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Home » Scienze e culture » Due milioni di anni fa in Groenlandia c’erano gli elefanti. La scoperta grazie alle analisi sul più antico Dna

Due milioni di anni fa in Groenlandia c’erano gli elefanti. La scoperta grazie alle analisi sul più antico Dna

Lo studio potrebbe rivelare come tentare di contrastare l'impatto devastante del riscaldamento globale sulla biodiversità

Domenico Guarino
20 Dicembre 2022
Ricostruzione, basata sul Dna, dell'ecosistema che 2 milioni di anni fa esisteva nella parte più settentrionale della Groenlandia (fonte: Ansa / Beth Zaikenjpg)

Ricostruzione, basata sul Dna, dell'ecosistema che 2 milioni di anni fa esisteva nella parte più settentrionale della Groenlandia (fonte: Ansa / Beth Zaikenjpg)

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Sul fatto che i Vichinghi la chiamassero “terra verde” perché in quel periodo appariva rigogliosa di vegetazione, come sostengono alcuni, oppure per un equivoco, come preferiscono altri, di sicuro c’è che un paio di milioni anni fa, il clima in Groenlandia era completamente diverso, ovvero da 10 a 17 gradi in più rispetto ad ora. Tanto da permettere che si sviluppasse un ricco ecosistema di flora e fauna: pioppi e alberi decidui che di solito si trovano nelle foreste boreali pesci, insetti, pulci, conigli, anatre, diverse tipologie di roditori e anche di alcune renne. Addirittura, in quel periodo, la Groenlandia, dove, ora, praticamente, non c’è vita (a esclusione di alcuni licheni e muschi) se non nelle zone più costiere, ospitava anche una colonia, non sappiamo quanto estesa, di mastodonti (il mammut americano, progenitore dell’elefante).

 

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La scoperta è stata realizzata da un team internazionale di ricercatori analizzando una serie di campioni di Dna risalenti a due milioni di anni. Il lavoro ha richiesto un’indagine investigativa di oltre 16 anni da parte degli scienziati e i suoi risultati sono stati pubblicati, il 7 dicembre, dalla rivista “Nature”. Lo studio, condotto dal genetista evoluzionista Eske Willerslev, professore all’Università di Cambridge, potrebbe aiutare i ricercatori a capire cosa aspettarsi in un futuro più caldo e fornire indizi su come l’ecosistema locale della Groenlandia sia stato in grado di adattarsi al riscaldamento climatico negli ultimi due milioni di anni.

Eske Willerslev, professore all’Università di Cambridge (Instagram)
Eske Willerslev, professore all’Università di Cambridge (Instagram)

“Il clima era simile a quello che ci aspettiamo di dover far fronte sulla Terra nei prossimi anni, a causa del riscaldamento globale. La ricerca ci fornirà spunti e dati per capire come la natura possa rispondere all’aumento delle temperature” ha commentato Willerslev. “Sembra quasi una magia poter studiare un quadro così completo di un antico ecosistema da minuscoli frammenti di Dna che si sono conservati nel tempo”, ha commentato al “New York Times” Beth Shapiro, paleogenetista dell’Università della California di Santa Cruz. Il Dna analizzato include frammenti di piante da fiore e alberi, specie che sono ormai esiste nell’area da molto tempo”.

Ricostruzione dei mammut delle steppe, antenati di quelli lanosi (fonte: Beth Zaiken/CPG)
Ricostruzione dei mammut delle steppe, antenati di quelli lanosi (fonte: Beth Zaiken/CPG)

La scoperta più sorprendente è stata indubbiamente quella del mastodonte, che è stato a lungo associato alle foreste boreali del Nord America. Secondo Willerslev, avrebbe probabilmente viaggiato fino alla Groenlandia attraverso il ghiaccio con le renne. “Nemmeno tra un milione di anni ti aspetteresti di trovare un mastodonte lassù”, ha commentato Love Dalén, un paleontologo del Museo di Storia naturale della Svezia. Ma è tutto il materiale trovato, anche il Dna di alghe blu, a indicare la presenza di un clima molto più caldo di quello di oggi. “Le prove del Dna potrebbero fornire indizi su come queste forme di vita siano sopravvissute a temperature estreme e su come la natura possa rispondere all’aumento delle temperature — ha spiegato Willerslev —. In realtà è il clima molto simile a quello che ci aspettiamo di affrontare sulla Terra a causa del riscaldamento globale”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Sul fatto che i Vichinghi la chiamassero “terra verde” perché in quel periodo appariva rigogliosa di vegetazione, come sostengono alcuni, oppure per un equivoco, come preferiscono altri, di sicuro c’è che un paio di milioni anni fa, il clima in Groenlandia era completamente diverso, ovvero da 10 a 17 gradi in più rispetto ad ora. Tanto da permettere che si sviluppasse un ricco ecosistema di flora e fauna: pioppi e alberi decidui che di solito si trovano nelle foreste boreali pesci, insetti, pulci, conigli, anatre, diverse tipologie di roditori e anche di alcune renne. Addirittura, in quel periodo, la Groenlandia, dove, ora, praticamente, non c’è vita (a esclusione di alcuni licheni e muschi) se non nelle zone più costiere, ospitava anche una colonia, non sappiamo quanto estesa, di mastodonti (il mammut americano, progenitore dell’elefante).
 
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  La scoperta è stata realizzata da un team internazionale di ricercatori analizzando una serie di campioni di Dna risalenti a due milioni di anni. Il lavoro ha richiesto un’indagine investigativa di oltre 16 anni da parte degli scienziati e i suoi risultati sono stati pubblicati, il 7 dicembre, dalla rivista "Nature". Lo studio, condotto dal genetista evoluzionista Eske Willerslev, professore all’Università di Cambridge, potrebbe aiutare i ricercatori a capire cosa aspettarsi in un futuro più caldo e fornire indizi su come l’ecosistema locale della Groenlandia sia stato in grado di adattarsi al riscaldamento climatico negli ultimi due milioni di anni.
Eske Willerslev, professore all’Università di Cambridge (Instagram)
Eske Willerslev, professore all’Università di Cambridge (Instagram)
“Il clima era simile a quello che ci aspettiamo di dover far fronte sulla Terra nei prossimi anni, a causa del riscaldamento globale. La ricerca ci fornirà spunti e dati per capire come la natura possa rispondere all’aumento delle temperature” ha commentato Willerslev. "Sembra quasi una magia poter studiare un quadro così completo di un antico ecosistema da minuscoli frammenti di Dna che si sono conservati nel tempo", ha commentato al "New York Times" Beth Shapiro, paleogenetista dell’Università della California di Santa Cruz. Il Dna analizzato include frammenti di piante da fiore e alberi, specie che sono ormai esiste nell’area da molto tempo”.
Ricostruzione dei mammut delle steppe, antenati di quelli lanosi (fonte: Beth Zaiken/CPG)
Ricostruzione dei mammut delle steppe, antenati di quelli lanosi (fonte: Beth Zaiken/CPG)
La scoperta più sorprendente è stata indubbiamente quella del mastodonte, che è stato a lungo associato alle foreste boreali del Nord America. Secondo Willerslev, avrebbe probabilmente viaggiato fino alla Groenlandia attraverso il ghiaccio con le renne. “Nemmeno tra un milione di anni ti aspetteresti di trovare un mastodonte lassù”, ha commentato Love Dalén, un paleontologo del Museo di Storia naturale della Svezia. Ma è tutto il materiale trovato, anche il Dna di alghe blu, a indicare la presenza di un clima molto più caldo di quello di oggi. “Le prove del Dna potrebbero fornire indizi su come queste forme di vita siano sopravvissute a temperature estreme e su come la natura possa rispondere all’aumento delle temperature — ha spiegato Willerslev —. In realtà è il clima molto simile a quello che ci aspettiamo di affrontare sulla Terra a causa del riscaldamento globale”.
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