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Home » Scienze e culture » Ersilia Vaudo Scarpetta: “All’Esa la diversità è nel Dna, ma serve anche inclusione. Tutti possono andare nello spazio”

Ersilia Vaudo Scarpetta: “All’Esa la diversità è nel Dna, ma serve anche inclusione. Tutti possono andare nello spazio”

In occasione della giornata mondiale della diversità culturale, la Chief diversity officer dell'Agenzia Spaziale Europea ci spiega il valore della diversità e dell'inclusione all'interno dell'organizzazione. E dà un consiglio alle giovani donne: "Studiate matematica, studiate Fisica, vi danno dei superpoteri. E andate a prendervi la Luna"

Rita Bartolomei
26 Maggio 2021
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Ersilia Vaudo Scarpetta, 58 anni, è un’astrofisica, dal 2017 Chief diversity officer all’Agenzia Spaziale Europea. Sul sito dell’Esa spiega la sua missione così: “supportare il direttore generale proponendo azioni per accrescere la ricchezza di diversità dell’Agenzia e garantire l’inclusione. Un percorso su molti assi, da quello geografico al genere, dalla disabilità ai diritti Lgbt all’età (senza ansie di rottamazione)”.

Sposata, mamma di due figli, si sposta da Gaeta a Roma per studiare Fisica alla Sapienza. Da lì al mondo. Assunta all’Esa ad appena 28 anni. Tra le sue tappe c’è anche Washington, dove cura le relazioni con la Nasa. Ora vive a Parigi. Divulgatrice appassionata di scienza, curatrice della XXIII Triennale di Milano (dal 20 maggio al 20 novembre 2022). Oggi, nella giornata mondiale della diversità culturale istituita dall’Onu, parlerà di inclusione nelle missioni spaziali su Stream, evento digitale legato al festival della Scienza (festivalscienza.online). Educata dalla mamma – laureata in chimica e biologia – a riconoscere zucchero e sale dalle formule chimiche scritte sulle etichette dei barattoli, era inevitabile all’inizio qualche incidente di percorso. Incoraggia le ragazze così: “Studiate fisica! Vi dà dei superpoteri”. Donna di fascino, quando la si ascolta si pensa prima di tutto che si diverte a fare quel che fa.

 

Il suo ruolo non è così comune in Italia. Non a caso dobbiamo tradurre la definizione dall’inglese. Cosa fa da Chief diversity officer all’Agenzia spaziale europea?

“Noi come Esa abbiamo la diversità nel nostro Dna, sicuramente quella geografica. Ventidue stati membri, che parlano 17 lingue. Sappiamo già che mettendo insieme prospettive, punti di vista, culture, riusciamo a realizzare cose che nessun paese da solo potrebbe fare, come atterrare con Rosetta su una cometa o mandare sonde su Marte”.

Lei ha detto: la diversità aumenta la produttività di un’azienda. Perché?

“Sappiamo che le idee nascono dalla tensione, dai diversi approcci. Quindi circondarsi di persone ‘uguali’ diminuisce la possibilità di intravedere soluzioni nuove. McKinsey e molti altri rapporti dimostrano, ad esempio, cifre alla mano, che nel privato le aziende con più diversità sotto tanti ‘assi’ raggiungono il 35% in più di profitto”.

Cosa si fa all’Esa per raggiungere l’obiettivo?

“Intanto parliamo sempre di diversità e inclusione. C’è una bella differenza. Come essere invitati a una festa ed essere invitati a ballare”.

Per scongiurare il rischio di rimanere  in un angolo tutta la sera.

“Non basta avere numeri di diversità. La scintilla scatta quando l’inclusione funziona. Quando i punti di vista vengono ascoltati, valorizzati, ognuno si sente tranquillo di essere quel che è”.

Gli assi, diceva.

“C’è quello geografico ma è anche una questione legata al genere. Perché i settori tecnico-scientifici soffrono di una ridotta presenza femminile”.

Attirare sempre più le ragazze verso le carriere spaziali ma non solo. Un esempio sui diritti Lgbt?

“Stiamo facendo uno screening contro ogni possibile discriminazione. Vale rispetto ai congedi o alle coppie, al di là del genere. Questa cosa è importante per lo staff ma anche per i giovani”.

Perché?

“Chi si affaccia a un’organizzazione non guarda solo qual è il business ma anche quali sono i valori, riflessi nel regolamento del personale. Diversità e inclusione passano poi dagli assi dell’età, per allargare lo spettro, e dalle persone con disabilità. Per la prima volta nella storia, con l’ultima campagna, verificheremo le condizioni per poter portare nello spazio anche para-astronauti (Qui l’articolo di Luce dove avevamo parlato dell’iniziativa, ndr)”.

Quando sarà possibile?

“Sicuramente molto prima di quando sarebbe successo se non fossimo partiti con questo progetto. Vogliamo essere certi che ci siano tutte le condizioni di sicurezza e di utilità. L’astronauta con disabilità nello spazio non è un turista”.

Alle ragazze viene promessa la luna. Lei le sprona a prendersela, alla lettera. Con quali risultati?

“Nel 2017, tra le domande per lavorare all’Esa, ne arrivavano dalle donne una su sei. Oggi siamo a una su tre. Un bel risultato”.

Quali sono gli ostacoli ancora da rimuovere?

“Il problema di avere poche ragazze nelle materie Stem comincia alle elementari, dove si forma questa identità. Inizia da un’esclusione dalla matematica”.

La temutissima matematica?

“Sì, perché è un linguaggio abilitante. Tra gli adolescenti in Italia abbiamo la più grande differenza di genere nelle competenze in questa disciplina. Una volta che le ragazze restano fuori, poi non vanno a scegliere fisica all’università. Quindi il problema comincia con l’inclusione nella matematica alle elementari. Per tutti”.

Per i bambini ha creato un’associazione, “Il cielo itinerante”. Andrà in giro con un telescopio e un pulmino?

“Questo è il mio spazio privato. L’idea nasce da un’esperienza fatta l’anno scorso in un campo Stem a Forcella (Napoli), in una zona di grande disagio sociale. I bambini si sono sporcati le mani, hanno fatto cose bellissime. Poi sono stata ispirata da un’amica astrofisica africana: in Kenya lei e il marito hanno caricato un telescopio su una macchina e hanno fatto il giro dei villaggi”.

Il suo tour, invece?

“A luglio faremo tappa in Sicilia, Calabria e Puglia. Poi organizzeremo altri campi spaziali a settembre. Abbiamo deciso di creare un’associazione che si occupi di povertà educativa. Per portare un telescopio, in collaborazione con altri gruppi sul territorio, e far passare un pomeriggio tra esperimenti, laboratori e osservazioni del cielo. È incredibile la trasformazione che può avvenire in un bambino”.

 

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Ersilia Vaudo Scarpetta, 58 anni, è un'astrofisica, dal 2017 Chief diversity officer all’Agenzia Spaziale Europea. Sul sito dell’Esa spiega la sua missione così: "supportare il direttore generale proponendo azioni per accrescere la ricchezza di diversità dell’Agenzia e garantire l'inclusione. Un percorso su molti assi, da quello geografico al genere, dalla disabilità ai diritti Lgbt all’età (senza ansie di rottamazione)". Sposata, mamma di due figli, si sposta da Gaeta a Roma per studiare Fisica alla Sapienza. Da lì al mondo. Assunta all’Esa ad appena 28 anni. Tra le sue tappe c'è anche Washington, dove cura le relazioni con la Nasa. Ora vive a Parigi. Divulgatrice appassionata di scienza, curatrice della XXIII Triennale di Milano (dal 20 maggio al 20 novembre 2022). Oggi, nella giornata mondiale della diversità culturale istituita dall'Onu, parlerà di inclusione nelle missioni spaziali su Stream, evento digitale legato al festival della Scienza (festivalscienza.online). Educata dalla mamma – laureata in chimica e biologia – a riconoscere zucchero e sale dalle formule chimiche scritte sulle etichette dei barattoli, era inevitabile all’inizio qualche incidente di percorso. Incoraggia le ragazze così: "Studiate fisica! Vi dà dei superpoteri". Donna di fascino, quando la si ascolta si pensa prima di tutto che si diverte a fare quel che fa.   Il suo ruolo non è così comune in Italia. Non a caso dobbiamo tradurre la definizione dall’inglese. Cosa fa da Chief diversity officer all’Agenzia spaziale europea? "Noi come Esa abbiamo la diversità nel nostro Dna, sicuramente quella geografica. Ventidue stati membri, che parlano 17 lingue. Sappiamo già che mettendo insieme prospettive, punti di vista, culture, riusciamo a realizzare cose che nessun paese da solo potrebbe fare, come atterrare con Rosetta su una cometa o mandare sonde su Marte". Lei ha detto: la diversità aumenta la produttività di un’azienda. Perché? "Sappiamo che le idee nascono dalla tensione, dai diversi approcci. Quindi circondarsi di persone 'uguali' diminuisce la possibilità di intravedere soluzioni nuove. McKinsey e molti altri rapporti dimostrano, ad esempio, cifre alla mano, che nel privato le aziende con più diversità sotto tanti 'assi' raggiungono il 35% in più di profitto". Cosa si fa all’Esa per raggiungere l'obiettivo? "Intanto parliamo sempre di diversità e inclusione. C’è una bella differenza. Come essere invitati a una festa ed essere invitati a ballare". Per scongiurare il rischio di rimanere  in un angolo tutta la sera. "Non basta avere numeri di diversità. La scintilla scatta quando l’inclusione funziona. Quando i punti di vista vengono ascoltati, valorizzati, ognuno si sente tranquillo di essere quel che è". Gli assi, diceva. "C’è quello geografico ma è anche una questione legata al genere. Perché i settori tecnico-scientifici soffrono di una ridotta presenza femminile". Attirare sempre più le ragazze verso le carriere spaziali ma non solo. Un esempio sui diritti Lgbt? "Stiamo facendo uno screening contro ogni possibile discriminazione. Vale rispetto ai congedi o alle coppie, al di là del genere. Questa cosa è importante per lo staff ma anche per i giovani". Perché? "Chi si affaccia a un’organizzazione non guarda solo qual è il business ma anche quali sono i valori, riflessi nel regolamento del personale. Diversità e inclusione passano poi dagli assi dell’età, per allargare lo spettro, e dalle persone con disabilità. Per la prima volta nella storia, con l’ultima campagna, verificheremo le condizioni per poter portare nello spazio anche para-astronauti (Qui l'articolo di Luce dove avevamo parlato dell'iniziativa, ndr)". Quando sarà possibile? "Sicuramente molto prima di quando sarebbe successo se non fossimo partiti con questo progetto. Vogliamo essere certi che ci siano tutte le condizioni di sicurezza e di utilità. L’astronauta con disabilità nello spazio non è un turista". Alle ragazze viene promessa la luna. Lei le sprona a prendersela, alla lettera. Con quali risultati? “Nel 2017, tra le domande per lavorare all’Esa, ne arrivavano dalle donne una su sei. Oggi siamo a una su tre. Un bel risultato". Quali sono gli ostacoli ancora da rimuovere? "Il problema di avere poche ragazze nelle materie Stem comincia alle elementari, dove si forma questa identità. Inizia da un'esclusione dalla matematica". La temutissima matematica? "Sì, perché è un linguaggio abilitante. Tra gli adolescenti in Italia abbiamo la più grande differenza di genere nelle competenze in questa disciplina. Una volta che le ragazze restano fuori, poi non vanno a scegliere fisica all’università. Quindi il problema comincia con l’inclusione nella matematica alle elementari. Per tutti". Per i bambini ha creato un’associazione, "Il cielo itinerante". Andrà in giro con un telescopio e un pulmino? "Questo è il mio spazio privato. L’idea nasce da un'esperienza fatta l’anno scorso in un campo Stem a Forcella (Napoli), in una zona di grande disagio sociale. I bambini si sono sporcati le mani, hanno fatto cose bellissime. Poi sono stata ispirata da un'amica astrofisica africana: in Kenya lei e il marito hanno caricato un telescopio su una macchina e hanno fatto il giro dei villaggi". Il suo tour, invece? "A luglio faremo tappa in Sicilia, Calabria e Puglia. Poi organizzeremo altri campi spaziali a settembre. Abbiamo deciso di creare un’associazione che si occupi di povertà educativa. Per portare un telescopio, in collaborazione con altri gruppi sul territorio, e far passare un pomeriggio tra esperimenti, laboratori e osservazioni del cielo. È incredibile la trasformazione che può avvenire in un bambino".  
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