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Home » Scienze e culture » Lo schwa, forzatura ideologica o diritto per tuttə di definirsi e farsi chiamare? Tra Crusca e Vera Gheno, l’italiano alla prova della convivenza tra diversi

Lo schwa, forzatura ideologica o diritto per tuttə di definirsi e farsi chiamare? Tra Crusca e Vera Gheno, l’italiano alla prova della convivenza tra diversi

L'Accademia è contraria a schwa, asterisco, "u" finale quale vocale neutra e propugna il maschile plurale in quanto genere grammaticale non marcato, e non prevaricazione di un sesso. Vera Gheno, sociolinguista, mostra come dall'inglese allo svedese ogni lingua si adegui alla presenza di soggetti non binari nella società. "La lingua è la casa di tutti e tutti devono trovarvisi a proprio agio"

Sofia Francioni
7 Ottobre 2021
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Nel dibattito su come includere linguisticamente le persone non binarie, che non si identificano quindi né con il pronome lui né con il lei, prende parola l’Accademia della Crusca che dalla fine del Cinquecento passa al setaccio l’italiano standard, “descrivendone” gli usi senza avere la funzione di “prescriverli”. E il responso, è una bocciatura: né lo schwa, né l’asterisco, né la “u” finale sono, secondo l’accademico e linguista Paolo D’Achille che firma il parere, soluzioni praticabili.

Ecco chi capovolge l’ultima  vocale. E rivoluziona il linguaggio

 

Eppure, la ə capovolta, chiamato “schwa”, suono che emettiamo quando non sappiamo rispondere a una domanda, si sta piano piano diffondendo. A Firenze una casa editrice, la Effequ, lo sta già utilizzando al posto del maschile plurale nei suoi saggi. Mentre il comune di Castel Franco Emilia lo usa nelle sue comunicazioni ufficiali sui social. Recentemente, lo ha usato anche Zerocalcare in una graphic novel pubblicata su Internazionale e il fumettista Sio, Simone Albrigi, in un poster ha dato il suo: “Benvenutə” al pubblico del Lucca Comics. Il social fotografico Pinterest lo mette invece tra le opzioni di genere per identificarsi al momento dell’iscrizione e la Fondazione torinese Sandretto Re Baudengo per presentare l’autore di una mostra dedicata al potere del linguaggio, utilizza la parola “artistə”.

Anche se, il più largo uso dello “schwa” lo fa il mondo dell’attivismo politico: in (alcuni) movimenti femministi, nelle associazioni Lgbtq+ e in altre no profit.

 

Il dibattito di Luce!

Mettiamo a confronto due autorevoli voci della linguistica italiana: l’Accademia della Crusca, istituzione secolare di salvaguardia e tutela dell’italiano scritto e parlato che interviene con il linguista Paolo D’Achille e  la sociolinguista Vera Gheno, che  interpreta  la materia in chiave evolutiva, fra costanti comparazioni con le altre lingue contemporanee e assertice del principio che ogni persona della sentirsi a propio agio nella lingua in cui abita.

 

 

(ə, Ǝ, ɜ) Lo schwa? Perché no

Paolo D’Achille, linguista Accademia della Crusca

Per l’Accademia della Crusca: “Problemi grafici, nel parlato, difficoltà per le persone con dislessia e opacità tra plurale e singolare”. E la proposta: “usiamo in modo consapevole il maschile plurale come genere grammaticale non marcato

 

Secondo l’Accademia della Crusca lo schwa è inaccettabile. Nel parere in risposta alle richieste dei lettori, il linguista D’Achille scrive infatti che “lo schwa è una soluzione meno praticabile dell’asterisco”. Perché? Intanto “per le ulteriori difficoltà di lettura che creerebbe nei casi di dislessia”. Ma, soprattutto, perché da un punto di vista grafico il segno che si usa per rappresentarlo non è usato come grafema “neppure nelle lingue che, a differenza dell’italiano, lo prevedono nel loro sistema fonologico”. E poi, dello schwa, non esiste il maiuscolo: “Si potrebbe procedere per analogia e “rovesciare” la E, ma si tratterebbe di un ulteriore artificio, privo di riscontri – se non nella logica matematica, in cui il segno Ǝ significa ‘esiste’ (cosa che peraltro creerebbe una “collisione” sul piano del significato) – e, presumibilmente, sarebbe tutt’altro che chiaro per i lettori”.

Quanto al parlato, “non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo o per accordare la preferenza a tuttə rispetto al tuttu” .

In più, scrive D’Achille: “Lo schwa opacizza spesso la differenza di numero, tanto che tra chi ne sostiene l’uso c’è stato chi ha proposto di servirsi di ə per il singolare e di ricorrere a un altro simbolo IPA, ɜ, come “schwa plurale”, altra scelta a nostro avviso discutibile, anche per la possibile confusione con la cifra 3”.

 

Manifesto di una iniziativa pro uso dello schwa

“Non forzare la lingua al servizio di un’ideologia”

 

Secondo l’Accademico, che nell’introduzione si sofferma sulla differenza tra genere naturale e genere grammaticale, il dibattito è ideologico: “È senz’altro giusto, e anzi lodevole, quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico. Ma non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua – almeno nei suoi usi istituzionali, quelli propri dello standard che si insegna e si apprende a scuola – al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire”.

 

“Sesso e genere grammaticale sono diversi”

 

L’italiano, ricorda D’Achille, ha due generi grammaticali: il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Di questo, continua: “Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”.

In ultimo, per includere nella lingua il genere neutro arriva una proposta: “Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma”, conclude senza nascondere un piglio polemico “alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti”.

 

 

(ə, Ǝ, ɜ) Lo schwa, perché sì

 

 La sociolinguista Vera Gheno ospite di Popsophia

Vera Gheno: “È la soluzione migliore per la convivenza della differenze: pronunciabile ed esotico. Tuttə devono abitare con agio la propria lingua”

 

A differenza dell’Accademia della Crusca, di cui è stata anche collaboratrice, la sociolinguista Vera Gheno, che da anni studia le nuove sperimentazioni in atto, crede che tra tutte le soluzioni lo schwa sia la migliore. E in un Ted Talks propone l’argomentazione inversa: lo schwa, perché utilizzarlo? Come spiega lei stessa, negli altri paesi ci sono vari esperimenti linguistici di “convivenza della differenze”, per la definizione dello studioso Fabrizio Acanfora: “L’inglese ha iniziato da un po’ di tempo a usare il singular they, in America Latina invece si usa la “x”; in spagnolo la chiocciola (@) oppure i plurali in e, come todes. Lo svedese, di recente, ha introdotto il pronome “hen” accanto a “han” (lei) e “hon” (lui)”. In Italia, invece, sembrano maggiormente diffusi lo schwa, l’asterisco e la desinenza “u”, che vuole tuttu e non tutte e tutti“.

 

l manifesto di Sio, Simone Albrigi, per il Lucca Comics and Games

“La ə capovolta è più esotica e hipster”

Ma per Gheno la ə capovolta resta la soluzione migliore: “Intanto si può pronunciare, mentre l’asterisco no”. Inoltre, è preferibile alla u “che in molti dialetti italiani è una marca del maschile e per me quindi rappresenta un super maschile”, spiega. Poi, “lo schwa è un suono indistinto per un genere indistinto, quindi anche semanticamente funziona”. Su un testo “quasi non si nota e, specifica: “Forse è per questo che piace così tanto e che allo stesso tempo fa così paura. In più” conclude “un punto a suo favore è anche che è esotico, è più hipster rispetto all’asterisco, la barra, la chiocciola e tutto il resto”.

 

 

“Non ci sono persone di serie A e di serie B”

Per Gheno, inoltre, il dibattito sullo schwa può anche essere ideologico: “Le persone che non sanno con genere riferirsi a se stesse sono meno dell’1% della popolazione, ma questa minima percentuale non deve toccarci, né influenzarci perché in un’ottica inclusiva non esistono persone di serie A e di serie B”. E rassicura: “La lingua non si cambia a tavolino, quindi stiamo tranquilli: nessuno vuole e soprattutto può imporre nulla”. Ma, da parte sua: “Credo che all’interno di una società che vada verso una convivenza delle differenze non ci debba essere nessuno che non abiti con agio la propria lingua. Sentirsi a proprio agio, usando la propria lingua deve rientrare infatti fra i diritti di ogni persona”. Lo schwa, per Gheno, è un esperimento di cui non si deve avere paura, che “magari aiuterà le prossime generazioni a trovare una soluzione migliore di questa, che ha soprattutto il valore di aver evidenziato una questione, prima assolutamente aliena”.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
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(ə, Ǝ, ɜ) Lo schwa? Perché no

Paolo D'Achille, linguista Accademia della Crusca

Per l’Accademia della Crusca: “Problemi grafici, nel parlato, difficoltà per le persone con dislessia e opacità tra plurale e singolare”. E la proposta: “usiamo in modo consapevole il maschile plurale come genere grammaticale non marcato

  Secondo l’Accademia della Crusca lo schwa è inaccettabile. Nel parere in risposta alle richieste dei lettori, il linguista D’Achille scrive infatti che “lo schwa è una soluzione meno praticabile dell’asterisco”. Perché? Intanto “per le ulteriori difficoltà di lettura che creerebbe nei casi di dislessia”. Ma, soprattutto, perché da un punto di vista grafico il segno che si usa per rappresentarlo non è usato come grafema “neppure nelle lingue che, a differenza dell’italiano, lo prevedono nel loro sistema fonologico”. E poi, dello schwa, non esiste il maiuscolo: “Si potrebbe procedere per analogia e “rovesciare” la E, ma si tratterebbe di un ulteriore artificio, privo di riscontri - se non nella logica matematica, in cui il segno Ǝ significa ‘esiste’ (cosa che peraltro creerebbe una “collisione” sul piano del significato) - e, presumibilmente, sarebbe tutt’altro che chiaro per i lettori”. Quanto al parlato, “non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo o per accordare la preferenza a tuttə rispetto al tuttu” . In più, scrive D’Achille: “Lo schwa opacizza spesso la differenza di numero, tanto che tra chi ne sostiene l’uso c’è stato chi ha proposto di servirsi di ə per il singolare e di ricorrere a un altro simbolo IPA, ɜ, come “schwa plurale”, altra scelta a nostro avviso discutibile, anche per la possibile confusione con la cifra 3”.  
Manifesto di una iniziativa pro uso dello schwa

"Non forzare la lingua al servizio di un'ideologia"

  Secondo l’Accademico, che nell’introduzione si sofferma sulla differenza tra genere naturale e genere grammaticale, il dibattito è ideologico: “È senz’altro giusto, e anzi lodevole, quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico. Ma non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua – almeno nei suoi usi istituzionali, quelli propri dello standard che si insegna e si apprende a scuola – al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire”.  

"Sesso e genere grammaticale sono diversi"

  L’italiano, ricorda D’Achille, ha due generi grammaticali: il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Di questo, continua: “Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”. In ultimo, per includere nella lingua il genere neutro arriva una proposta: “Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma”, conclude senza nascondere un piglio polemico “alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti”.    

(ə, Ǝ, ɜ) Lo schwa, perché sì

 
 La sociolinguista Vera Gheno ospite di Popsophia

Vera Gheno: “È la soluzione migliore per la convivenza della differenze: pronunciabile ed esotico. Tuttə devono abitare con agio la propria lingua”

  A differenza dell’Accademia della Crusca, di cui è stata anche collaboratrice, la sociolinguista Vera Gheno, che da anni studia le nuove sperimentazioni in atto, crede che tra tutte le soluzioni lo schwa sia la migliore. E in un Ted Talks propone l’argomentazione inversa: lo schwa, perché utilizzarlo? Come spiega lei stessa, negli altri paesi ci sono vari esperimenti linguistici di “convivenza della differenze”, per la definizione dello studioso Fabrizio Acanfora: “L’inglese ha iniziato da un po’ di tempo a usare il singular they, in America Latina invece si usa la “x”; in spagnolo la chiocciola (@) oppure i plurali in e, come todes. Lo svedese, di recente, ha introdotto il pronome “hen” accanto a “han” (lei) e “hon” (lui)”. In Italia, invece, sembrano maggiormente diffusi lo schwa, l’asterisco e la desinenza “u”, che vuole tuttu e non tutte e tutti".  
l manifesto di Sio, Simone Albrigi, per il Lucca Comics and Games

"La ə capovolta è più esotica e hipster"

Ma per Gheno la ə capovolta resta la soluzione migliore: “Intanto si può pronunciare, mentre l’asterisco no”. Inoltre, è preferibile alla u “che in molti dialetti italiani è una marca del maschile e per me quindi rappresenta un super maschile”, spiega. Poi, “lo schwa è un suono indistinto per un genere indistinto, quindi anche semanticamente funziona”. Su un testo “quasi non si nota e, specifica: “Forse è per questo che piace così tanto e che allo stesso tempo fa così paura. In più” conclude “un punto a suo favore è anche che è esotico, è più hipster rispetto all’asterisco, la barra, la chiocciola e tutto il resto”.    

"Non ci sono persone di serie A e di serie B"

Per Gheno, inoltre, il dibattito sullo schwa può anche essere ideologico: “Le persone che non sanno con genere riferirsi a se stesse sono meno dell’1% della popolazione, ma questa minima percentuale non deve toccarci, né influenzarci perché in un’ottica inclusiva non esistono persone di serie A e di serie B”. E rassicura: “La lingua non si cambia a tavolino, quindi stiamo tranquilli: nessuno vuole e soprattutto può imporre nulla”. Ma, da parte sua: “Credo che all’interno di una società che vada verso una convivenza delle differenze non ci debba essere nessuno che non abiti con agio la propria lingua. Sentirsi a proprio agio, usando la propria lingua deve rientrare infatti fra i diritti di ogni persona”. Lo schwa, per Gheno, è un esperimento di cui non si deve avere paura, che “magari aiuterà le prossime generazioni a trovare una soluzione migliore di questa, che ha soprattutto il valore di aver evidenziato una questione, prima assolutamente aliena”.
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