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Home » HP Trio » Wear me, a Castelfranco Veneto c’è un’azienda dove è possibile portare i figli a lavoro

Wear me, a Castelfranco Veneto c’è un’azienda dove è possibile portare i figli a lavoro

Gli orari di lavoro sono flessibili con la possibilità per i genitori di portare con sé i bambini. Tutto questo succede in Veneto nell'azienda fondata da Virginia Sciré

Edoardo Martini
24 Maggio 2022
mamma con bimbo in fasce

mamma con bimbo in fasce

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La pandemia ha costretto le aziende a ripensare il proprio modello organizzativo a fronte di una maggiore flessibilità e di un lavoro che per molti si è spostato a casa. Tutto questo succede a Castelfranco Veneto nell’azienda fondata da Virginia Sciré.

A Castelfranco Veneto le mamme possono portare i bimbi a lavoro

Wear Me, l’azienda con orari flessibili dove si possono portare figli a lavoro

Orari di lavoro flessibili e possibilità di portare i figli in ufficio in caso di necessità: sono queste le due caratteristiche principali che contraddistinguono l’azienda. L’ufficio, infatti, viene visto come una sorta di casa dove si respira spensieratezza ma soprattutto complicità reciproca. Così la founder Virginia, 44 anni originaria di Ferrara, ha voluto dare l’impronta alla sua azienda insieme alle sue due collaboratrici, viste come un qualcosa di più di due semplici dipendenti, visto che hanno creato l’azienda insieme a lei.

Bisogna chiedersi dunque da come è nata questa brillante idea che al momento conta sui 50mila follower tra Instagram, Facebook e newsletter con un 2021 chiuso con 610 mila euro di ricavi. A fare chiarezza è la stessa fondatrice: “Sono laureata in economia e durante i miei studi ho sempre lavorato facendo un po’ di tutto, poi ho trovato lavoro in una società finanziaria dove sono rimasta fino a pochi mesi dopo esser diventata mamma. Nel 2008 è nato il mio primo figlio e appena tre mesi dopo l’azienda mi ha comunicato il trasferimento a Verona. Insostenibile per me: mio figlio aveva dei problemi di salute che richiedevano la mia presenza”. Così Virginia ha dovuto dimettersi: “All’inizio del 2009, quando lui aveva 7 mesi, penso a come ricollocarmi perché il lavoro è una parte essenziale di me, mi esprime, ma devo trovare il modo di lavorare da casa. Dopo averne parlato con mio marito, decido di aprire un piccolo negozio di Ebay investendo 500 euro proponendo abbigliamento per bambini. Passano due settimane e ho venduto tutto.”

Nel frattempo suo figlio sta meglio e comincia ad andare all’asilo dando modo alla mamma di aprire il suo primo ufficio: “Nel 2010 apro il mio primo e-commerce assumendo Tania, la prima dipendente, che tutt’ora è con me”. Nel 2013 arriva l’illuminazione dovuta alla nascita della sua seconda figlia: “Per continuare a gestire tutto, casa, ufficio e figli, sono costretta a trovare un modo per tenere la piccola in braccio. Provo la fascia e non lascio più”.

La fondatrice: “La fascia mi ha svoltato la vita”

Continua Virginia: “La fascia mi ha svoltato la vita. Dopo essermi informata, nel 2015 apro quindi una community che parla di babywearing ottenendo un grande seguito visto che arrivo alle migliaia di iscrizioni. Ed è proprio in quel momento che propongo le mie fasce. Mostro i disegni, prendo i preordini e li faccio fabbricare da aziende italiane.”

A causa dell’entrata in scena di mostri come H&M non c’è più spazio per realtà piccole come la sua. Virginia decide quindi di chiudere l’e-commerce per aprire la sua impresa per produrre non fasce ma giacche vista la possibilità di portare i bambini durante tutte le stagioni, anche in gravidanza.

La risposta di Virginia contro le accuse di discriminazione sugli uomini

L’ultima accusa dalla quale si deve difendere Virginia è quella contro la discriminazione sugli uomini. Accusa che decade subito vista la pronta risposta della fondatrice: “Assumere mamme per me e per noi, è un modo di creare valore, dando la possibilità a donne, mamme rimaste disoccupate durante il periodo Covid, di rimettersi in gioco. E poi la pratica del portare è ancora tipicamente femminile, anche se le cose stanno cambiando e non escludo in futuro di poter assumere anche uomini, uno, per altro, già lavora al marketing di Wear me.”

 

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  • La storia di Andrea Prudente, cittadina statunitense in vacanza a Malta, riporta sotto i riflettori alcune delle complessità legate all’aborto, che in alcuni Paesi si rivelano più ingombranti che in altri. 

La turista americana è arrivata nell’arcipelago nel Mediterraneo incinta di 16 settimane: ora rischia la vita a causa di un aborto spontaneo, al quale i medici del policlinico Mater Dei non possono porre fine perché il cuore del feto batte ancora. 

La donna rischia la setticemia, infezione dovuta al distaccamento della placenta, ma a Malta, unico Paese dell’Unione Europea in cui l’aborto è vietato in ogni caso, i medici rischiano quattro anni di prigione se interrompono la vita del feto, anche se le acque si sono rotte e a detta degli stessi medici «non c’è alcuna possibilità di sopravvivenza» del bambino.

Il partner della donna, Jay Weeldreyer, ha affermato che la donna «è tenuta in ostaggio in ospedale da una settimana». Costretti a sperare nella morte del feto, Jay ha lanciato un appello affinché almeno la moglie possa essere salvata, denunciando di non aver ricevuto neppure il permesso per il trasferimento in una nazione dove l’aborto è legale. 

«La bambina non vivrà, non si può fare nulla per cambiare l’esito. La volevamo, la vorremmo ancora, la amiamo, vorremmo che sopravvivesse, ma non sarà così, e non solo stiamo perdendo nostra figlia, ma così l’ospedale mette a rischio anche la vita di Andrea». 

La vicenda è stata resa nota dalla Ong “Doctors for Choice”, che teme si ripeta una tragedia come quella di Savita Halappanavar, morta nel 2012 a 31 anni in Irlanda dove le venne negato l’aborto medico dopo un inizio di aborto spontaneo. «Spero che riusciremo a ricevere qualche forma di grazia da Malta e che ci lasci partire. Anche presumendo che non ce la faccia, preferiremmo sperare che Andrea possa sopravvivere al volo» ha concluso Weeldreyer.

#lucenews #lucelanazione #abortion #girlsjustwannahaverights #womenrights #malta #andreaprudente
  • Momento storico per quanto riguarda i diritti della comunità Lgbtqia+ e, più in generale dello sport: la Federcalcio tedesca ha approvato un nuovo regolamento che consentirà alle persone transgender, intersessuali e non binarie di scegliere in autonomia se far parte di squadre femminili o maschili. 

Il regolamento entrerà in vigore nella stagione 2022/2023 ed è stato incorporato nel regolamento di gioco DFB (Federazione calcistica tedesca), nel regolamento giovanile DFB e nel regolamento futsal DFB per il calcio amatoriale. 

«Il calcio - spiega Thomas Hitzlsperger, ambasciatore per la diversità di DFB - è sinonimo di diversità e anche la DFB si impegna in tal senso, creando importanti norme per consentire ai giocatori di diverse identità di genere di giocare.»

In sostanza, il regolamento prevede che i giocatori con la voce di stato civile "diverso" o "non specificati" potranno decidere da soli se essere idonei a giocare per una squadra femminile o maschile.

I giocatori transgender possono cambiare o rimanere nella squadra in cui hanno giocato in precedenza. 

#lucenews #lucelanazione #germania #dfb #transright #lgbtq
  • Un mondo troppo frenetico che non lascia respirare, soprattutto quando si vuole fare la mamma. È questa la storia di Sandra Bullock, l’attrice che sebbene molto soddisfatta del suo successo al momento ha deciso di dire stop.

In realtà già qualche mese fa aveva detto di volersi farsi temporaneamente da parte nel mondo cinema per dedicarsi ai suoi due figli, Louis e Laila, rispettivamente di 12 e 10 anni. 
Questa volta sembra aver deciso per davvero e dopo 30 anni di carriera e una cinquantina di film ha bisogno di avere tempo per se stessa. Ha anche confessato che fare un passo indietro rappresenta una sfida personale per lei.

“Il lavoro è stato sempre costante per me e sono stata davvero fortunata. Mi sono resa conto che stava diventando come la mia stampella. Era come aprire sempre un frigorifero alla ricerca di qualcosa che non c’era mai. Mi sono detta: ‘Smettila di cercarlo qui perché non esiste. Ce l’hai già, e mettiti l’anima in pace che non c’è bisogno che il lavoro ti validi.’”

Vi siete mai sentiti così? Raccontateci il vostro rapporto con il lavoro 👩🏻‍💻

Di Edoardo Martini ✍️

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  • “Ciao a tutti! Siamo Jenny e Viola, la mia bimba di 11 mesi. Stiamo cercando con massima urgenza una stanza in affitto a Firenze (o anche piccolo appartamento). Purtroppo molti proprietari non gradiscono bambini e sto avendo veramente tanta difficoltà a trovare un posto per noi. Vi assicuro che Viola è una bimba tranquillissima, non piange la notte e non crea nessun disturbo! Entro domenica dovremo lasciare la nostra attuale sistemazione, quindi va benissimo anche una soluzione provvisoria di un mese o due! È davvero urgente!”.

Sembra un vero SOS il messaggio postato pochi giorni fa su un gruppo Facebook dedicato agli affitti privati da mamma Jennifer, una giovane donna sola che, nonostante l’urgenza e la reale necessità, non riesce proprio a trovare una sistemazione per sé e per la propria bambina nel capoluogo toscano. 

“Io e la mia bambina abbiamo bisogno di un tetto, dove vivere insieme senza la paura di dover cambiare alloggio ogni due settimane. È un appello che faccio per me ma anche per tante mamme nelle mie stesse condizioni. Ne conosco tante, e giorno dopo giorno incontrano le mie stesse difficoltà”.

Leggi l’intervista a cura di Caterina Ceccuti ✍

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La pandemia ha costretto le aziende a ripensare il proprio modello organizzativo a fronte di una maggiore flessibilità e di un lavoro che per molti si è spostato a casa. Tutto questo succede a Castelfranco Veneto nell'azienda fondata da Virginia Sciré.
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La fondatrice: "La fascia mi ha svoltato la vita"

Continua Virginia: "La fascia mi ha svoltato la vita. Dopo essermi informata, nel 2015 apro quindi una community che parla di babywearing ottenendo un grande seguito visto che arrivo alle migliaia di iscrizioni. Ed è proprio in quel momento che propongo le mie fasce. Mostro i disegni, prendo i preordini e li faccio fabbricare da aziende italiane." A causa dell'entrata in scena di mostri come H&M non c'è più spazio per realtà piccole come la sua. Virginia decide quindi di chiudere l'e-commerce per aprire la sua impresa per produrre non fasce ma giacche vista la possibilità di portare i bambini durante tutte le stagioni, anche in gravidanza.

La risposta di Virginia contro le accuse di discriminazione sugli uomini

L'ultima accusa dalla quale si deve difendere Virginia è quella contro la discriminazione sugli uomini. Accusa che decade subito vista la pronta risposta della fondatrice: "Assumere mamme per me e per noi, è un modo di creare valore, dando la possibilità a donne, mamme rimaste disoccupate durante il periodo Covid, di rimettersi in gioco. E poi la pratica del portare è ancora tipicamente femminile, anche se le cose stanno cambiando e non escludo in futuro di poter assumere anche uomini, uno, per altro, già lavora al marketing di Wear me."  
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