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Home » Scienze e culture » I mari del mondo sono in pericolo: per salvarli arriva la Carta Universale dei Diritti degli Oceani

I mari del mondo sono in pericolo: per salvarli arriva la Carta Universale dei Diritti degli Oceani

A Genova si è tenuto il primo di una serie di workshop per scrivere i principi della Carta e presentarli alle Nazioni Unite nel 2023. Dalla plastica al petrolio fino all'inquinamento acustico delle navi, ecco quali sono i rischi per la salvaguardia degli oceani

Domenico Guarino
5 Aprile 2022
I mari del mondo sono in pericolo: per salvarli arriva la Carta Universale dei Diritti degli Oceani

I mari del mondo sono in pericolo: per salvarli arriva la Carta Universale dei Diritti degli Oceani

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Terra di navigatori da sempre: che proprio da Genova partisse il precorso per una Carta Universale dei Diritti degli Oceani, era inscritto nel destino stesso di questa città acquatica, con le spalle alle montagne, che nell’elemento marino ha trovato durante i secoli splendori e ricchezze. E che dal mare, con il mare, rinasce continuamente, in un movimento di risacca che ricorda l’eterno ondeggiare. Lunedì scorso a Genova si è tenuto il primo di una serie di workshop per scriverne i principi della Carta, e presentarli a New York, all’assemblea generale delle Nazioni Unite, a settembre 2023. In questo percorso lungo ed articolato, esperti e personaggi dello sport, dell’industria, della politica e della scienza, di tutto il mondo si confronteranno e discuteranno proprio per definire principi e regole della Carta dei diritti degli oceani.

La plastica costituisce uno dei rischi principali per la salvaguardia degli oceani nel mondo

Coprendo oltre il 70% della Terra, gli oceani sono l’origine e il motore di tutta la vita su questo pianeta: non solo producono più ossigeno dell’Amazzonia e sono la dimora di milioni di specie sottomarine,  ma in più governano il clima, puliscono l’aria, nutrono il mondo, e danno da vivere  a centinaia di milioni di persone. Nonostante ciò (o forse proprio a causa di questo) gli oceani sono in pericolo: dalle emissioni di carbonio alla fuoriuscita di petrolio, dalle materie plastiche galleggianti al rumore del traffico navale. L’evidenza dei dati è addirittura devastante.

L’allarme del World Economic Forum: negli oceani più plastica che pesci entro il 2050

Vediamo in sintesi. Negli oceani, ogni anno, vengono sversate più di otto milioni di tonnellate di plastica e, secondo il  World Economic Forum, entro il 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesci. Già ora si contano 5 isole galleggianti di plastica, a partire dal Great Pacific Garbage Patch, che è stimato equivalente alle dimensioni di Francia, Spagna e Germania messe insieme, è composto da più di 1.8 trilioni di pezzi di thrash, e sta sradicando la vita marina e influendo anche sul clima del mondo. La decomposizione delle plastiche determina poi l’inquinamento della catena alimentare, con effetti a catena di dimensioni ed effetti imprevedibili. Alle plastiche si aggiungono le microfibre prodotte dai materiali tessili sintetici che costituiscono oramai l’85% di tutti i rifiuti sulla spiaggia.

Il Great Pacific Garbage Patch è un’enorme isola galleggiante di plastica nell’Oceano Pacifico. Si stima che le sue dimensioni siano pari a Francia, Spagnia e Germania messe insieme

Dal petrolio all’inquinamento acustico delle navi: tutti i rischi per la salvaguardia degli oceani

Poi c’è il petrolio. Non solo quello sversato direttamente in mare nei disastri della navigazione e con gli scarichi più o meno illegali. Ma anche gli oli provenienti da strade, fiumi e condotte di scolo che, provocano danni irreversibili alla nostra vita. Poi ancora, i concimi: una grande quantità di nutrienti agricoli fluisce nei corpi oceanici. Sostanze chimiche come l’azoto che è dominante nei nutrienti agricoli stimolano la crescita esplosiva delle alghe. Con il passare del tempo, quando le alghe si decompongono, viene consumato l’ossigeno dell’acqua circostante che crea vaste zone morte che alla fine uccidono i pesci nell’area e influenzano la vita marina. Infine, l’inquinamento acustico prodotto dalle navi e delle attività militari come i sottomarini che rilasciano rumori, causando danni a una classe di invertebrati che vivono lungo il fondo dell’oceano.

Il presidente di The Oceane Race, Richard Brisius: “Il 50% dell’ossigeno che respiriamo arriva dagli oceani”

Il presidente Brisius: “Il 50% dell’ossigeno che respiriamo arriva dagli oceani”

“Come velista ho un legame speciale con l’oceano. Lo sport della vela apprezza il fair play e regole giuste, ma non c’è fair play per l’oceano” spiega il presidente di The Ocean Race, Richard Brisius, presentando l’iniziativa che si inserisce nel progetto di sostenibilità “Racing with purpose” della regata. “Dobbiamo partire dai nostri valori – dice -. Pensiamo che il mare sia lì per prendere tutto ciò di cui abbiamo bisogno e buttare tutto ciò che non serve. Dobbiamo invece capire che arriviamo tutti dal mare, che è alla base della vita nel mondo, esempio il 50% dell’ossigeno che respiriamo arriva dagli oceani”. E serve anche conoscerli meglio: “Oggi conosciamo meglio la luna dei fondali marini” sottolinea Antonio Di Natale, biologo marino. “Quando due anni e mezzo fa abbiamo iniziato a parlare di The Ocean race pensavamo alla vela, allo sport, a dare visibilità a Genova con eventi internazionali – dice il sindaco Marco Bucci – Ma c’è qualcosa di più, insieme abbiamo costruito un processo per portare al mondo un messaggio sugli oceani”. Per quanto riguarda la regata, quando arriverà nel capoluogo per la finale “sarà una festa e si mangeranno le trofie con il pesto”, ride Brisius, dopo aver ricordato che si tratta di “una regata per tutto il mondo, non di un Paese contro l’altro”.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown

Terra di navigatori da sempre: che proprio da Genova partisse il precorso per una Carta Universale dei Diritti degli Oceani, era inscritto nel destino stesso di questa città acquatica, con le spalle alle montagne, che nell’elemento marino ha trovato durante i secoli splendori e ricchezze. E che dal mare, con il mare, rinasce continuamente, in un movimento di risacca che ricorda l’eterno ondeggiare. Lunedì scorso a Genova si è tenuto il primo di una serie di workshop per scriverne i principi della Carta, e presentarli a New York, all'assemblea generale delle Nazioni Unite, a settembre 2023. In questo percorso lungo ed articolato, esperti e personaggi dello sport, dell'industria, della politica e della scienza, di tutto il mondo si confronteranno e discuteranno proprio per definire principi e regole della Carta dei diritti degli oceani.

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Il Great Pacific Garbage Patch è un'enorme isola galleggiante di plastica nell'Oceano Pacifico. Si stima che le sue dimensioni siano pari a Francia, Spagnia e Germania messe insieme

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Poi c’è il petrolio. Non solo quello sversato direttamente in mare nei disastri della navigazione e con gli scarichi più o meno illegali. Ma anche gli oli provenienti da strade, fiumi e condotte di scolo che, provocano danni irreversibili alla nostra vita. Poi ancora, i concimi: una grande quantità di nutrienti agricoli fluisce nei corpi oceanici. Sostanze chimiche come l'azoto che è dominante nei nutrienti agricoli stimolano la crescita esplosiva delle alghe. Con il passare del tempo, quando le alghe si decompongono, viene consumato l'ossigeno dell'acqua circostante che crea vaste zone morte che alla fine uccidono i pesci nell'area e influenzano la vita marina. Infine, l'inquinamento acustico prodotto dalle navi e delle attività militari come i sottomarini che rilasciano rumori, causando danni a una classe di invertebrati che vivono lungo il fondo dell'oceano.

Il presidente di The Oceane Race, Richard Brisius: "Il 50% dell'ossigeno che respiriamo arriva dagli oceani"

Il presidente Brisius: "Il 50% dell'ossigeno che respiriamo arriva dagli oceani"

"Come velista ho un legame speciale con l'oceano. Lo sport della vela apprezza il fair play e regole giuste, ma non c'è fair play per l'oceano" spiega il presidente di The Ocean Race, Richard Brisius, presentando l'iniziativa che si inserisce nel progetto di sostenibilità "Racing with purpose" della regata. "Dobbiamo partire dai nostri valori - dice -. Pensiamo che il mare sia lì per prendere tutto ciò di cui abbiamo bisogno e buttare tutto ciò che non serve. Dobbiamo invece capire che arriviamo tutti dal mare, che è alla base della vita nel mondo, esempio il 50% dell'ossigeno che respiriamo arriva dagli oceani". E serve anche conoscerli meglio: "Oggi conosciamo meglio la luna dei fondali marini" sottolinea Antonio Di Natale, biologo marino. "Quando due anni e mezzo fa abbiamo iniziato a parlare di The Ocean race pensavamo alla vela, allo sport, a dare visibilità a Genova con eventi internazionali - dice il sindaco Marco Bucci - Ma c'è qualcosa di più, insieme abbiamo costruito un processo per portare al mondo un messaggio sugli oceani". Per quanto riguarda la regata, quando arriverà nel capoluogo per la finale "sarà una festa e si mangeranno le trofie con il pesto", ride Brisius, dopo aver ricordato che si tratta di "una regata per tutto il mondo, non di un Paese contro l'altro".

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