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Le radio femminili destinate a morire, con l'addio all'Afghanistan delle truppe Nato e il ritorno del Talebani

di ENRICO FOVANNA -
27 maggio 2021
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Il prossimo 11 settembre, a 20 anni dalla tragedia delle Twin Towers, gli ultimi contingenti Usa e Nato lasceranno l'Afghanistan. Data simbolica e per molti di festa. Ma non per le donne. Ricomincerà infatti la guerra dei Talebani all'altra metà del cielo, cui da sempre gli integralisti vietano lo studio, la musica e l'arte. Una delle esperienze destinate a finire è quella delle radio femminili. Nel 2006 a Herat visitai la prima realtà del genere nel Paese, Radio Aurora, e intervistai la giovane direttrice, che mi spiegò come nacque quel test straordinario. Negli anni a venire ne nacquero altre, miste, quasi tutte di universitari. Con l'autunno, queste emittenti spariranno tutte.  

Una giornalista di Radio Kandahar, gestita in prevalenza da donne

Simbolo della riscossa

Radio Aurora era il simbolo della riscossa, per tante ragazze per le quali, crescere in certi luoghi della terra resta una condanna. Non so quanti anni sia durata quella radio e se esista ancora. Quella meraviglia era al primo piano di un palazzo, dopo il cortile in cemento armato. Porte aperte a chiunque, unica regola, lasciare le scarpe all’ingresso dell’unica grande stanza, che ospitava le speaker. Un neon, due computer, qualche libreria, una cartina del mondo, alcuni libri e dischi, un calendario e un grande tavolo per le riunioni. Il tutto davanti a una enorme vetrata che dava sui pini dell'altopiano orientale. Aveva iniziato a trasmettere nel 2004, grazie al finanziamento di Impacs, una ong canadese che lavora a supporto dei media indipendenti. Una scelta non casuale, per l'esteso territorio afghano, sul quale la radio resta ancor oggi il più diffuso e insostituibile tra i media. Soppianta infatti di gran lunga la tv, poco diffusa, specie nelle aree remote, per mancanza di energia elettrica (il 92% della popolazione non vi ha accesso costante).

Analfabetismo e giornali

A far funzionare una stazione radio basta infatti un accumulatore o la batteria di un camion. A distanza anche i giornali, ancora poco diffusi per l’altissimo tasso di analfabetismo, superiore al 50%, con punte dell’85% nei villaggi di montagna. La radio stravince anche per gli altissimi costi di produzione e distribuzione delle copie cartacee, in un’area vasta 650 mila chilometri quadrati, oltre il doppio dell’Italia, e popolata dalla metà di abitanti, 28 milioni, suddivisi in quattro etnie (pashtun, tajika, hazara e uzbeka), ognuna delle quali parla la propria lingua, con una miriade di dialetti.  

Apparecchi a manovella

Lo sanno bene i militari italiani, con base operativa proprio a Herat, che attraverso lo PsyOps (il nucleo della missione ISAF dedicato alle operazioni psicologiche, all’interno del Provincial Reconstruction Team) avevano fatto produrre in Cina delle efficientissime “crunck radio”, le radio a manovella (sulla falsariga del personal computer no global per il Terzo Mondo), da regalare alla popolazione che vive nei piccoli centri arrampicati sulle montagne. “Durante le nostre visite in questi villaggi – spiegava il maggiore Rodolfo Giovenali, responsabile dello PsyOps – incontriamo spesso degli indigeni che non hanno mai visto un occidentale in vita loro. Nemmeno un russo, durante i dieci anni di occupazione. In certi villaggi, la giornata finisce con il tramonto. Il buio congela ogni attività e la vita viene rimandata al giorno dopo. Per questo nella crunck radio abbiamo inserito anche una torcia elettrica, di modo che, oltre ad ascoltare i notiziari, queste persone che prima vivevano tagliate fuori dal consesso sociale ora possano anche illuminare le proprie casupole e in qualche modo guadagnare tempi”.

Giornaliste all'opera in una radio di Herat

Humaira, la direttrice senza burqa

Direttrice di Radio Sahar era è una ragazza di 24 anni, Humaira Habib, che non portava certo il burqa, come la maggior parte delle donne di Herat, ma un velo nero, alla guisa delle sciite, minoranza religiosa nella regione (15%), o delle iraniane, oltre il confine che dista solo 120 chilometri. Humaira aveva studiato in Pakistan e frequentato poi la facoltà di giornalismo a Herat, specializzandosi in lettere, conosceva bene l’importanza della radio, per il futuro del nuovo Afghanistan e delle donne. Ed era cosciente che la strada sarebbe stata lunga, ma che il primo gradino per uscire dal buio della condizione femminile lei lo aveva fatto.

Musica locale, indiana, italiana

La sua radio trasmetteva tredici ore al giorno, con tre edizioni del giornale, alle 14, alle 16 e alle 17. Vi lavoravano tredici persone, 8 donne e 5 uomini, tutti regolarmente stipendiati, e il raggio di trasmissioni eradi 35 chilometri, con dati di ascolto medio di 600 mila persone al giorno. I contenuti? Programmi sociali, di sport, commerciali, di musica, locale e indiana soprattutto, ma anche italiana, di educazione per le famiglie, con qualche interruzione pubblicitaria. Proprio come in Europa. Ma c'erano anche dibattiti al telefono con gli ascoltatori da una parte e alcune personalità locali in studio. Una sorta di microfono aperto. I programmi religiosi solo il venerdì, o in giorni dedicati a specifiche festività, come quella della ashura, in febbraio, o l’Eid, la festa di fine del Ramadan, che dura tre giorni. Programmi comunque sempre condotti dallo staff e mai da autorità islamiche. Il programma di maggior successo restava comunque quello dedicato ai temi sociali e della famiglia.  

L'interprete maschio

Humaira era una ragazza colta e parlava un perfetto inglese. Una rarità in mezzo a quegli altopiani dell'Asia. Ma non mi rispondeva direttamente. Lo faceva rivolta a un “interprete”, che parlava un inglese ben più scalcagnato del suo e sostanzialmente ripeteva le stesse parole. Ma era un maschio, l’unico titolato a parlare con gli stranieri e a far da tramite. Siamo tra Kafka e Pirandello, questo è evidente a un occidentale, ma un po’ meno surreale in Afghanistan, un Paese dove fino a pochi anni prima alle donne era vietato studiare, lavorare e uscire di casa, se non rigorosamente velate e per provvedere alla casa.  

La speaker di una radio afghana

"Una missione civile"

“Oggi – spiegava orgogliosa Humaira, rivolta al “pappagallo” – non riceviamo più alcun finanziamento esterno, ci sosteniamo da sole. Nemmeno il governo ci dà nulla, siamo del tutto indipendenti. Del resto non siamo nati per fare business, ma con una missione civile, e andiamo avanti, consapevoli delle difficoltà, almeno finché qualcuno non ci bloccherà i programmi”. Percepisce dei rischi per la vostra incolumità? “Per ora nessuno, i barbuti per fortuna sono scomparsi dall’orizzonte”.  

I diritti delle donne

Solo alla domanda “Cosa ne pensa dei diritti delle donne oggi in Afghanistan?”. Humaira tornava alla diplomazia. “Oggi c’è il diritto di andare a scuola, di lavorare, di vivere. La religione non è un ostacolo, il Corano non fa differenze tra uomini e donne. In Afghanistan ci sono moltissime donne analfabete e noi dobbiamo spiegare loro i grandi diritti che il Corano prevede per le mogli, troppo spesso violati. Depressione e tentativi di suicidio tra le donne nascono dalla mancanza di una coscienza dei propri diritti fondamentali”.  

La radio degli universitari

A pochi passi da Radio Saha era nata da poco un’altra radio (maschile) di non minor importanza, quella del dipartimento di giornalismo della facoltà di letteratura. “Radio Youth Voice”. Interamente gestita dagli universitari, anch’essa dava largo spazio alle presenze e agli interventi delle studentesse. Che dentro i recinti degli atenei si toglievano regolarmente il velo, e conversavano con i coetanei, prove tecniche di futuri possibili. Anche ‘Radio Youth Voice’ divenne una delle più seguite di Herat, con la sua alternanza di musica, soprattutto locale, giornali radio e le immancabili letture del Corano.  

Radio Sole sorge grazie a Milano

Dalla fine del 2004, sempre grazie al sostegno della Ong canadese, un gruppo di donne aveva deciso di organizzare una radio comunitaria femminile anche a Maimana, nel Nord del Paese, tra Herat e Mazar-I-Sharif, la città che nel 1995 vide la strage degli hazara, da parte dei Talebani. Il nome è molto simile a quello della stazione di Herat, “Radio Qayash”, Radio Sole in uzbeco. Al progetto diede un contributo di peso anche la ong milanese Intersos, organizzando la riabilitazione dell'edificio che ospitava i locali della radio e aiutando a costruire una rete di supporto locale molto forte. Intersos ha contribuito a lungo alla formazione delle giornaliste della radio, su temi relativi allo sviluppo sociale all'educazione sanitaria, all'uso dell'acqua, all'igiene, all'educazione.  

Lutto nella scuola femminile all'indomani dell'attentato

Bombe sul diritto al futuro

Un'avvisaglia di quel che potrà accadere è stato l'attentato con un'autobomba alla scuola femminile di Kabul, lo scorso 8 maggio: cinquantacinque  morti e centocinquanta feriti, presi in carico in gran parte da Emergency. L'obiettivo erano le studentesse e il loro diritto al futuro. Secondo un rapporto dell'organizzazione umanitaria Human Rights Watch, le donne subiscono ancora abusi, molestie e restrizioni in molte parti dell'Afghanistan. E’ vero, alcune sono tornate a studiare e possono frequentare l'università, ma funzionari governativi e squadre di studenti sono stati reclutati per controllare che i loro comportamenti ed il loro aspetto siano conformi alla religione islamica. E la repressione è ancora forte soprattutto nella vita sociale e politica, dove subiscono ancora restrizioni di movimento e in molti casi sono ancora costrette ad indossare il burqa.

Il ritorno dei Talebani

A loro è proibito parlare con gli uomini in strada, viaggiare con loro a bordo di macchine (anche nei taxi) ed incontrare uomini in abitazioni, anche private. Se colti in una di queste situazioni gli uomini vengono immediatamente tradotti in prigione mentre le donne, prima di essere arrestate, vengono portate in ospedale per essere sottoposte ad esame ginecologico per un controllare se abbiano avuto recenti rapporti sessuali o se siano vergini, quando nubili. Con i Talebani al potere, le cose non potranno andare meglio. Per le radio, ma per le donne in generale. Il sogno breve del futuro sembra essere durato troppo poco.

Una stazione radio a Kandahar