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Home » HP Trio » Vittime della tratta: sono oltre 24mila in Europa. Donne e bambine doppiamente colpite

Vittime della tratta: sono oltre 24mila in Europa. Donne e bambine doppiamente colpite

Il progetto "Cope and Hope", cofinanziato dall’Unione Europea e promosso da ACRA e Passepartout in Italia e da ABD in Spagna, ha l'obiettivo di promuovere la (re)integrazione sociale delle cittadine di Paesi Terzi

Domenico Guarino
6 Marzo 2022
Vittime tratta donne prostituzione

L'80% delle vittime di tratta sono donne e bambine, spesso vittime anche di violenza di genere

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Una volta, quando il politically correct non esisteva, si chiamavano molto più semplicemente e comprensibilmente schiavi. Oggi si preferisce usare il termine vittime della tratta. Ma la sostanza è la medesima: uomini, ma soprattutto donne, soggetti a violenze fisiche e psicologiche, costrette a lavori usuranti, a vivere per strada prostituendosi o riducendosi all’accattonaggio e ad altre attività illecite. Le vittime della tratta, secondo le stime della ong milanese ACRA, che da oltre 50 anni lavora nel campo dei diritti umani, e che ha realizzato  la Campagna RiTratta, mostrando le storie e i volti simbolici delle donne e degli uomini “cancellate”, sono almeno 24.000 in Europa.

Donna vittima violenza tratta
Le principali vittime di tratta sono donne e bambine, già colpite da emarginazione e violenza di genere

La tratta: una violenza di genere

Ventiquattro mila persone vittime di un crimine internazionale che non è solo una violazione dei diritti umani, in quanto priva gli individui della loro libertà traendone vantaggi economici, ma è anche una vera e propria violenza di genere, considerato che l’80% delle vittime è rappresentato da donne e bambine. Generalmente si parte da una condizione già critica: in massima parte parliamo infatti  di donne già vittime di violenza e di dinamiche di esclusione nei propri paesi di origine. Proprio la  loro posizione di vulnerabilità sociale viene sfruttata da chi le recluta, in funzione di un mercato che è prevalentemente maschile.

Una volta cadute nella rete dei trafficanti il gioco è fatto: credendo di trovare libertà e condizioni di vita migliori  una volta lasciato  il proprio Paese, le vittime di tratta, arrivate  in Europa sono private per anni di qualsiasi diritto e libertà. Solo in Italia, nel 2020  il sistema anti-tratta ha potuto identificare  ben  2.040 vittime, prendendole in carico: di queste, l’81,8% erano donne e ragazze. Si tratta della punta dell’iceberg di un fenomeno purtroppo molto più diffuso, considerando una notevole quota di ‘sommerso’. Gli abusi e i traumi subìti durante il viaggio e la condizione di incertezza e debito verso i trafficanti vissuta dalle vittime una volta che sono giunte a destinazione, le portano infatti a non denunciare, temendo ripercussioni sulla propria incolumità, sulla famiglia o sulla comunità di origine.

Le donne vittime di tratta spesso non denunciano gli abusi subiti per paura di ripercussioni

“La tratta è una forma di violenza di genere che assume molteplici forme – dice Elena Muscarella, responsabile del progetto di ACRA –  evolve nel tempo, si identifica a fatica. Ma quello che vogliamo testimoniare è che dalla tratta si può uscire ed esiste una rete di Associazioni che può sostenere le donne in questo processo”.

Il progetto Cope and Hope

Uscire dalle reti della tratta è molto difficile, ma non impossibile. Con interventi si può tentare e spesso riuscire. Per questo è nato il progetto Cope and Hope, cofinanziato dall’Unione Europea e promosso da ACRA e Passepartout in Italia e da ABD in Spagna, il cui obiettivo è promuovere l’integrazione sociale delle donne cittadine di Paesi Terzi vittime della tratta. Il progetto prevede assistenza e supporto psicologico per la rielaborazione e il superamento del trauma, e supporto socio-economico, in collaborazione con le istituzioni e le associazioni attive sui territori di riferimento, Milano e Barcellona.

Molto importante è l’inserimento lavorativo. Per questo uno degli obiettivi del  progetto è quello di  accompagnare le vittime attraverso la sperimentazione di laboratori che favoriscano autonomia e inclusione sociale. Ne sono un esempio quello tessile in Italia nato in collaborazione con Serpica Naro e quello fotografico organizzato da ABD in Spagna, che ha  coinvolto circa 120 donne.

Grazie al lavoro le vittime di tratta riacquistano autostima, fiducia nelle relazioni e l’indipendenza economica che le rende di nuovo protagoniste del loro destino. Quel destino che l’emarginazione, la violenza, i soprusi, la discriminazione e le vere e proprie torture, avevano indirizzato verso l’inferno della tratta.

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  • "È passato un mese dall’incidente, e ogni giorno, penso costantemente a come le cose possano cambiare rapidamente e drasticamente, in un batter d’occhio, e in modi che non avrei mai potuto immaginare.”

Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza

Una volta, quando il politically correct non esisteva, si chiamavano molto più semplicemente e comprensibilmente schiavi. Oggi si preferisce usare il termine vittime della tratta. Ma la sostanza è la medesima: uomini, ma soprattutto donne, soggetti a violenze fisiche e psicologiche, costrette a lavori usuranti, a vivere per strada prostituendosi o riducendosi all’accattonaggio e ad altre attività illecite. Le vittime della tratta, secondo le stime della ong milanese ACRA, che da oltre 50 anni lavora nel campo dei diritti umani, e che ha realizzato  la Campagna RiTratta, mostrando le storie e i volti simbolici delle donne e degli uomini “cancellate”, sono almeno 24.000 in Europa.

Donna vittima violenza tratta
Le principali vittime di tratta sono donne e bambine, già colpite da emarginazione e violenza di genere

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Ventiquattro mila persone vittime di un crimine internazionale che non è solo una violazione dei diritti umani, in quanto priva gli individui della loro libertà traendone vantaggi economici, ma è anche una vera e propria violenza di genere, considerato che l’80% delle vittime è rappresentato da donne e bambine. Generalmente si parte da una condizione già critica: in massima parte parliamo infatti  di donne già vittime di violenza e di dinamiche di esclusione nei propri paesi di origine. Proprio la  loro posizione di vulnerabilità sociale viene sfruttata da chi le recluta, in funzione di un mercato che è prevalentemente maschile.

Una volta cadute nella rete dei trafficanti il gioco è fatto: credendo di trovare libertà e condizioni di vita migliori  una volta lasciato  il proprio Paese, le vittime di tratta, arrivate  in Europa sono private per anni di qualsiasi diritto e libertà. Solo in Italia, nel 2020  il sistema anti-tratta ha potuto identificare  ben  2.040 vittime, prendendole in carico: di queste, l’81,8% erano donne e ragazze. Si tratta della punta dell'iceberg di un fenomeno purtroppo molto più diffuso, considerando una notevole quota di ‘sommerso’. Gli abusi e i traumi subìti durante il viaggio e la condizione di incertezza e debito verso i trafficanti vissuta dalle vittime una volta che sono giunte a destinazione, le portano infatti a non denunciare, temendo ripercussioni sulla propria incolumità, sulla famiglia o sulla comunità di origine.

Le donne vittime di tratta spesso non denunciano gli abusi subiti per paura di ripercussioni

“La tratta è una forma di violenza di genere che assume molteplici forme - dice Elena Muscarella, responsabile del progetto di ACRA -  evolve nel tempo, si identifica a fatica. Ma quello che vogliamo testimoniare è che dalla tratta si può uscire ed esiste una rete di Associazioni che può sostenere le donne in questo processo”.

Il progetto Cope and Hope

Uscire dalle reti della tratta è molto difficile, ma non impossibile. Con interventi si può tentare e spesso riuscire. Per questo è nato il progetto Cope and Hope, cofinanziato dall’Unione Europea e promosso da ACRA e Passepartout in Italia e da ABD in Spagna, il cui obiettivo è promuovere l’integrazione sociale delle donne cittadine di Paesi Terzi vittime della tratta. Il progetto prevede assistenza e supporto psicologico per la rielaborazione e il superamento del trauma, e supporto socio-economico, in collaborazione con le istituzioni e le associazioni attive sui territori di riferimento, Milano e Barcellona.

Molto importante è l’inserimento lavorativo. Per questo uno degli obiettivi del  progetto è quello di  accompagnare le vittime attraverso la sperimentazione di laboratori che favoriscano autonomia e inclusione sociale. Ne sono un esempio quello tessile in Italia nato in collaborazione con Serpica Naro e quello fotografico organizzato da ABD in Spagna, che ha  coinvolto circa 120 donne.

Grazie al lavoro le vittime di tratta riacquistano autostima, fiducia nelle relazioni e l’indipendenza economica che le rende di nuovo protagoniste del loro destino. Quel destino che l’emarginazione, la violenza, i soprusi, la discriminazione e le vere e proprie torture, avevano indirizzato verso l’inferno della tratta.

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