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Home » Scienze e culture » Dagli abusi sessuali alla laurea: la storia di Joy Ehikioya, nigeriana, discriminata perché albina

Dagli abusi sessuali alla laurea: la storia di Joy Ehikioya, nigeriana, discriminata perché albina

La 23enne, grazie al programma di accoglienza dell'Università trentina, ha saputo lasciarsi alle spalle l'emarginazione e le umiliazioni subite in passato per costruirsi un brillante futuro

Francesco Lommi
1 Ottobre 2021
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Una laurea è un grande traguardo nella vita di tutti, ma se fino a cinque anni prima di conseguirla il vero problema era la sopravvivenza, tutto assume un significato e un sapore diverso: quello di riprendere le briglia della propria vita. Questo è quanto successo a Joy Ehikioya, ragazza 23enne nigeriana. La giovane si è appena laureata in in Comparative European and International Legal Studies, un particolare indirizzo, con lezioni completamente in inglese, del corso di giurisprudenza offerto dall’Università di Trento, nel quale Joy è entrata grazie al progetto accoglienza richiedenti asilo dell’istituto Trentino: un’iniziativa che garantisce ai migranti vitto e alloggio, oltre la possibilità di frequentare un corso a scelta.

La storia di Joy è fatta di violenze e discriminazioni. La ragazza infatti è albina, una caratteristica fisica che nel suo paese d’origine, la Nigeria, non è affatto vista di buon occhio: “La mia famiglia cercava di ridurre al minimo il contatto con il mondo esterno perché gli albini, in Nigeria, sono discriminati e spesso perseguitati”. Infatti Joy, fin dalla sua infanzia, ha dovuto sopportare bullismo, minacce e violenza costringendola più volte a cambiare abitudini, routine e addirittura città.

Nel gennaio 2016, l’episodio che le ha completamente stravolto la vita: “Erano le 6.30, e mi stavo preparando per uscire. L’orario era stato scelto appositamente per trovare meno persone possibili sul mio cammino dandomi la possibilità di rientrare a casa prima che tutti uscissero per andare a lavorare. Andavo a correre e cercavo di non allontanarmi troppo per poter tornare a casa qualora mi fossi sentita in pericolo. Mentre camminavo a due isolati da casa, due uomini mi hanno immobilizzata e poi costretta nel baule di un’auto. Non sono più riuscita ad opporre resistenza e sono svenuta”. Al suo risveglio, Joy si ritrova legata ad un letto con due uomini intorno: “Albina, per piacere, fai che la tua testa ci porti molto denaro. Fai che per noi non ci sia sofferenza per il resto della vita” intonavano a modo di canto i due. Una volta terminato il rito, i suoi aguzzini l’hanno bloccata e stuprata: “Ho sperato in una morte naturale. Sono riuscita a fuggire dopo due giorni scappando da una finestra rotta. Sono arrivata in Libia nel bagagliaio di un auto e qui uno degli uomini che mi aveva comprata si è pentito e mi ha condotto in spiaggia per salire su un barcone diretto per l’Italia”. Da quel momento, con l’ingresso nel programma di accoglienza dell’Università di Trento, è iniziato un nuovo capitolo della vita di Joy che con una forza fuori dal comune ha saputo riprendere in mano la sua vita.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Una laurea è un grande traguardo nella vita di tutti, ma se fino a cinque anni prima di conseguirla il vero problema era la sopravvivenza, tutto assume un significato e un sapore diverso: quello di riprendere le briglia della propria vita. Questo è quanto successo a Joy Ehikioya, ragazza 23enne nigeriana. La giovane si è appena laureata in in Comparative European and International Legal Studies, un particolare indirizzo, con lezioni completamente in inglese, del corso di giurisprudenza offerto dall’Università di Trento, nel quale Joy è entrata grazie al progetto accoglienza richiedenti asilo dell’istituto Trentino: un’iniziativa che garantisce ai migranti vitto e alloggio, oltre la possibilità di frequentare un corso a scelta. La storia di Joy è fatta di violenze e discriminazioni. La ragazza infatti è albina, una caratteristica fisica che nel suo paese d’origine, la Nigeria, non è affatto vista di buon occhio: “La mia famiglia cercava di ridurre al minimo il contatto con il mondo esterno perché gli albini, in Nigeria, sono discriminati e spesso perseguitati”. Infatti Joy, fin dalla sua infanzia, ha dovuto sopportare bullismo, minacce e violenza costringendola più volte a cambiare abitudini, routine e addirittura città. Nel gennaio 2016, l’episodio che le ha completamente stravolto la vita: “Erano le 6.30, e mi stavo preparando per uscire. L’orario era stato scelto appositamente per trovare meno persone possibili sul mio cammino dandomi la possibilità di rientrare a casa prima che tutti uscissero per andare a lavorare. Andavo a correre e cercavo di non allontanarmi troppo per poter tornare a casa qualora mi fossi sentita in pericolo. Mentre camminavo a due isolati da casa, due uomini mi hanno immobilizzata e poi costretta nel baule di un’auto. Non sono più riuscita ad opporre resistenza e sono svenuta”. Al suo risveglio, Joy si ritrova legata ad un letto con due uomini intorno: “Albina, per piacere, fai che la tua testa ci porti molto denaro. Fai che per noi non ci sia sofferenza per il resto della vita” intonavano a modo di canto i due. Una volta terminato il rito, i suoi aguzzini l’hanno bloccata e stuprata: “Ho sperato in una morte naturale. Sono riuscita a fuggire dopo due giorni scappando da una finestra rotta. Sono arrivata in Libia nel bagagliaio di un auto e qui uno degli uomini che mi aveva comprata si è pentito e mi ha condotto in spiaggia per salire su un barcone diretto per l’Italia”. Da quel momento, con l'ingresso nel programma di accoglienza dell'Università di Trento, è iniziato un nuovo capitolo della vita di Joy che con una forza fuori dal comune ha saputo riprendere in mano la sua vita.
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