarsi nella società.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Al razzismo sembra non esserci fine ma quando questo si rivolge ai bambini desta ancora più scalpore. Bambini che per il solo fatto di avere la pelle scura sono stati vittima di atteggiamenti gravissimi, addirittura arrestati e rinchiusi in carcere prima ancora di aver compiuto 10 anni. È quanto accaduto, ad esempio, in una scuola elementare della contea di Rutherford, vicino a Nashville, nel Tennessee. A raccontare l'accaduto è stata ProPublica, la nota organizzazione statunitense di giornalismo investigativo. I fatti risalgono al 2016 quando, nella Hogbood Elementary School di Murfeesboro, capoluogo della contea, 11 bambini afroamericani sono stati arrestati per un crimine che nello Stato del Tennessee nemmeno esiste. Sei di loro sono stati ammanettati e quattro addirittura rinchiusi in prigione. Secondo la giudice locale, che ha emesso il mandato, sarebbe loro la "responsabilità penale per la condotta di un altro". Ken Armstrong, uno dei giornalisti che ha ricostruito l'accaduto, ha riassunto la vicenda: "Tre agenti di polizia sono andati in una scuola elementare nel Tennessee e hanno arrestato quattro bambine nere. Una è caduta in ginocchio. Un'altra ha vomitato. La polizia ha ammanettato la più piccola, una bambina di 8 anni con le treccine. Il loro presunto crimine? Aver guardato dei ragazzi litigare e non averli fermati". Una di loro non era nemmeno presente durante la rissa: era a una festa in onore del campionato di basket della scuola.
Mark Harris for ProPublica
Una storia assurda, perfino negli Stati Uniti, dove le discriminazioni verso la comunità nera non sono certo casi eccezionali: per un afroamericano è 5,9 volte più probabile essere arrestato rispetto a un bianco americano, ha maggiori probabilità di essere condannato e, dopo la condanna, di subire lunghe pene detentive. Questo è quanto emerso –non a sorpresa– nel report delle Nazioni Unite del 2018. "La fonte di tali disparità è più profonda e più sistemica della discriminazione razziale esplicita. Gli Stati Uniti in effetti gestiscono due distinti sistemi di giustizia penale: uno per i ricchi e un altro per i poveri e le persone di colore", si legge. Ma nella vicenda nella contea di Rutherford la volontà di sorvegliare e punire in modo esemplare fin dalla più giovane età gli appartenenti delle comunità povere, ghettizzate e discriminate emerge con evidenza eclatante. Qui dove, secondo un censimento dello scorso anno circa il 40% della popolazione non si identifica come bianca e il 13% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, a partire dal 2008 era stato attivato un sistema di filtraggio, del tutto illegale, che permetteva ai carcerieri di decidere se un minore arrestato e rinchiuso nel centro di detenzione minorile dovesse essere rilasciato o meno in vista dell'udienza. Un sistema tale che qualsiasi bambino arrestato, senza che ci fosse una definizione della minaccia, indiscriminatamente, è stato tenuto dietro le sbarre. Dagli ultimi dati disponibili, del 2014, la percentuale di giovani e giovanissimi incarcerati nella contea dopo che i loro casi sono stati deferiti al tribunale per i minori è del 48%, quasi dieci volte la media statale (5%). La spiegazione di queste percentuali è altrettanto terribile: i funzionari locali sostengono che la struttura di detenzione sarebbe un modo di fare soldi facili. Per ognuno dei 64 posti letto disponibili che vengono riempiti, sarebbero infatti riusciti a guadagnare 175 dollari al giorno. Soldi, insomma, fatti a scapito, sulla pelle, di bambini. Al vertice di questa piramide della (in)giustizia c'è un'unica persona, Donna Scott Davenport, giudice del tribunale dei minori della contea. È lai a nominare tutti i magistrati e ad approvare le politiche del centro di detenzione. Secondo ProPublica, la sua crociata contro i bambini locali sarebbe "una missione per conto di Dio", per compensare l'incapacità dei genitori di impartire la giusta disciplina e insegnare ai piccoli che le azioni hanno delle conseguenze.

6/ Davenport describes her work as a calling. “I’m here on a mission. It’s God’s mission,” she once told a newspaper.

— Ken Armstrong (@bykenarmstrong) October 8, 2021
La stima parla di circa 1.500 bambini imprigionati illegalmente nella contea di Rutherford sotto la giurisdizione di Davenport. Il caso della Hobgood Elementary School è stata però la scintilla che ha acceso il fuoco della rivolta: sono state indette due class action, una che ha posto fine al sistema di filtraggio, l'altra che ha visto la contea risarcire gli 11 bambini coinvolti. I loro avvocati hanno inoltre ottenuto dei documenti che mostrano come i minori potessero fare la doccia soltanto osservati da un membro adulto dello staff, tutte le treccine dovevano essere rimosse e ogni cicatrice, segno o tatuaggio fotografato. ProPublica, dopo aver ripercorso la vicenda, ricorda che diverse ricerche mostrano come l'arresto e la detenzione di minori danneggino non solo questi, ma l'intera comunità, dato che i bambini incarcerati hanno una probabilità molto più alta di commettere crimini in futuro, di sviluppare tendenze autolesionistiche e di avere difficoltà a trovare un lavoro e integrarsi nella società.
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