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Svolta ambientalista in Danimarca: si riconvertono piattaforme petrolifere per stoccare Co2

Il progetto si basa sulla Carbon Capture and Storage, ovvero sull'immissione di carbonio nei siti che in precedenza hanno ospitato il greggio. Il primo sito sorgerà nel 2025

di DOMENICO GUARINO -
5 febbraio 2023
Offshore oil platform at sunset. Offshore oil platform at sunset.

Offshore oil platform at sunset. Offshore oil platform at sunset.

Raccogliere enormi quantità di carbonio riconvertendo piattaforme petrolifere nel Mare del Nord: è il fulcro del progetto Greendand, messo a punto dalla Danimarca con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Nello specifico la prima piattaforma interessata al processo sarà la Nini A, collocata a circa 200 km al largo delle coste settentrionali del Paese, che verrà attrezzata per invertire il suo flusso. E dunque, anziché "succhiare" petrolio dal sottosuolo, pomperà CO2 liquefatta a circa 1.800m sotto il fondo del mare all'interno di una formazione che in passato ha ospitato petrolio. In pratica si tratta di riempire con il carbonio prodotto dalla combustione dei fossili il sito da cui questi fossili sono stati estratti. Semplice e geniale, allo stesso tempo. Funzionerà?

La tecnologia Carbon Capture and Storage

Come funziona la tecnologia Carbon Capture and Storage

La tecnologia è nota come "Carbon Capture and Storage" e permette di sottrarre dall'aria, in modo permanente, i gas serra tra cui soprattutto l'anidride carbonica. Il primo impianto industriale al mondo di questo tipo è stato sviluppato in svizzera dalla Climeworks ed è stato messo in funzione nel 2017 a Hinwil, a qualche chilometro da Zurigo. L'esempio svizzero è stato seguito da molti altri Paesi, soprattutto dagli Stati Uniti. La Danimarca prevede di iniziare entro il 2025 a 'sequestrare' il carbonio ad un ritmo di 1,5 milioni di tonnellate all'anno, salendo progressivamente a 8 milioni di tonnellate all'anno entro il 2030. Si tratta di oltre il 13% delle attuali emissioni dello Stato. Ma se le previsioni più ottimistiche si rivelassero giuste, il Paese scandinavo potrebbe addirittura stoccare in questi serbatoi sotterranei tutto il carbonio mai creato nella sua storia, e anche di più. Il progetto fa parte di un piano di incentivi da 2,16 miliardi di euro spalmati su 10 anni per accelerare l’adozione di tecnologia CCS nei settori hard-to-abate. Copenhagen ha anche promesso di interrompere l’estrazione di petrolio e gas dal Mare del Nord, puntando sul sequestro della CO2 su vasta scala, ed impegnandosi parallelamente a tagliare le emissioni del 70% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Secondo i piani, non saranno più approvate nuove concessioni che consentano alle aziende di cercare e produrre gas naturale e petrolio, mentre quelle già emesse resteranno valide fino al 2050. Si tratta di una delle misure più drastiche approvate finora da un Paese produttore di greggio: la Danimarca infatti è il più grande produttore di petrolio dell’Unione Europea (anche se ne produce molto meno di Norvegia e Regno Unito che, pur geograficamente vicini, non fanno parte dell’Unione Europea).

Un progetto ambizioso ma i dubbi rimangono

Siamo di fronte ad una scelta molto coraggiosa, uno dei target più alti al mondo. Un obiettivo particolarmente ambizioso che non a caso sta suscitando non poche perplessità e non poche critiche. Secondo il Consiglio climatico, un organo indipendente che monitora la politica climatica nazionale, le previsioni del governo non sono infatti accompagnate da strumenti adeguati. Il punto debole sarebbe l’affidarsi eccessivamente a tecnologie ancora allo stato embrionale e poco diffuse, come appunto la cattura e il sequestro di CO2. Quel che è certo è che il primo impianto CCS nel mare del Nord non entrerà in funzione prima del 2025 e, a un anno dall’avvio, non dovrebbe iniettare nei fondali più di 0,4 mln di t di anidride carbonica.

L'impegno contro il cambiamento climatico

Le piattaforme petrolifere verranno riconvertite per 'sequestrare' il carbonio ad un ritmo di 1,5 milioni di tonnellate all'anno

Per il governo invece il piano regge eccome. Il ministro dell’Ambiente danese, Dan Jorgensen, ha detto: "Stiamo mettendo fine all’era dei combustibili fossili, questa decisione avrà conseguenze in tutto il mondo". In Danimarca al momento ci sono 55 piattaforme estrattive e 20 giacimenti di gas naturale e petrolio: secondo l’Agenzia dell’energia danese, quest’anno il Paese produrrà una media di oltre 100mila barili di petrolio e gas naturale al giorno. Nel 2019 l’industria energetica ha rappresentato l’1,1 per cento del Pil nazionale, e secondo il governo rinunciarci costerà al paese 13 miliardi di corone danesi, pari a 1,75 miliardi di euro. Allo steso tempo la Danimarca è uno degli Stati più impegnati nella lotta al cambiamento climatico. Nel 1990 si era impegnata a ridurre del 70% la quantità di emissioni di gas serra entro il 2030 ed era stato tra i primi a sfruttare l’energia eolica: per esempio sono danesi le aziende Ørsted, il più grande produttore di parchi eolici in mare aperto e negli oceani, e Vestas Wind Systems AS, che realizza turbine eoliche. La Danimarca prevede anche di aumentare l’energia eolica in mare aperto entro il 2030 e si è impegnata a raggiungere, entro il 2050, la “neutralità climatica” o “emissioni zero”, cioè l’equilibrio tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica.