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Home » Scienze e culture » Mamma e papà o genitori dello stesso sesso? Per i figli non c’è differenza. Avere una famiglia dovrebbe essere un diritto per tutti

Mamma e papà o genitori dello stesso sesso? Per i figli non c’è differenza. Avere una famiglia dovrebbe essere un diritto per tutti

Numerosi studi condotti a partire dal 1970 soprattutto negli Stati Uniti hanno dimostrato che l’orientamento sessuale dei genitori non ha alcuna ricaduta disfunzionale su* figl* e sul loro percorso evolutivo. Al di là dei giudizi esiste quindi una verità scientifica

Marianna Grazi
5 Giugno 2021
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Figli di genitori dello stesso sesso: come sarà la loro crescita rispetto a figli di genitori di sesso diverso? Il tema è particolarmente interessante e molto dibattuto. Siamo d’accordo? Non siamo d’accordo? In realtà, aldilà del giudizio personale di ognuno esiste una verità oggettiva (o perlomeno scientifica) sulla crescita dei figli.

Nel 1970 è comparso il primo studio sulle famiglie omogenitoriali e sono passati ben 45 anni da quando la ricerca scientifica internazionale ha iniziato a occuparsi questo tipo di nuclei familiari, producendo nel tempo numerosissimi report. Tra gli esperti il parere è sostanzialmente unanime. Viene sostenuta l’adeguatezza genitoriale delle persone omosessuali ed è dimostrato che la struttura familiare (in termini di genere) non influenza la qualità della genitorialità. Nonostante ciò in alcuni Paesi, come l’Italia, per rimanere in un contesto a noi noto, persistono atteggiamenti discriminatori e molti pregiudizi verso le coppie gay o lesbiche con figli o che vogliono adottarne.

Smiling kid touching belly of pregnant mother near parent at home

Nel corso del tempo le ricerche si sono modificate in relazione ai cambiamenti che sono intervenuti a livello sociale e culturale, a partire dall’incremento significativo del numero dei nuclei omogenitoriali a livello internazionale. Quello che è emerso dagli studi a livello comparato tra famiglie è che l’orientamento sessuale dei genitori non ha alcuna ricaduta disfunzionale sui/sulle figli/e e sul loro percorso evolutivo. Nessun disturbo o compromissione dei processi di crescita. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra bambini cresciuti in nuclei eterosessuali e omosessuali, rispetto a costrutti quali autostima, benessere psicologico, benessere fisico e mentale, presenza di sintomatologie psicologiche o psichiatriche, adattamento personale, sociale e familiare, adattamento scolastico, assunzione di condotte o comportamenti devianti.

Le indagini non consentono, inoltre, di riscontrare disparità rispetto alle preferenze di genere e all’orientamento sessuale di bambini cresciuti da genitori omosessuali. Insomma avere due mamme o due papà non influenza l’identità di genere e o il comportamento sessuale dei figli. Anzi,  questi ultimi risultano maggiormente predisposti al superamento degli stereotipi tradizionali. Insomma, sembrerebbero essere più liberi e percepire meno pressioni rispetto alle tradizionali ‘gender based norms’, ossia le norme di genere.

Nel 2013, l’American Academy of Pediatrics (AAP), attraverso il “Promoting the well-being of children whose parents are gay o lesbian”, ha focalizzato l’attenzione sull’importante tema del rapporto tra benessere dei bambini e riconoscimento legale dell’unione familiare. Partendo dal presupposto che la famiglia è l’unità sociale di base in cui i figli crescono e si sviluppano attraverso relazioni supportive e di cura con adulti competenti, l’associazione sottolinea il carattere multiforme degli attuali sistemi familiari. Inoltre evidenzia il fatto che l’orientamento sessuale dei genitori non esercita alcuna influenza sui bambini, dal momento che per il raggiungimento di un ottimale sviluppo socio-emozionale e cognitivo hanno bisogno di relazioni sicure e durature con adulti coinvolti emotivamente, competenti e capaci di dare cure, a prescindere dal loro orientamento sessuale.

Perciò è nell’interesse dei figli che le istituzioni giuridiche e sociali riconoscano l’unione matrimoniale dei genitori, anche di quelli omosessuali; così come la possibilità che un bambino possa essere adottato da genitori amorevoli, che un maschio e una femmina o due maschi o due femmine.

Su questo stesso tema, nel 2004, si era espressa anche l’American Psychological Association (APA), dichiarando di opporsi a qualsiasi discriminazione fondata sull’orientamento sessuale in materia genitorialità. Da parte sua l’APA riteneva e ritiene che i bambini cresciuti da una coppia omosessuale debbano beneficiare dei legami giuridici con ciascun genitore, sostenendo la tutela delle relazioni genitori-figli attraverso la legalizzazione delle adozioni congiunte e delle adozioni di bambini da parte del co-genitore.

Nel 2006 il Department of Justice canadese, in una relazione sullo “Sviluppo delle abilità sociali dei bambini attraverso i vari tipi di famiglia”, dichiara che “la gran parte degli studi mostrano che i bambini che vivono con due madri e i bambini che vivono con un padre e una madre hanno lo stesso livello di competenza sociale. Pochi studi suggeriscono che i bambini con madri lesbiche potrebbero avere una migliore competenza sociale, ancora meno studi dimostrano l’opposto, ma la maggior parte delle ricerche fallisce nel trovare qualsiasi differenza. Anche quelle condotte su bambini con due padri supportano queste conclusioni”.

Sulla stessa posizione l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP) che ha affermato: “non vi è evidenza scientifica a sostegno della tesi secondo cui persone di orientamento omosessuale o bisessuale siano di per sé diversi o carenti nella capacità di essere genitori, di saper cogliere i problemi dell’infanzia e di sviluppare attaccamenti genitore-figlio rispetto ai genitori di orientamento eterosessuale.”

Le conclusioni qui riportate e le tante che si sono susseguite in questi decenni devono far riflettere sulla necessità di assumere modelli pluralisti e maggiormente inclusivi nella realtà genitoriale di oggi. Che non vuole dire creare, come in modo manipolatorio si sente rimarcare spesso, una presunta dittatura delle minoranze, ma riconoscere a tutte le forme di famiglia pari dignità e pari opportunità, a prescindere dal fatto che siano eterosessuali o omosessuali. Perché l’interesse primario deve sempre rimanere quello dei figli e tutti gli studi hanno dimostrato che, per loro, la famiglia è avere due genitori che li amano e li supportano, di qualsiasi genere essi siano.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Figli di genitori dello stesso sesso: come sarà la loro crescita rispetto a figli di genitori di sesso diverso? Il tema è particolarmente interessante e molto dibattuto. Siamo d’accordo? Non siamo d’accordo? In realtà, aldilà del giudizio personale di ognuno esiste una verità oggettiva (o perlomeno scientifica) sulla crescita dei figli. Nel 1970 è comparso il primo studio sulle famiglie omogenitoriali e sono passati ben 45 anni da quando la ricerca scientifica internazionale ha iniziato a occuparsi questo tipo di nuclei familiari, producendo nel tempo numerosissimi report. Tra gli esperti il parere è sostanzialmente unanime. Viene sostenuta l’adeguatezza genitoriale delle persone omosessuali ed è dimostrato che la struttura familiare (in termini di genere) non influenza la qualità della genitorialità. Nonostante ciò in alcuni Paesi, come l'Italia, per rimanere in un contesto a noi noto, persistono atteggiamenti discriminatori e molti pregiudizi verso le coppie gay o lesbiche con figli o che vogliono adottarne.
Smiling kid touching belly of pregnant mother near parent at home
Nel corso del tempo le ricerche si sono modificate in relazione ai cambiamenti che sono intervenuti a livello sociale e culturale, a partire dall’incremento significativo del numero dei nuclei omogenitoriali a livello internazionale. Quello che è emerso dagli studi a livello comparato tra famiglie è che l’orientamento sessuale dei genitori non ha alcuna ricaduta disfunzionale sui/sulle figli/e e sul loro percorso evolutivo. Nessun disturbo o compromissione dei processi di crescita. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra bambini cresciuti in nuclei eterosessuali e omosessuali, rispetto a costrutti quali autostima, benessere psicologico, benessere fisico e mentale, presenza di sintomatologie psicologiche o psichiatriche, adattamento personale, sociale e familiare, adattamento scolastico, assunzione di condotte o comportamenti devianti. Le indagini non consentono, inoltre, di riscontrare disparità rispetto alle preferenze di genere e all’orientamento sessuale di bambini cresciuti da genitori omosessuali. Insomma avere due mamme o due papà non influenza l’identità di genere e o il comportamento sessuale dei figli. Anzi,  questi ultimi risultano maggiormente predisposti al superamento degli stereotipi tradizionali. Insomma, sembrerebbero essere più liberi e percepire meno pressioni rispetto alle tradizionali 'gender based norms', ossia le norme di genere. Nel 2013, l’American Academy of Pediatrics (AAP), attraverso il "Promoting the well-being of children whose parents are gay o lesbian", ha focalizzato l’attenzione sull’importante tema del rapporto tra benessere dei bambini e riconoscimento legale dell’unione familiare. Partendo dal presupposto che la famiglia è l’unità sociale di base in cui i figli crescono e si sviluppano attraverso relazioni supportive e di cura con adulti competenti, l’associazione sottolinea il carattere multiforme degli attuali sistemi familiari. Inoltre evidenzia il fatto che l’orientamento sessuale dei genitori non esercita alcuna influenza sui bambini, dal momento che per il raggiungimento di un ottimale sviluppo socio-emozionale e cognitivo hanno bisogno di relazioni sicure e durature con adulti coinvolti emotivamente, competenti e capaci di dare cure, a prescindere dal loro orientamento sessuale. Perciò è nell’interesse dei figli che le istituzioni giuridiche e sociali riconoscano l’unione matrimoniale dei genitori, anche di quelli omosessuali; così come la possibilità che un bambino possa essere adottato da genitori amorevoli, che un maschio e una femmina o due maschi o due femmine. Su questo stesso tema, nel 2004, si era espressa anche l’American Psychological Association (APA), dichiarando di opporsi a qualsiasi discriminazione fondata sull’orientamento sessuale in materia genitorialità. Da parte sua l’APA riteneva e ritiene che i bambini cresciuti da una coppia omosessuale debbano beneficiare dei legami giuridici con ciascun genitore, sostenendo la tutela delle relazioni genitori-figli attraverso la legalizzazione delle adozioni congiunte e delle adozioni di bambini da parte del co-genitore. Nel 2006 il Department of Justice canadese, in una relazione sullo "Sviluppo delle abilità sociali dei bambini attraverso i vari tipi di famiglia", dichiara che "la gran parte degli studi mostrano che i bambini che vivono con due madri e i bambini che vivono con un padre e una madre hanno lo stesso livello di competenza sociale. Pochi studi suggeriscono che i bambini con madri lesbiche potrebbero avere una migliore competenza sociale, ancora meno studi dimostrano l’opposto, ma la maggior parte delle ricerche fallisce nel trovare qualsiasi differenza. Anche quelle condotte su bambini con due padri supportano queste conclusioni". Sulla stessa posizione l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP) che ha affermato: "non vi è evidenza scientifica a sostegno della tesi secondo cui persone di orientamento omosessuale o bisessuale siano di per sé diversi o carenti nella capacità di essere genitori, di saper cogliere i problemi dell’infanzia e di sviluppare attaccamenti genitore-figlio rispetto ai genitori di orientamento eterosessuale." Le conclusioni qui riportate e le tante che si sono susseguite in questi decenni devono far riflettere sulla necessità di assumere modelli pluralisti e maggiormente inclusivi nella realtà genitoriale di oggi. Che non vuole dire creare, come in modo manipolatorio si sente rimarcare spesso, una presunta dittatura delle minoranze, ma riconoscere a tutte le forme di famiglia pari dignità e pari opportunità, a prescindere dal fatto che siano eterosessuali o omosessuali. Perché l'interesse primario deve sempre rimanere quello dei figli e tutti gli studi hanno dimostrato che, per loro, la famiglia è avere due genitori che li amano e li supportano, di qualsiasi genere essi siano.
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