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Home » Scienze e culture » Il coraggio di Elisa Vavassori contro l’atrofia muscolare spinale: “Se puoi sognarlo, puoi farlo e aiuto chi è come me a riuscirvi”

Il coraggio di Elisa Vavassori contro l’atrofia muscolare spinale: “Se puoi sognarlo, puoi farlo e aiuto chi è come me a riuscirvi”

La laurea, il nuovo lavoro, il matrimonio con Luca e il corso come disability manager: "un po' architetto, un po' avvocato e molte altre cose". Ha "scritto" alla malattia: "Tu comandi ogni cosa ma, facendo sacrifici, con te si può avere una vita dignitosa"

Ludovica Criscitiello
19 Aprile 2021
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Elisa Vavassori ha 39 anni e da quando ne ha 3 è affetta da atrofia muscolare spinale. Si occupa di comunicazione interna e responsabilità sociale per Cisco Systems e dal 2020 è Disability manager

Dignità e coraggio. Sono due parole che vengono in mente quando si ascolta la storia di Elisa Vavassori. Milanese, 39 anni, da quando ne aveva 3 convive con la Sma, malattia neurodegenerativa, acronimo di atrofia muscolare spinale “dove si sopravvive, ma tra mille difficoltà inimmaginabili, come me –racconta–, le mie gambe, le mie braccia, le mie mani sono quelle del mio compagno o di gente estranea, che fanno tutto per me. Questo però non ha certo fermato la mia volontà di migliorare la qualità della mia vita e ho sempre lottato per conquistare la dignità di donna”.

La storia

Elisa si è laureata in Linguaggi dei media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con 110 e lode e ha preso il tesserino da giornalista pubblicista, spinta dalla sua passione per la scrittura. È stata una vita fatta di battaglie quella di Elisa per far valere non solo i suoi diritti, ma anche quelli di altri. “Mi sono resa conto che dovevo fare qualcosa di più per aiutare chi come me rischia di rimanere ai margini». Situazione che ha vissuto sulla sua pelle. “Sai quante volte mi sono ritrovata a fare dei colloqui per lavori a cui mi ero candidata, specificando che ero ‘non deambulante’? Per poi scoprire che chi leggeva non aveva la più pallida idea di cosa significasse. Prima veniva la patologia e dopo le competenze”. Poi nel 2016 fa un colloquio con la Cisco Systems e viene assunta per occuparsi di comunicazione interna e responsabilità sociale. “Hanno creduto nelle mie capacità, dandomi l’opportunità di lavorare in smart-working”.

L’impegno come disability manager

E allora perché non permettere anche ad altri che si trovano in una situazione come la sua di mettersi in gioco? “Ecco perché l’anno scorso sono diventata disability manager, una figura non ancora definita a livello legislativo e poco conosciuta in Italia –spiega Elisa– anche se all’estero è molto diffusa”. Il disability manager mette in atto ogni azione volta a favorire l’accessibilità delle persone con disabilità a tutti i servizi, compresa anche la possibilità certa e reale di trovare un impiego. Ma non è ancora riconosciuta come una vera e propria figura professionale. Sul sito di Si.Di.Ma. Società Italiana Disability Manager si legge che “più che una professione in sé, è una competenza aggiuntiva che può integrare una professionalità preesistente come quella di architetto, avvocato e simili”. Quindi cambia a seconda del luogo di lavoro (enti locali, ospedali, aziende). Alcuni di loro sono già presenti in alcuni di questi contesti. Ad oggi non c’è un percorso formativo unico, ma dei corsi di perfezionamento tenuti da alcune università, come quello fatto da Elisa. “Siamo all’età della pietra, dobbiamo migliorare prima di tutto a partire dal linguaggio che utilizziamo –continua–. Non è corretto dire ‘disabili’, noi siamo ‘persone con disabilità’ perché prima di tutto siamo persone. Io credo che l’inclusione debba partire dal campo lavorativo, una società più giusta è quella che ti giudica in base alle tue competenze e non si ferma davanti alla barriera della disabilità”. E il suo impegno non finisce qui. “Ho fatto il corso perché voglio diventare disability manager della mia azienda per aiutare le persone con disabilità a inserirsi nel mondo del lavoro nella posizione che a loro compete”.

La speranza per il futuro

Elisa è sposata con Luca dal 2016:  i due si conoscono da oltre 20 anni

Progetti, sogni, voglia di vivere. “Ho fatto tanto per guadagnarmi il mio posto nel mondo e avere una vita che possa essere il più normale possibile”. C’è anche l’amore nella vita di Elisa, che dura ormai da più di vent’anni. “Con Luca ci siamo sposati nel 2016, l’anno della mia svolta e poi siamo partiti per un viaggio di nozze durato un mese. Ci siamo conosciuti alle scuole superiori, avevamo amici in comune. Lui semplicemente è andato oltre le apparenze, la carrozzina, la malattia”. Come ha fatto anche lei d’altronde che con la sua malattia ‘ci parla’. Le ha scritto anche una lunga lettera per dirle che una cosa non è riuscita a toglierle in tutti questi anni “ovvero l’intelligenza, la voglia di vivere e la determinazione a lottare per raggiungere traguardi impossibili”. “Sì è vero cara Sma –si legge in un brano della lettera– nella maggior parte dei casi sei tu che comandi la mia vita, ma se si fanno sacrifici con te si può avere una vita dignitosa. E da quando mi sono costruita una casa e una famiglia lì ho vinto io e tu sei rimasta in un angolo a guardare il mio trionfo. D’altronde se puoi sognarlo puoi anche farlo”.

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  • "È passato un mese dall’incidente, e ogni giorno, penso costantemente a come le cose possano cambiare rapidamente e drasticamente, in un batter d’occhio, e in modi che non avrei mai potuto immaginare.”

Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
Elisa Vavassori ha 39 anni e da quando ne ha 3 è affetta da atrofia muscolare spinale. Si occupa di comunicazione interna e responsabilità sociale per Cisco Systems e dal 2020 è Disability manager
Dignità e coraggio. Sono due parole che vengono in mente quando si ascolta la storia di Elisa Vavassori. Milanese, 39 anni, da quando ne aveva 3 convive con la Sma, malattia neurodegenerativa, acronimo di atrofia muscolare spinale "dove si sopravvive, ma tra mille difficoltà inimmaginabili, come me –racconta–, le mie gambe, le mie braccia, le mie mani sono quelle del mio compagno o di gente estranea, che fanno tutto per me. Questo però non ha certo fermato la mia volontà di migliorare la qualità della mia vita e ho sempre lottato per conquistare la dignità di donna".

La storia

Elisa si è laureata in Linguaggi dei media presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con 110 e lode e ha preso il tesserino da giornalista pubblicista, spinta dalla sua passione per la scrittura. È stata una vita fatta di battaglie quella di Elisa per far valere non solo i suoi diritti, ma anche quelli di altri. "Mi sono resa conto che dovevo fare qualcosa di più per aiutare chi come me rischia di rimanere ai margini». Situazione che ha vissuto sulla sua pelle. "Sai quante volte mi sono ritrovata a fare dei colloqui per lavori a cui mi ero candidata, specificando che ero 'non deambulante'? Per poi scoprire che chi leggeva non aveva la più pallida idea di cosa significasse. Prima veniva la patologia e dopo le competenze". Poi nel 2016 fa un colloquio con la Cisco Systems e viene assunta per occuparsi di comunicazione interna e responsabilità sociale. "Hanno creduto nelle mie capacità, dandomi l’opportunità di lavorare in smart-working".

L’impegno come disability manager

E allora perché non permettere anche ad altri che si trovano in una situazione come la sua di mettersi in gioco? "Ecco perché l’anno scorso sono diventata disability manager, una figura non ancora definita a livello legislativo e poco conosciuta in Italia –spiega Elisa– anche se all’estero è molto diffusa". Il disability manager mette in atto ogni azione volta a favorire l'accessibilità delle persone con disabilità a tutti i servizi, compresa anche la possibilità certa e reale di trovare un impiego. Ma non è ancora riconosciuta come una vera e propria figura professionale. Sul sito di Si.Di.Ma. Società Italiana Disability Manager si legge che "più che una professione in sé, è una competenza aggiuntiva che può integrare una professionalità preesistente come quella di architetto, avvocato e simili". Quindi cambia a seconda del luogo di lavoro (enti locali, ospedali, aziende). Alcuni di loro sono già presenti in alcuni di questi contesti. Ad oggi non c’è un percorso formativo unico, ma dei corsi di perfezionamento tenuti da alcune università, come quello fatto da Elisa. "Siamo all’età della pietra, dobbiamo migliorare prima di tutto a partire dal linguaggio che utilizziamo –continua–. Non è corretto dire 'disabili', noi siamo 'persone con disabilità' perché prima di tutto siamo persone. Io credo che l’inclusione debba partire dal campo lavorativo, una società più giusta è quella che ti giudica in base alle tue competenze e non si ferma davanti alla barriera della disabilità". E il suo impegno non finisce qui. "Ho fatto il corso perché voglio diventare disability manager della mia azienda per aiutare le persone con disabilità a inserirsi nel mondo del lavoro nella posizione che a loro compete".

La speranza per il futuro

Elisa è sposata con Luca dal 2016:  i due si conoscono da oltre 20 anni
Progetti, sogni, voglia di vivere. "Ho fatto tanto per guadagnarmi il mio posto nel mondo e avere una vita che possa essere il più normale possibile". C’è anche l’amore nella vita di Elisa, che dura ormai da più di vent’anni. "Con Luca ci siamo sposati nel 2016, l’anno della mia svolta e poi siamo partiti per un viaggio di nozze durato un mese. Ci siamo conosciuti alle scuole superiori, avevamo amici in comune. Lui semplicemente è andato oltre le apparenze, la carrozzina, la malattia". Come ha fatto anche lei d’altronde che con la sua malattia 'ci parla'. Le ha scritto anche una lunga lettera per dirle che una cosa non è riuscita a toglierle in tutti questi anni "ovvero l’intelligenza, la voglia di vivere e la determinazione a lottare per raggiungere traguardi impossibili". "Sì è vero cara Sma –si legge in un brano della lettera– nella maggior parte dei casi sei tu che comandi la mia vita, ma se si fanno sacrifici con te si può avere una vita dignitosa. E da quando mi sono costruita una casa e una famiglia lì ho vinto io e tu sei rimasta in un angolo a guardare il mio trionfo. D’altronde se puoi sognarlo puoi anche farlo".

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