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Home » Scienze e culture » L’appello di Malika, cacciata di casa perché ama una ragazza: “Fate come me, denunciate l’odio”

L’appello di Malika, cacciata di casa perché ama una ragazza: “Fate come me, denunciate l’odio”

Il caso della ventiduenne ha scosso l'Italia. Dal presidente del parlamento europeo Sassoli a Fedez, alle calciatrici azzurre è un coro: "Omosessualità è amore". E lei si rivolge a chi si trova nelle sue stesse condizioni: "Non tacete di fronte alle offese, non subite la violenza. Fate come me"

Valentina Conte
13 Aprile 2021
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Malika Chalhy con la giornalista di Luce

In un cassetto del comodino, la lettera a cui è affidato quel segreto che doveva essere rivelato: “Mamma, mi sono innamorata di una ragazza”. Le lacrime offuscano la lettura, le mani tremano, il sangue ribolle nelle vene, le tempie scoppiano ed ecco la reazione, immediata, furibonda: uno tsunami di messaggi vocali su WhatsApp per scaraventare addosso alla figlia dolore e rabbia che, urla dopo urla, diventano minacce e offese.

“Sei la rovina della famiglia, meglio una figlia drogata che lesbica. Sei uno schifo”. Nessuna comprensione, apertura al dialogo o intenzione di accettare l’omosessualità della ragazza: “Non posso essere obbligata a farlo: mia figlia, per me, è morta” ci ha detto la donna, che non riesce a conciliare il dovere della tutela con quello del rispetto e della libertà.

È la storia di Malika, di sua mamma Ariana e dell’intera famiglia Chalhy, ben inserita nel tessuto sociale di Castelfiorentino, poche decine di chilometri da Firenze. La giovane, 22 anni, affida a carta e penna il suo amore per una ragazza, la madre non ha dubbi: la cosa è inaccettabile. E così Malika si ritrova fuori di casa, offesa, minacciata e senza la possibilità di prendere i propri oggetti personali. Malika denuncia tutto ai carabinieri e rende pubblica la sua storia per avere aiuto, ma anche per far sì che “non accada mai più”. In procura, due fascicoli: per violenza privata e per minacce.

 

Quando mi hanno picchiata per il calcetto

Prima dello scorso lockdown, Malika era finita in ospedale e il referto di quel soccorso è inserito negli atti del pubblico ministero. “Hanno scoperto che giocavo a calcetto – racconta – : ‘Uno sport da maschi, non sta bene per una signorina. Ti ritrovi con i lividi e con le gambe storte’, mi hanno detto”. Cosa sia successo durante quella litigata Malika lo lascia intendere: “Sono finita all’ospedale”. Il presente, il passato, il futuro e i rapporti complicati con la famiglia: “Non sarò stata la figlia modello, ma ci sono sempre stata”.

Di riappacificazione non se ne parla. Malika non si aspettava una reazione tanto violenta: “Mia mamma litiga così, anche quando ero fuori e non rispondevo a una sua telefonata mi trattava male: ‘Vedi? È questa l’importanza che dai ai tuoi genitori?’ Quando ho potuto, io ci sono sempre stata e loro sanno bene le difficoltà che abbiamo passato. Eppure, io c’ero. Non sarò stata la figlia modello, qualche cavolata con i miei amici l’ho fatta, qualche bicchiere in più l’ho bevuto, ma tutto qui. Come la maggior parte dei giovani. Per quanto possa avere sbagliato, io la mia adolescenza l’ho vissuta a pieno; talvolta rientravo tardi, ma tante altre stavo a casa. Non hanno mai recepito le mie attenzioni”.

 

La serratura cambiata

La reazione della mamma, quindi, era prevedibile: per questo la lettera e non il vis à vis per rivelare il ‘segreto’, ma tra ‘prenderla male’ e minacciare e cacciare ce ne corre. Non è facile fare coming out perché non è facile, per molti genitori, sentirlo fare. E non sempre la forza dell’amore e il rispetto per gli altri hanno il sopravvento.

“Hanno cambiato la serratura di casa e quando sono andata insieme ai carabinieri per tentare di rientrare in possesso delle mie cose, lei ha guardato i militari e ha detto: “Io questa ragazza non la conosco”. Mi ha lasciata in mezzo alla strada senza nemmeno un paio di calzini di ricambio. Mi hanno disconosciuta come figlia”.

Il fratello Samir sostiene di essere pentito per le frasi forti pronunciate e di aver provato a ‘far ragionare’ la sorella, ferito più dai “metodi infami, con la chiamata ai carabinieri” che dell’omosessualità della ragazza, un fatto che la famiglia affronta come se fosse una lettera scarlatta. Ed è questo il messaggio che Malika e le centinaia di persone e le associazioni, vip come Fedez, sportivi come Linari, calciatrice della Nazionale azzurra politici come Alessandro Zan e Paola Concia fino e persino il presidente del parlamento europeo stanno cercando di far passare: l’omosessualità è amore.

 

“Se mamma mi chiamasse, scoppierei a piangere”

Malika prova ad andare avanti, fra il lavoro, la fidanzata e quelle “pochissime persone che ho accanto, che mi stanno facendo trovare un piatto caldo e mi fanno sentire l’amore che mi è mancato in questi tre mesi”. Perché è l’assenza del sostegno della famiglia che devastano l’animo della ventiduenne.

“Io quando capirò che mia figlia, se mai l’avrò, sta crescendo e sta cambiando sarò lì, in quel momento. È lì che una mamma deve esserci, che deve prenderti la mano e dire Stai amando, non sei sbagliato”. Mentre le mani non smettono di raggomitolarsi una sull’altra, anche la rabbia di Malika fa il posto all’amore: “Se mi telefonasse? La prima cosa che farei se sentissi la voce di mamma, sarebbe piangere. Poi le chiederei: perché tutto questo?”.

Vorrebbe essere libera di amare, Malika, e spera “in una vita fatta di cose semplici con le persone che amo e con una ventina di cani”. E, qui, finalmente un sorriso dietro la mascherina. Gli occhi le si allungano per pochi secondi e cercano la fidanzata: “I suoi genitori sono persone intelligenti e umane: mi hanno accolto bene e hanno fatto tanto per me. Li ringrazio e, con loro, i miei amici, mia zia, mia cugina e la mia compagna per l’amore incondizionato che mi hanno dato in questi tre mesi”.

 

“Penso che i miei genitori mi vogliano bene”

La vicenda ha messo in moto la macchina della solidarietà e acceso i riflettori sul tema delle discriminazioni che spesso preferiamo ignorare e che, ora, in parlamento (Legge Zan) è oggetto di discussione. “Ci sono tanti ragazzi che stanno vivendo la mia stessa esperienza e non riescono a denunciare. Invece bisogna farlo: denunciate, io sarò la portavoce di tutti”. Certo, una legge non basta e non cambia le coscienze, “ma è un buon inizio. I bambini devono sapere che non è sbagliato amare persone dello stesso sesso, che non sono sbagliati né il colore della pelle né le difficoltà di un ragazzo a socializzare. Dobbiamo urlare che di sbagliato ci sono il bullismo, il razzismo, l’odio e il fomentare l’odio”. Lei, facendo slalom fra il dolore, non riesce a odiare: i tuoi genitori non ti amano? “Penso che del bene ci sia, ma non riesce ad essere più forte dei pregiudizi”.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Malika Chalhy con la giornalista di Luce
In un cassetto del comodino, la lettera a cui è affidato quel segreto che doveva essere rivelato: "Mamma, mi sono innamorata di una ragazza". Le lacrime offuscano la lettura, le mani tremano, il sangue ribolle nelle vene, le tempie scoppiano ed ecco la reazione, immediata, furibonda: uno tsunami di messaggi vocali su WhatsApp per scaraventare addosso alla figlia dolore e rabbia che, urla dopo urla, diventano minacce e offese. "Sei la rovina della famiglia, meglio una figlia drogata che lesbica. Sei uno schifo". Nessuna comprensione, apertura al dialogo o intenzione di accettare l’omosessualità della ragazza: "Non posso essere obbligata a farlo: mia figlia, per me, è morta" ci ha detto la donna, che non riesce a conciliare il dovere della tutela con quello del rispetto e della libertà. È la storia di Malika, di sua mamma Ariana e dell’intera famiglia Chalhy, ben inserita nel tessuto sociale di Castelfiorentino, poche decine di chilometri da Firenze. La giovane, 22 anni, affida a carta e penna il suo amore per una ragazza, la madre non ha dubbi: la cosa è inaccettabile. E così Malika si ritrova fuori di casa, offesa, minacciata e senza la possibilità di prendere i propri oggetti personali. Malika denuncia tutto ai carabinieri e rende pubblica la sua storia per avere aiuto, ma anche per far sì che "non accada mai più". In procura, due fascicoli: per violenza privata e per minacce.  

Quando mi hanno picchiata per il calcetto

Prima dello scorso lockdown, Malika era finita in ospedale e il referto di quel soccorso è inserito negli atti del pubblico ministero. "Hanno scoperto che giocavo a calcetto - racconta - : 'Uno sport da maschi, non sta bene per una signorina. Ti ritrovi con i lividi e con le gambe storte', mi hanno detto". Cosa sia successo durante quella litigata Malika lo lascia intendere: "Sono finita all’ospedale". Il presente, il passato, il futuro e i rapporti complicati con la famiglia: "Non sarò stata la figlia modello, ma ci sono sempre stata". Di riappacificazione non se ne parla. Malika non si aspettava una reazione tanto violenta: "Mia mamma litiga così, anche quando ero fuori e non rispondevo a una sua telefonata mi trattava male: 'Vedi? È questa l’importanza che dai ai tuoi genitori?' Quando ho potuto, io ci sono sempre stata e loro sanno bene le difficoltà che abbiamo passato. Eppure, io c’ero. Non sarò stata la figlia modello, qualche cavolata con i miei amici l’ho fatta, qualche bicchiere in più l’ho bevuto, ma tutto qui. Come la maggior parte dei giovani. Per quanto possa avere sbagliato, io la mia adolescenza l’ho vissuta a pieno; talvolta rientravo tardi, ma tante altre stavo a casa. Non hanno mai recepito le mie attenzioni".  

La serratura cambiata

La reazione della mamma, quindi, era prevedibile: per questo la lettera e non il vis à vis per rivelare il ‘segreto’, ma tra ‘prenderla male’ e minacciare e cacciare ce ne corre. Non è facile fare coming out perché non è facile, per molti genitori, sentirlo fare. E non sempre la forza dell’amore e il rispetto per gli altri hanno il sopravvento. "Hanno cambiato la serratura di casa e quando sono andata insieme ai carabinieri per tentare di rientrare in possesso delle mie cose, lei ha guardato i militari e ha detto: “Io questa ragazza non la conosco”. Mi ha lasciata in mezzo alla strada senza nemmeno un paio di calzini di ricambio. Mi hanno disconosciuta come figlia". Il fratello Samir sostiene di essere pentito per le frasi forti pronunciate e di aver provato a ‘far ragionare’ la sorella, ferito più dai "metodi infami, con la chiamata ai carabinieri" che dell’omosessualità della ragazza, un fatto che la famiglia affronta come se fosse una lettera scarlatta. Ed è questo il messaggio che Malika e le centinaia di persone e le associazioni, vip come Fedez, sportivi come Linari, calciatrice della Nazionale azzurra politici come Alessandro Zan e Paola Concia fino e persino il presidente del parlamento europeo stanno cercando di far passare: l’omosessualità è amore.  

"Se mamma mi chiamasse, scoppierei a piangere"

Malika prova ad andare avanti, fra il lavoro, la fidanzata e quelle "pochissime persone che ho accanto, che mi stanno facendo trovare un piatto caldo e mi fanno sentire l’amore che mi è mancato in questi tre mesi". Perché è l’assenza del sostegno della famiglia che devastano l’animo della ventiduenne. "Io quando capirò che mia figlia, se mai l’avrò, sta crescendo e sta cambiando sarò lì, in quel momento. È lì che una mamma deve esserci, che deve prenderti la mano e dire Stai amando, non sei sbagliato". Mentre le mani non smettono di raggomitolarsi una sull’altra, anche la rabbia di Malika fa il posto all’amore: "Se mi telefonasse? La prima cosa che farei se sentissi la voce di mamma, sarebbe piangere. Poi le chiederei: perché tutto questo?". Vorrebbe essere libera di amare, Malika, e spera "in una vita fatta di cose semplici con le persone che amo e con una ventina di cani". E, qui, finalmente un sorriso dietro la mascherina. Gli occhi le si allungano per pochi secondi e cercano la fidanzata: "I suoi genitori sono persone intelligenti e umane: mi hanno accolto bene e hanno fatto tanto per me. Li ringrazio e, con loro, i miei amici, mia zia, mia cugina e la mia compagna per l’amore incondizionato che mi hanno dato in questi tre mesi".  

"Penso che i miei genitori mi vogliano bene"

La vicenda ha messo in moto la macchina della solidarietà e acceso i riflettori sul tema delle discriminazioni che spesso preferiamo ignorare e che, ora, in parlamento (Legge Zan) è oggetto di discussione. "Ci sono tanti ragazzi che stanno vivendo la mia stessa esperienza e non riescono a denunciare. Invece bisogna farlo: denunciate, io sarò la portavoce di tutti". Certo, una legge non basta e non cambia le coscienze, "ma è un buon inizio. I bambini devono sapere che non è sbagliato amare persone dello stesso sesso, che non sono sbagliati né il colore della pelle né le difficoltà di un ragazzo a socializzare. Dobbiamo urlare che di sbagliato ci sono il bullismo, il razzismo, l’odio e il fomentare l’odio". Lei, facendo slalom fra il dolore, non riesce a odiare: i tuoi genitori non ti amano? "Penso che del bene ci sia, ma non riesce ad essere più forte dei pregiudizi".
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