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Home » Scienze e culture » Cambia ruolo, non solo look: la moglie bellona anni Ottanta, diventa la manager del terzo millennio

Cambia ruolo, non solo look: la moglie bellona anni Ottanta, diventa la manager del terzo millennio

Al cinema non mi disturbavano le curve, la sensualità, la bellezza. Mi rattristava invece quel ruolo da eterna valletta, vittima e spalla. I tempi cambiano e Jessica riscatgta quel ruolo non più moglie, individuata tramite il maschio ma imprenditrice contro il crimine. E da investigatrice si lavora meglio con l'impermeabile che col vestitino attillato

Sofia Francioni
22 Settembre 2021
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Sofia Francioni

Ho visto per la prima volta “Chi ha incastrato Roger Rabbit” all’università, avevo 24 anni. Un capolavoro, un’esplosione di stili, dal cartoon al cinema, che mi lasciò senza parole. Poco meno di due indimenticabili ore in cui un coniglio bianco stralunato e pasticcione, il signor Roger Rabbit, e il suo amico-detective Eddie Valiant, lottano contro il crimine della Los Angeles anni Quaranta per salvare dalle grinfie dei malviventi Cartoonia. Mentre dalla cornice della trama sbuca la fatale, seducente, quantomai erotica signora Rabbit, per gli amici Jessica, con le sue curve mozzafiato che ricalcano quelle dell’attrice Rita Hayworth, ma con i capelli di Veronica Lake.

Avevo 24 anni, dicevo, ma quelle curve così urlate, così erotiche, non mi rimasero per niente indigeste. Ad andarmi di traverso, però, fu il ruolo riservato alla signora Rabbit nella trama del film: eterna valletta, eterna vittima, eterna spalla accanto a due personaggi maschili carichi di agentività. E l’impressione latente che dietro le sue mise non ci fosse lo sguardo di una donna, bensì di un uomo.
Guanti rosa, borsetta in tinta, tacchi a spillo (anche loro in tinta) su di un vestito rosso fuoco attillato fino all’inverosimile per mostrare anche la curva più nascosta. Davvero se Jessica Rabbit avesse potuto scegliere si sarebbe vestita così?

E qual era il suo cognome da ragazza?

 

E’ cresciuta, non vive più in funzione di un uomo

Lo sguardo maschile torna ad aleggiare, il bisogno di compiacerlo anche, insieme alla fastidiosa sensazione che la Rabbit – nei suoi abiti succinti – esprimesse in fondo l’eterno mantra del “Sono come tu mi vuoi, Maschio.” Ma lei non aveva colpe, tant’è che, come le fecero dire cambiando la storia del cinema: “Non sono cattiva, è solo che mi disegnano così”.
La disegnavano in effetti così, ma gli anni Ottanta sono passati, oggi siamo nel 2021, e la signora Rabbit – come tutti noi e insieme alla Disney che l’ha prodotta – è cresciuta. Senza rinunciare alle sue iconiche curve, la casa di produzione ha infatti deciso che il personaggio di Jessica d’ora in poi opterà per un look più sobrio, indossando un classico impermeabile da detective grigio. Perché oltre che formale – ed è questo il punto – la rivoluzione della Disney è sostanziale: da essere la moglie dello stralunato Roger e provocante pin up, Jessica diventerà infatti la dirigente della Sua agenzia investigativa per combattere il crimine nella Los Angeles degli anni Quaranta.

A chi sul suo cambio di look grida alla cancel culture e all’autocensura “imposta” dalla dittatura del politically correct, ha già risposto qualche anno fa l’ex dirigente creativo Disney, Mark Sklar, sentenziando che “Il cambiamento è una tradizione a Disneyland”.

 

Ma il tacco 12  resiste al tempo

Da parte mia, che oggi di anni ne ho 27, penso che non sia né sconveniente né importante che Jessica Rabbit valorizzi le sue curve con abiti succinti. Quel che conta è che a scegliere la profondità della scollatura sia lei, il suo sguardo, quello femminile e non sempre e solo quello…dell’altra metà del cielo. Senza tralasciare però un dettaglio importante: che è più comodo fare la detective in impermeabile che indossando un vestitino strizzatissimo.
Sulle scarpe, invece, non ho dubbi: la Rabbit porterà sempre il tacco 12.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Sofia Francioni
Ho visto per la prima volta “Chi ha incastrato Roger Rabbit” all’università, avevo 24 anni. Un capolavoro, un’esplosione di stili, dal cartoon al cinema, che mi lasciò senza parole. Poco meno di due indimenticabili ore in cui un coniglio bianco stralunato e pasticcione, il signor Roger Rabbit, e il suo amico-detective Eddie Valiant, lottano contro il crimine della Los Angeles anni Quaranta per salvare dalle grinfie dei malviventi Cartoonia. Mentre dalla cornice della trama sbuca la fatale, seducente, quantomai erotica signora Rabbit, per gli amici Jessica, con le sue curve mozzafiato che ricalcano quelle dell’attrice Rita Hayworth, ma con i capelli di Veronica Lake. Avevo 24 anni, dicevo, ma quelle curve così urlate, così erotiche, non mi rimasero per niente indigeste. Ad andarmi di traverso, però, fu il ruolo riservato alla signora Rabbit nella trama del film: eterna valletta, eterna vittima, eterna spalla accanto a due personaggi maschili carichi di agentività. E l’impressione latente che dietro le sue mise non ci fosse lo sguardo di una donna, bensì di un uomo. Guanti rosa, borsetta in tinta, tacchi a spillo (anche loro in tinta) su di un vestito rosso fuoco attillato fino all’inverosimile per mostrare anche la curva più nascosta. Davvero se Jessica Rabbit avesse potuto scegliere si sarebbe vestita così? E qual era il suo cognome da ragazza?  

E' cresciuta, non vive più in funzione di un uomo

Lo sguardo maschile torna ad aleggiare, il bisogno di compiacerlo anche, insieme alla fastidiosa sensazione che la Rabbit – nei suoi abiti succinti – esprimesse in fondo l’eterno mantra del “Sono come tu mi vuoi, Maschio.” Ma lei non aveva colpe, tant’è che, come le fecero dire cambiando la storia del cinema: “Non sono cattiva, è solo che mi disegnano così”. La disegnavano in effetti così, ma gli anni Ottanta sono passati, oggi siamo nel 2021, e la signora Rabbit - come tutti noi e insieme alla Disney che l’ha prodotta - è cresciuta. Senza rinunciare alle sue iconiche curve, la casa di produzione ha infatti deciso che il personaggio di Jessica d’ora in poi opterà per un look più sobrio, indossando un classico impermeabile da detective grigio. Perché oltre che formale – ed è questo il punto – la rivoluzione della Disney è sostanziale: da essere la moglie dello stralunato Roger e provocante pin up, Jessica diventerà infatti la dirigente della Sua agenzia investigativa per combattere il crimine nella Los Angeles degli anni Quaranta. A chi sul suo cambio di look grida alla cancel culture e all’autocensura “imposta” dalla dittatura del politically correct, ha già risposto qualche anno fa l’ex dirigente creativo Disney, Mark Sklar, sentenziando che “Il cambiamento è una tradizione a Disneyland”.  

Ma il tacco 12  resiste al tempo

Da parte mia, che oggi di anni ne ho 27, penso che non sia né sconveniente né importante che Jessica Rabbit valorizzi le sue curve con abiti succinti. Quel che conta è che a scegliere la profondità della scollatura sia lei, il suo sguardo, quello femminile e non sempre e solo quello…dell’altra metà del cielo. Senza tralasciare però un dettaglio importante: che è più comodo fare la detective in impermeabile che indossando un vestitino strizzatissimo. Sulle scarpe, invece, non ho dubbi: la Rabbit porterà sempre il tacco 12.
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