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Home » Scienze e culture » Itinerario di un viaggio mai nato: Ilaria cerca una gravidanza e non la trova. “Vi spiego quello che si prova”

Itinerario di un viaggio mai nato: Ilaria cerca una gravidanza e non la trova. “Vi spiego quello che si prova”

La blogger di viaggi sul canale "Colazione da Ilary", racconta le tappe di una fecondazione assistita che, come per molte altre donne, finisce in un nulla di fatto, dopo sofferenze e illusioni

Caterina Ceccuti
27 Settembre 2022
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L’idea era quella di comprare un’agendina in cui avrebbe annotato tutti quegli appuntamenti che una mamma in attesa aspetta ogni settimana con ansia. Invece, il diario scritto da Ilaria, 36enne pugliese residente a Londra, si è trasformato in un freddo elenco di date abbinate ad analisi da fare, orari di farmaci da prendere, trasferte faticose verso centri specializzati e, soprattutto, speranze infrante. Un nuovo viaggio, lei che è abituata a raccontarli e a raccontarsi, stavolta però dentro se stessa. Il secondo figlio desiderato che non arriva (Ilaria è già mamma di un bimbo di due anni avuto dopo due tentativi di fecondazione assistita), la decisione di tentare nuovamente attraverso la FIVET, in Italia poi in Spagna, dove sembra che le cose funzionino meglio. Un giorno dopo l’altro, un esame dietro l’altro, una medicina dopo l’altra. Ilaria, come molte altre donne, costruisce artificialmente qualcosa che dovrebbe essere naturale, ma che purtroppo per lei e per suo marito non può esserlo.

Ilaria racconta il suo percorso, fatto di sogni e speranze ma anche di disillusione e sofferenza, con la fecondazione assistita

“Giorno 1: Non arriva ahimè. Giorno 10: primo volo per Milano, primi esami. Giorno 60: terzo volo per Milano, isteroscopia. Giorno 100: finalmente le mestruazioni, si può cominciare: ore 6:00 – 2 ovuli in vagina, ore 7- acido folico e cortisone, ore 14:00 – 2 ovuli in vagina, ore 8 siringa nella pancia, ore 9 compressa, ore 10:00 – 2 ovuli in vagina. Poi 4 cerotti da cambiare ogni 3 giorni. Giorno 118: Siviglia, embrione scongelato, embrione riposto in utero, e con esso tutte le speranze. Compro l’agenda 2023 cosi magari ci scrivo qualcosa di bello. Giorni 119 – 127: ovuli, siringhe, cerotti, compresse. Giorno 128 : beta, prelievo, attesa, beta positive, apro gli occhi, li chiudo, realtà, sogno, ansia, euforia, terrore, euforia, attesa. Giorno 146: prima ecografia, c’è una camera gestazionale, piccola ma c’è, il sacco vitellino anche, ma l’embrione no, bisogna attendere; tristezza, speranza, illusione, delusione; nel frattempo, come sempre, come sopra (ovuli, siringhe, cerotti, compresse)”. Alla fine, quel piccolo cuore non batterà, allora Ilaria scrive “Nemmeno più il mio. Getto via quell’agenda 2023… non ricorda nulla di bello”.

Ilaria, perché ha voluto raccontare del suo secondo tentativo fallito con la FIVET?
“Perché, secondo me, non c’è abbastanza conoscenza di questa esperienza, almeno non dal punto di vista emotivo. La conosci solo quando sei costretta a ricorrervi per poter provare anche tu la gioia di essere madre. A volte, alle persone che non ci sono passate, tutto sembra molto semplice, invece dietro ad un percorso come il mio – e come quello di tantissime altre donne – ci sono sofferenza, fatica fisica e stress psicologico, oltre ad una grande spesa economica. Dovrebbe esistere una maggiore consapevolezza di cosa ci sia dietro ad una FIVET, così la gente smetterebbe di minimizzare. È brutto sentirti dire cose come ‘Vabè dai, andrà bene la prossima volta‘, perché magari una prossima volta non ci può essere”.

Qual è l’aspetto più devastante nell’affrontare un percorso di fecondazione assistita?
“L’ansia che qualsiasi azione tu compia o non compia possa contribuire a far andare male le cose. Personalmente mi sono sentita come se avessi dovuto detonare una bomba, avendo a disposizione solo solo tre tentativi: commettendo un errore anche minimo la bomba scoppia. Per esempio mi chiedevo se la puntura di progesterone in pancia fosse meglio farsela ad una certa ora o ad un’altra, come dovevo posizionare i cerotti a rilascio lento di ormoni, se la temperatura della stanza andasse bene o meno per la conservazione dei farmaci, oppure se dopo l’impianto mi fossi alzata troppo presto dal lettino. Insomma, una condizione di over thinking che porta il tuo cervello a ruminare su ogni cosa: medicine, viaggi, controlli, esami. In quella circostanza non sei razionale e temi di mandare tutto in fumo”.

Cosa c’è realmente dietro a questo percorso?
“Innanzitutto una grande fatica fisica, quotidiana. Poi il fatto che una cosa che dovrebbe essere completamente naturale come l’avere un figlio, si trasformi invece in un evento medicalmente assistito, pieno di farmaci, analisi, isteroscopie, controlli. Lo stress emotivo è altissimo, prima le speranze e le illusioni, poi l’ansia e le disillusioni. Altro aspetto da non trascurare è la relazione con il partner. Nel mio caso, per esempio, mi sono resa conto che ogni volta che affronto un post impianto sono stressata e pretendo che mio marito sia ai miei servizi, almeno da un punto di vista emotivo, cioè che mi rilassi e non mi crei ansie che possano influire sulla fecondazione. La relazione, inevitabilmente, diventa tesa ed è più difficile da gestire. Nessuno ne parla, ma dietro una FIVET c’è tutto questo e molto altro ancora. Vi faccio un esempio: in estate volevamo andare in vacanza, ma in quel momento ero incinta per cui abbiamo pensato che sarebbe stato meglio non affaticarmi, in viaggio le medicine avrebbero rischiato di non essere a una giusta temperatura. Dopo l’aborto non siamo comunque andati perché di lì a poco avremmo dovuto affrontare le spese per il secondo tentativo, che farò non appena possibile. Insomma, è difficile pianificare qualsiasi cosa, compreso il rientro in Italia per Natale, visto che non so quando dovrò fare il prossimo impianto”.

Quali sono state le conseguenze del bombardamento ormonale sul suo corpo?
“La pancia si è gonfiata e sono diventata più suscettibile e irritabile. Si tratta pur sempre di un pieno di ormoni sintetici. Se leggi il bugiardino dell’Estrogen ti accorgi che aumenta il rischio di sviluppare tumori, e questo aggiunge ansia a quella già esistente, perché è chiaro che non avrai a disposizione migliaia di tentativi. Per non parlare del fatto che non è piacevole pungersi la pancia, anche se c’è sicuramente chi sta peggio”.

Il diario di questo suo viaggio speciale si presenta al lettore in modo freddo, quasi tecnico…
“Esatto. Volevo evocare nel lettore o nella lettrice quella freddezza che accompagna i passaggi di una fecondazione assistita. La fredda reiterazione delle tappe, la stanchezza di questo percorso. Disumanizzando il racconto ho cercato di trasmettere la disumanità di certi aspetti di questa esperienza. E chi ha letto il mio testo ha percepito tutto ciò, oltre al dolore per le speranze disattese”.

In che momento del percorso ha perso la speranza?
“Con la prima ecografia, perché la camera gestazionale era piccola e senza embrione dentro. Non ho neanche aspettato di avere il ciclo, perché prendendo tutti quegli ormoni, chissà per quanti giorni avrei continuato a credere di tenere in vita il niente. Quando capisci che non è andata ti crolla tutto addosso, sei disperata, preda del terrore di non riuscirci più neanche in futuro, perché non sai mai se otterrai la gravidanza che tanto desideri. Inoltre sei così stanca, devi pensare di ricominciare tutto dall’inizio, di spendere tanti risparmi”.

Quanto le sono costati i tentativi?
“Nel centro dove andiamo noi circa 5000 euro di base, più il costo delle medicine (7 fiale di progesterone vengono 50 euro, moltiplicate per 12 settimane), poi i controlli ecc. Considerando tutto insieme si arriva intorno agli 8000 euro a tentativo”.

Di questi tempi il tema del diritto all’aborto è molto scottante. Come donna che ha difficoltà a concepire un figlio, qual è la sua posizione in merito?
“Sono favorevole e sono una femminista convinta. Capisco che ci possano essere molti motivi per voler abortire. Certo però, la parte più profonda e meno razionale di me, mi porta a pensare ‘Non è giusto. Io faccio di tutto per avere un figlio e invece chi lo ha già con sé non lo vuole’. Però resto favorevole”.

È difficile per lei da sopportare la vista di bambini piccoli?
“Dopo la perdita del bambino, a darmi dispiacere è più la vista delle donne incinta. Anche per questo sentimento, però, mi viene un senso di colpa. Ho amiche incinta che per un certo tempo non ho voluto vedere, nonostante voglia loro molto bene. Oltre alla sofferenza, anche il senso di colpa fa parte del pacchetto delle conseguenze della FIVET”.

E suo marito?
“Paradossalmente lui è più femminista di me, si arrabbia quando la gravidanza viene considerata una cosa che riguarda solo le donne. Si dispiace se i messaggi di conforto vengono indirizzati solo a me, perché si sente come se non gli venisse riconosciuta la sofferenza di un padre che ha perso il bambino”.

Alla fine, come esce il suo corpo da questa esperienza?
“Fisicamente stanco, durante la stimolazione ormanale ero gonfia, dolorante perché le siringhe mi lasciavano lividi o nodulini post iniezione. Comunque vorrei ringraziare certe associazioni che si occupano di assistere le persone che affrontano una FIVET, come per esempio l’associazione Strada per un sogno Onlus. Per quanto mi riguarda, ora devo pensare a rimettermi di nuovo in gioco”.

E noi di Luce! auguriamo ad Ilaria di acquistare un nuovo diario e, nel 2023, di poterci scrivere sopra che il suo sogno di dare un fratellino o una sorellina al suo bimbo è finalmente diventato realtà.

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
L'idea era quella di comprare un'agendina in cui avrebbe annotato tutti quegli appuntamenti che una mamma in attesa aspetta ogni settimana con ansia. Invece, il diario scritto da Ilaria, 36enne pugliese residente a Londra, si è trasformato in un freddo elenco di date abbinate ad analisi da fare, orari di farmaci da prendere, trasferte faticose verso centri specializzati e, soprattutto, speranze infrante. Un nuovo viaggio, lei che è abituata a raccontarli e a raccontarsi, stavolta però dentro se stessa. Il secondo figlio desiderato che non arriva (Ilaria è già mamma di un bimbo di due anni avuto dopo due tentativi di fecondazione assistita), la decisione di tentare nuovamente attraverso la FIVET, in Italia poi in Spagna, dove sembra che le cose funzionino meglio. Un giorno dopo l'altro, un esame dietro l'altro, una medicina dopo l'altra. Ilaria, come molte altre donne, costruisce artificialmente qualcosa che dovrebbe essere naturale, ma che purtroppo per lei e per suo marito non può esserlo.
Ilaria racconta il suo percorso, fatto di sogni e speranze ma anche di disillusione e sofferenza, con la fecondazione assistita
"Giorno 1: Non arriva ahimè. Giorno 10: primo volo per Milano, primi esami. Giorno 60: terzo volo per Milano, isteroscopia. Giorno 100: finalmente le mestruazioni, si può cominciare: ore 6:00 - 2 ovuli in vagina, ore 7- acido folico e cortisone, ore 14:00 - 2 ovuli in vagina, ore 8 siringa nella pancia, ore 9 compressa, ore 10:00 - 2 ovuli in vagina. Poi 4 cerotti da cambiare ogni 3 giorni. Giorno 118: Siviglia, embrione scongelato, embrione riposto in utero, e con esso tutte le speranze. Compro l'agenda 2023 cosi magari ci scrivo qualcosa di bello. Giorni 119 - 127: ovuli, siringhe, cerotti, compresse. Giorno 128 : beta, prelievo, attesa, beta positive, apro gli occhi, li chiudo, realtà, sogno, ansia, euforia, terrore, euforia, attesa. Giorno 146: prima ecografia, c'è una camera gestazionale, piccola ma c'è, il sacco vitellino anche, ma l'embrione no, bisogna attendere; tristezza, speranza, illusione, delusione; nel frattempo, come sempre, come sopra (ovuli, siringhe, cerotti, compresse)". Alla fine, quel piccolo cuore non batterà, allora Ilaria scrive "Nemmeno più il mio. Getto via quell'agenda 2023... non ricorda nulla di bello". Ilaria, perché ha voluto raccontare del suo secondo tentativo fallito con la FIVET? "Perché, secondo me, non c'è abbastanza conoscenza di questa esperienza, almeno non dal punto di vista emotivo. La conosci solo quando sei costretta a ricorrervi per poter provare anche tu la gioia di essere madre. A volte, alle persone che non ci sono passate, tutto sembra molto semplice, invece dietro ad un percorso come il mio - e come quello di tantissime altre donne - ci sono sofferenza, fatica fisica e stress psicologico, oltre ad una grande spesa economica. Dovrebbe esistere una maggiore consapevolezza di cosa ci sia dietro ad una FIVET, così la gente smetterebbe di minimizzare. È brutto sentirti dire cose come 'Vabè dai, andrà bene la prossima volta', perché magari una prossima volta non ci può essere". Qual è l'aspetto più devastante nell'affrontare un percorso di fecondazione assistita? "L'ansia che qualsiasi azione tu compia o non compia possa contribuire a far andare male le cose. Personalmente mi sono sentita come se avessi dovuto detonare una bomba, avendo a disposizione solo solo tre tentativi: commettendo un errore anche minimo la bomba scoppia. Per esempio mi chiedevo se la puntura di progesterone in pancia fosse meglio farsela ad una certa ora o ad un'altra, come dovevo posizionare i cerotti a rilascio lento di ormoni, se la temperatura della stanza andasse bene o meno per la conservazione dei farmaci, oppure se dopo l'impianto mi fossi alzata troppo presto dal lettino. Insomma, una condizione di over thinking che porta il tuo cervello a ruminare su ogni cosa: medicine, viaggi, controlli, esami. In quella circostanza non sei razionale e temi di mandare tutto in fumo". Cosa c'è realmente dietro a questo percorso? "Innanzitutto una grande fatica fisica, quotidiana. Poi il fatto che una cosa che dovrebbe essere completamente naturale come l'avere un figlio, si trasformi invece in un evento medicalmente assistito, pieno di farmaci, analisi, isteroscopie, controlli. Lo stress emotivo è altissimo, prima le speranze e le illusioni, poi l'ansia e le disillusioni. Altro aspetto da non trascurare è la relazione con il partner. Nel mio caso, per esempio, mi sono resa conto che ogni volta che affronto un post impianto sono stressata e pretendo che mio marito sia ai miei servizi, almeno da un punto di vista emotivo, cioè che mi rilassi e non mi crei ansie che possano influire sulla fecondazione. La relazione, inevitabilmente, diventa tesa ed è più difficile da gestire. Nessuno ne parla, ma dietro una FIVET c'è tutto questo e molto altro ancora. Vi faccio un esempio: in estate volevamo andare in vacanza, ma in quel momento ero incinta per cui abbiamo pensato che sarebbe stato meglio non affaticarmi, in viaggio le medicine avrebbero rischiato di non essere a una giusta temperatura. Dopo l'aborto non siamo comunque andati perché di lì a poco avremmo dovuto affrontare le spese per il secondo tentativo, che farò non appena possibile. Insomma, è difficile pianificare qualsiasi cosa, compreso il rientro in Italia per Natale, visto che non so quando dovrò fare il prossimo impianto". Quali sono state le conseguenze del bombardamento ormonale sul suo corpo? "La pancia si è gonfiata e sono diventata più suscettibile e irritabile. Si tratta pur sempre di un pieno di ormoni sintetici. Se leggi il bugiardino dell'Estrogen ti accorgi che aumenta il rischio di sviluppare tumori, e questo aggiunge ansia a quella già esistente, perché è chiaro che non avrai a disposizione migliaia di tentativi. Per non parlare del fatto che non è piacevole pungersi la pancia, anche se c'è sicuramente chi sta peggio". Il diario di questo suo viaggio speciale si presenta al lettore in modo freddo, quasi tecnico... "Esatto. Volevo evocare nel lettore o nella lettrice quella freddezza che accompagna i passaggi di una fecondazione assistita. La fredda reiterazione delle tappe, la stanchezza di questo percorso. Disumanizzando il racconto ho cercato di trasmettere la disumanità di certi aspetti di questa esperienza. E chi ha letto il mio testo ha percepito tutto ciò, oltre al dolore per le speranze disattese”. In che momento del percorso ha perso la speranza? "Con la prima ecografia, perché la camera gestazionale era piccola e senza embrione dentro. Non ho neanche aspettato di avere il ciclo, perché prendendo tutti quegli ormoni, chissà per quanti giorni avrei continuato a credere di tenere in vita il niente. Quando capisci che non è andata ti crolla tutto addosso, sei disperata, preda del terrore di non riuscirci più neanche in futuro, perché non sai mai se otterrai la gravidanza che tanto desideri. Inoltre sei così stanca, devi pensare di ricominciare tutto dall'inizio, di spendere tanti risparmi". Quanto le sono costati i tentativi? "Nel centro dove andiamo noi circa 5000 euro di base, più il costo delle medicine (7 fiale di progesterone vengono 50 euro, moltiplicate per 12 settimane), poi i controlli ecc. Considerando tutto insieme si arriva intorno agli 8000 euro a tentativo". Di questi tempi il tema del diritto all'aborto è molto scottante. Come donna che ha difficoltà a concepire un figlio, qual è la sua posizione in merito? "Sono favorevole e sono una femminista convinta. Capisco che ci possano essere molti motivi per voler abortire. Certo però, la parte più profonda e meno razionale di me, mi porta a pensare 'Non è giusto. Io faccio di tutto per avere un figlio e invece chi lo ha già con sé non lo vuole'. Però resto favorevole". È difficile per lei da sopportare la vista di bambini piccoli? "Dopo la perdita del bambino, a darmi dispiacere è più la vista delle donne incinta. Anche per questo sentimento, però, mi viene un senso di colpa. Ho amiche incinta che per un certo tempo non ho voluto vedere, nonostante voglia loro molto bene. Oltre alla sofferenza, anche il senso di colpa fa parte del pacchetto delle conseguenze della FIVET". E suo marito? “Paradossalmente lui è più femminista di me, si arrabbia quando la gravidanza viene considerata una cosa che riguarda solo le donne. Si dispiace se i messaggi di conforto vengono indirizzati solo a me, perché si sente come se non gli venisse riconosciuta la sofferenza di un padre che ha perso il bambino". Alla fine, come esce il suo corpo da questa esperienza? “Fisicamente stanco, durante la stimolazione ormanale ero gonfia, dolorante perché le siringhe mi lasciavano lividi o nodulini post iniezione. Comunque vorrei ringraziare certe associazioni che si occupano di assistere le persone che affrontano una FIVET, come per esempio l'associazione Strada per un sogno Onlus. Per quanto mi riguarda, ora devo pensare a rimettermi di nuovo in gioco". E noi di Luce! auguriamo ad Ilaria di acquistare un nuovo diario e, nel 2023, di poterci scrivere sopra che il suo sogno di dare un fratellino o una sorellina al suo bimbo è finalmente diventato realtà.
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