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Home » Scienze e culture » Disabilità, tra scuola e tempo libero: abbattere le barriere fisiche e culturali per ripensare il concetto in chiave sociale

Disabilità, tra scuola e tempo libero: abbattere le barriere fisiche e culturali per ripensare il concetto in chiave sociale

Istruzione, lavoro, trasporti: sono tanti gli ambiti in cui le persone con disabilità fanno i conti ogni giorno e nel nostro Paese nelle agende politiche il tema non risulta preponderante. I dati, però, ci mostrano una panoramica tutt'altro che inclusiva

Domenico Guarino
12 Dicembre 2021
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La dimensione sociale, inopinatamente trascurata nella valutazione delle politiche per la disabilità, è invece un elemento centrale. Si pensi che, in Italia, secondo dati Open polis, il 13,3% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi si dichiara per niente soddisfatto del proprio tempo libero. Tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 4,1%, tre volte meno. Ancora: il 31,9% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi si dichiara infatti poco o per niente soddisfatto delle proprie relazioni di amicizia. Tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 9,9%.
Da cosa deriva questo sentimento? La risposta più semplice sarebbe quella di ‘confinare’ il disabile nella sfera della persona soggettivamente influenzata in maniera negativa dalla propria condizione. Quella più oggettiva, invece, va ad analizzare il complesso di cause che determinano tale insoddisfazione, a partire dalla possibilità di accedere ai ‘contesti formali ed informali di apprendimento’, dalla scuola dunque, allo sport organizzato alle attività culturali, oltre che ad attività ludiche, ricreative e sociali in compagnia dei coetanei. Sotto questo aspetto la strada da percorrere è ancora tanta. Troppa. Anche perché la disabilità continua ad essere un tema piuttosto trascurato dalle agende politiche.

Le barriere nella vita reale

Un’indagine condotta negli anni scorsi dall’Istituto statistico Ue ha provato a misurare, per ciascun Paese, la presenza di barriere nei 10 ambiti della vita rilevanti secondo le nuove classificazioni Icf (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute). Tra queste, ad esempio, quelle relative alla mobilità, all’uso dei trasporti, all’accessibilità degli edifici. Ma anche nei percorsi di educazione e formazione, nell’occupazione, nell’ambito economico, così come nell’uso delle tecnologie, nei contatti sociali e nelle attività ricreative. Nel confronto con gli altri stati Ue, il nostro Paese mostra risultati variabili rispetto alla presenza di barriere in ambiti come mobilità, trasporti e accessibilità degli edifici. Se su quest’ultimo aspetto la quota di giovani disabili (15-44 anni) che segnala la presenza di barriere è inferiore alla media Ue (19,3% contro 25,6%), il trasporto viene individuato come ambito problematico dal 27,86% delle persone con disabilità (media Ue 21,84%). L’esistenza di barriere nell’istruzione riguarda invece a il 28% dei disabili europei tra 15 e 44 anni, quota che sale al 46% in ambito di lavoro e occupazione e quasi al 56% nelle attività ricreative legate al tempo libero.

Oltre il 40% dei giovani con disabilità segnala la presenza di barriere nell’ambito del tempo libero. Rimuovere questi ostacoli determinerebbe una conseguenza immediatamente positiva sulla qualità della vita delle persone, ed in particolare dei minori, con disabilità. Secondo l’Istat (2017), infatti, un grado di soddisfazione elevata per la propria vita riguarda il 38,2% degli occupati e il 30,5% tra i laureati. E non è un caso se tra le persone con disabilità che partecipano alla vita culturale si riscontra un significativo aumento del livello di soddisfazione: se infatti solo il 19,2% delle persone con limitazioni gravi è molto soddisfatto per la propria vita, tra quelle che partecipano ad attività culturali la quota sale al 37%. A fronte di questo appena il 22,8% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi ha partecipato ad attività culturali, come spettacoli o visita a musei (tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 34,9%).

L’ambito scolastico

Ma è soprattutto la scuola, nella sua interezza, a dimostrarsi ancora particolarmente carente (ne avevamo parlato qui qualche mese fa). Basti pensare che nell’anno scolastico 2019/20 meno di un terzo delle scuole italiane è risultato completamente accessibile rispetto alle barriere fisiche e solo il 18,3% dispone di almeno un facilitatore per il superamento delle barriere senso-percettive. Oltre il 40% delle strutture non è accessibile per l’assenza di ascensore, oppure perché questo non è a norma, così come, in più di un edificio su 4, non lo sono i bagni (25,8% scuole statali e non statali). In particolare, nel Mezzogiorno, il 49,9% delle scuole è risultato inaccessibile per la presenza di barriere fisiche (43,6% nel Nord, 45,8% nel Centro). Rispetto alle barriere senso-percettive, il 60,2% delle scuole italiane non disponeva di nessun facilitatore (segnali acustici, segnali visivi, percorsi tattici). Quota che sale al 63,6% nelle scuole meridionali e che supera il 70% in Sardegna.

A complicare le cose ovviamente ci s’è messa di mezzo la pandemia, che ha avuto un impatto sicuramente negativo sull’inclusione scolastica delle persone con disabilità e con bisogni educativi speciali. La didattica a distanza e il distanziamento fisico, imposti dall’esigenza di contenere i contagi, hanno infatti reso molto più difficile sia lo sviluppo di relazioni con i coetanei che il supporto degli insegnanti, al punto che il 59,6% dei docenti delle scuole primarie ha segnalato una rimodulazione dei piani educativi (fonte: Indire). Le rilevazioni di Istat testimoniano, in maniera drammaticamente evidente, queste difficoltà: durante il primo lockdown più del 23% degli alunni con disabilità non ha partecipato alle lezioni in didattica a distanza, a fronte di una media dell’8%. Quota che sale ulteriormente nel Mezzogiorno, attestandosi poco sotto il 30%. Tra gli alunni con disabilità, sono oltre 70mila quelli per cui seguire la dad nei primi mesi è risultato impossibile, per una serie di motivi. Su tutti, viene addotta la gravità della patologia (27% dei casi). In un caso su 5 sono state citate difficoltà da parte dei familiari nell’attivazione della dad e il terzo motivo più frequente (17%) è un disagio socio-economico della famiglia, che quindi si va a sommare a una situazione di disabilità.

Infine la questione dell’accesso alle scuole. Solo 14,4% delle persone con disabilità si sposta con mezzi pubblici urbani, contro una media di tutta la popolazione del 25,5%. E su 40.160 edifici scolastici statali presenti in Italia, solo 17mila circa dispongono di un servizio di trasporto dedicato agli alunni con disabilità, con un un’ampia variabilità regionale: si va da 3 edifici su 4 che dispongono del servizio in Valle d’Aosta a meno di 1 su 3 in Veneto e Campania (fonte: Miur, 2018). In tutte le altre regioni la quota di edifici raggiungibili con il trasporto disabili si colloca al di sotto del 50%. E, in particolare, si attesta al di sotto della media nazionale in 7 regioni. Tra queste la Sardegna, che con il 42,2% è sostanzialmente in linea con il dato medio.

Cambiare definizione per cambiare prospettiva

Ma cos’è la disabilità? Non è facile rispondere a questa domanda. O meglio, per lungo tempo abbiamo creduto che fosse la semplice conseguenza di caratteristiche fisiche o psicologiche non conformi alla ‘norma’. Solo che, da una parte, il concetto di norma è tutt’altro che semplice da definire, dall’altra, ognuno di noi può sentirsi dis-abile in determinati contesti. Più propriamente, dunque, la disabilità è la condizione che ciascuno può patire in un ambiente non accogliente, caratterizzato dalla negazione di diritti. E per i minori, a partire da quello all’istruzione. Alla vigilia dell’emergenza Covid, erano quasi 300mila i bambini e ragazzi con disabilità nelle scuole italiane. Per loro inclusione significa rimuovere le barriere non solo fisiche, ma anche culturali nei confronti della disabilità. Perché la persona disabile non è un mero utente di servizi, ma, appunto, una persona con diritti da garantire. Non è un caso se, sin dal 2001, l’Oms ha abbandonato un approccio meramente clinico individuando nella disabilità “il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive”. Adottando questo punto di vista, tutto cambia, perché chiunque si trovi ad affrontare un problema di salute può vivere una disabilità ed è compito della collettività eliminare o ridurre al massimi le discriminazioni e gli svantaggi che derivano da questa condizione. Ed infatti la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, all’art. 1 specifica che il concetto di inclusione ha a che fare con la rimozione delle “barriere sia fisiche che culturali in tutti gli ambiti della vita quotidiana”.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
La dimensione sociale, inopinatamente trascurata nella valutazione delle politiche per la disabilità, è invece un elemento centrale. Si pensi che, in Italia, secondo dati Open polis, il 13,3% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi si dichiara per niente soddisfatto del proprio tempo libero. Tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 4,1%, tre volte meno. Ancora: il 31,9% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi si dichiara infatti poco o per niente soddisfatto delle proprie relazioni di amicizia. Tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 9,9%. Da cosa deriva questo sentimento? La risposta più semplice sarebbe quella di 'confinare' il disabile nella sfera della persona soggettivamente influenzata in maniera negativa dalla propria condizione. Quella più oggettiva, invece, va ad analizzare il complesso di cause che determinano tale insoddisfazione, a partire dalla possibilità di accedere ai 'contesti formali ed informali di apprendimento', dalla scuola dunque, allo sport organizzato alle attività culturali, oltre che ad attività ludiche, ricreative e sociali in compagnia dei coetanei. Sotto questo aspetto la strada da percorrere è ancora tanta. Troppa. Anche perché la disabilità continua ad essere un tema piuttosto trascurato dalle agende politiche.

Le barriere nella vita reale

Un'indagine condotta negli anni scorsi dall'Istituto statistico Ue ha provato a misurare, per ciascun Paese, la presenza di barriere nei 10 ambiti della vita rilevanti secondo le nuove classificazioni Icf (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute). Tra queste, ad esempio, quelle relative alla mobilità, all'uso dei trasporti, all'accessibilità degli edifici. Ma anche nei percorsi di educazione e formazione, nell'occupazione, nell'ambito economico, così come nell'uso delle tecnologie, nei contatti sociali e nelle attività ricreative. Nel confronto con gli altri stati Ue, il nostro Paese mostra risultati variabili rispetto alla presenza di barriere in ambiti come mobilità, trasporti e accessibilità degli edifici. Se su quest'ultimo aspetto la quota di giovani disabili (15-44 anni) che segnala la presenza di barriere è inferiore alla media Ue (19,3% contro 25,6%), il trasporto viene individuato come ambito problematico dal 27,86% delle persone con disabilità (media Ue 21,84%). L'esistenza di barriere nell'istruzione riguarda invece a il 28% dei disabili europei tra 15 e 44 anni, quota che sale al 46% in ambito di lavoro e occupazione e quasi al 56% nelle attività ricreative legate al tempo libero. Oltre il 40% dei giovani con disabilità segnala la presenza di barriere nell’ambito del tempo libero. Rimuovere questi ostacoli determinerebbe una conseguenza immediatamente positiva sulla qualità della vita delle persone, ed in particolare dei minori, con disabilità. Secondo l’Istat (2017), infatti, un grado di soddisfazione elevata per la propria vita riguarda il 38,2% degli occupati e il 30,5% tra i laureati. E non è un caso se tra le persone con disabilità che partecipano alla vita culturale si riscontra un significativo aumento del livello di soddisfazione: se infatti solo il 19,2% delle persone con limitazioni gravi è molto soddisfatto per la propria vita, tra quelle che partecipano ad attività culturali la quota sale al 37%. A fronte di questo appena il 22,8% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi ha partecipato ad attività culturali, come spettacoli o visita a musei (tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 34,9%).

L'ambito scolastico

Ma è soprattutto la scuola, nella sua interezza, a dimostrarsi ancora particolarmente carente (ne avevamo parlato qui qualche mese fa). Basti pensare che nell'anno scolastico 2019/20 meno di un terzo delle scuole italiane è risultato completamente accessibile rispetto alle barriere fisiche e solo il 18,3% dispone di almeno un facilitatore per il superamento delle barriere senso-percettive. Oltre il 40% delle strutture non è accessibile per l'assenza di ascensore, oppure perché questo non è a norma, così come, in più di un edificio su 4, non lo sono i bagni (25,8% scuole statali e non statali). In particolare, nel Mezzogiorno, il 49,9% delle scuole è risultato inaccessibile per la presenza di barriere fisiche (43,6% nel Nord, 45,8% nel Centro). Rispetto alle barriere senso-percettive, il 60,2% delle scuole italiane non disponeva di nessun facilitatore (segnali acustici, segnali visivi, percorsi tattici). Quota che sale al 63,6% nelle scuole meridionali e che supera il 70% in Sardegna. A complicare le cose ovviamente ci s’è messa di mezzo la pandemia, che ha avuto un impatto sicuramente negativo sull’inclusione scolastica delle persone con disabilità e con bisogni educativi speciali. La didattica a distanza e il distanziamento fisico, imposti dall’esigenza di contenere i contagi, hanno infatti reso molto più difficile sia lo sviluppo di relazioni con i coetanei che il supporto degli insegnanti, al punto che il 59,6% dei docenti delle scuole primarie ha segnalato una rimodulazione dei piani educativi (fonte: Indire). Le rilevazioni di Istat testimoniano, in maniera drammaticamente evidente, queste difficoltà: durante il primo lockdown più del 23% degli alunni con disabilità non ha partecipato alle lezioni in didattica a distanza, a fronte di una media dell'8%. Quota che sale ulteriormente nel Mezzogiorno, attestandosi poco sotto il 30%. Tra gli alunni con disabilità, sono oltre 70mila quelli per cui seguire la dad nei primi mesi è risultato impossibile, per una serie di motivi. Su tutti, viene addotta la gravità della patologia (27% dei casi). In un caso su 5 sono state citate difficoltà da parte dei familiari nell'attivazione della dad e il terzo motivo più frequente (17%) è un disagio socio-economico della famiglia, che quindi si va a sommare a una situazione di disabilità. Infine la questione dell'accesso alle scuole. Solo 14,4% delle persone con disabilità si sposta con mezzi pubblici urbani, contro una media di tutta la popolazione del 25,5%. E su 40.160 edifici scolastici statali presenti in Italia, solo 17mila circa dispongono di un servizio di trasporto dedicato agli alunni con disabilità, con un un’ampia variabilità regionale: si va da 3 edifici su 4 che dispongono del servizio in Valle d'Aosta a meno di 1 su 3 in Veneto e Campania (fonte: Miur, 2018). In tutte le altre regioni la quota di edifici raggiungibili con il trasporto disabili si colloca al di sotto del 50%. E, in particolare, si attesta al di sotto della media nazionale in 7 regioni. Tra queste la Sardegna, che con il 42,2% è sostanzialmente in linea con il dato medio.

Cambiare definizione per cambiare prospettiva

Ma cos'è la disabilità? Non è facile rispondere a questa domanda. O meglio, per lungo tempo abbiamo creduto che fosse la semplice conseguenza di caratteristiche fisiche o psicologiche non conformi alla 'norma'. Solo che, da una parte, il concetto di norma è tutt’altro che semplice da definire, dall’altra, ognuno di noi può sentirsi dis-abile in determinati contesti. Più propriamente, dunque, la disabilità è la condizione che ciascuno può patire in un ambiente non accogliente, caratterizzato dalla negazione di diritti. E per i minori, a partire da quello all’istruzione. Alla vigilia dell'emergenza Covid, erano quasi 300mila i bambini e ragazzi con disabilità nelle scuole italiane. Per loro inclusione significa rimuovere le barriere non solo fisiche, ma anche culturali nei confronti della disabilità. Perché la persona disabile non è un mero utente di servizi, ma, appunto, una persona con diritti da garantire. Non è un caso se, sin dal 2001, l’Oms ha abbandonato un approccio meramente clinico individuando nella disabilità "il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive". Adottando questo punto di vista, tutto cambia, perché chiunque si trovi ad affrontare un problema di salute può vivere una disabilità ed è compito della collettività eliminare o ridurre al massimi le discriminazioni e gli svantaggi che derivano da questa condizione. Ed infatti la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, all’art. 1 specifica che il concetto di inclusione ha a che fare con la rimozione delle "barriere sia fisiche che culturali in tutti gli ambiti della vita quotidiana".
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