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Home » Scienze e culture » Dove finiscono le mascherine che buttiamo nella spazzatura? Ecco perché sono un problema per l’ambiente

Dove finiscono le mascherine che buttiamo nella spazzatura? Ecco perché sono un problema per l’ambiente

In Italia dall'inizio della pandemia da Covid-19 sono stati usati 46 miliardi di mascherine. E nel mondo 129 miliardi. Ma che cosa succede dopo che le abbiamo gettate nella raccolta indifferenziata?

Domenico Guarino
17 Maggio 2022
mascherine ambiente oceani

mascherine ambiente oceani

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Obbligatorie, facoltative, imposte, raccomandate. Da diversi giorni i nostri comportamenti quotidiani sono alle prese con le nuove disposizioni relative all’uso delle mascherine anti Covid-19. Al chiuso, all’aperto, al lavoro, a scuola, nei musei, a teatro: regole diverse per ogni contesto che spesso mandano in confusione anche il più ligio cittadino rispettoso delle normative. Ma c’è una cosa che accomuna tutti i DPI (dispositivi di protezione individuale) che abbiamo usato ed ancora usiamo in virtù (per colpa) della pandemia: prima o poi diventano rifiuti. E siccome ne abbiamo usate in quantità industriali, è chiaro che il problema della dispersione nell’ambiente è quanto mai drammatico. Senza contare che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel mondo 3 strutture sanitarie su 10 non dispongono di sistemi per la raccolta differenziata dei rifiuti.

Al momento si stima che dall’inizio della pandemia da Covid-19 circa un miliardo e mezzo di mascherine sono finite negli oceani

Un miliardo e mezzo di mascherine sono finite negli oceani

Si stima che al momento circa un miliardo e mezzo solo di mascherine siano finite negli oceani, con conseguenze devastanti per la fauna marina, in quanto, gli animali rischiano di scambiarle per cibo finendo per nutrirsi di materiali nocivi, mentre le sostanze chimiche di cui sono fatte le mascherine si degradano molto lentamente, rilasciando frammenti microplastici. E così pesci e tartarughe marine ingeriscono questi rifiuti o rimangono intrappolati nei guanti monouso, gli uccelli finiscono per impigliarsi nei lacci delle mascherine da cui non riescono a liberarsi, e muoiono di fame. Mentre pinguini e gabbiani muoiono a causa dell’ingestione di plastiche riconducibile ai rifiuti del Covid. In pericolo anche cani e gatti, che rischiano il soffocamento ingoiando i dispositivi di protezione abbandonati per terra.

In Italia dall’inizio della pandemia abbiamo usato 46 miliardi di mascherine

Il problema è globale, come ha dimostrato uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università olandese di Leida, in collaborazione con i biologi del Naturalis Biodiversity Center, secondo cui nessun luogo sul pianeta né alcuna specie animale viene risparmiata. Un fenomeno che purtroppo rischia di aggravarsi nel tempo. Secondo una prima stima conservativa elaborata da Sima (Società Italiana Medicina Ambientale), sarebbero infatti almeno 46 miliardi le mascherine utilizzate solo in Italia da inizio pandemia ad oggi. E ben 129 miliardi a livello globale quelle consumate ogni mese, ovvero 3 milioni al minuto.

Dove finiscono le mascherine che buttiamo nella spazzatura?

Ad oggi, non potendole riciclare, le mascherine finiscono nella raccolta indifferenziata e da lì nell’inceneritore o in discarica, in Italia o in un altro Paese, dove non di rado, come in India, Indonesia e Pakistan, finiscono per diventare delle vere e proprie montagne di rifiuti. Cosa fare dunque? In attesa che si trovi il modo di realizzare i dpi in materiale riciclabile, è bene allora prestare massima attenzione al loro smaltimento, evitando di disperderli nell’ambiente, con tutto quello che ne consegue.

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Calcio, in Germania le persone transgender potranno scegliere se giocare con squadre maschili o femminili

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  • La storia di Andrea Prudente, cittadina statunitense in vacanza a Malta, riporta sotto i riflettori alcune delle complessità legate all’aborto, che in alcuni Paesi si rivelano più ingombranti che in altri. 

La turista americana è arrivata nell’arcipelago nel Mediterraneo incinta di 16 settimane: ora rischia la vita a causa di un aborto spontaneo, al quale i medici del policlinico Mater Dei non possono porre fine perché il cuore del feto batte ancora. 

La donna rischia la setticemia, infezione dovuta al distaccamento della placenta, ma a Malta, unico Paese dell’Unione Europea in cui l’aborto è vietato in ogni caso, i medici rischiano quattro anni di prigione se interrompono la vita del feto, anche se le acque si sono rotte e a detta degli stessi medici «non c’è alcuna possibilità di sopravvivenza» del bambino.

Il partner della donna, Jay Weeldreyer, ha affermato che la donna «è tenuta in ostaggio in ospedale da una settimana». Costretti a sperare nella morte del feto, Jay ha lanciato un appello affinché almeno la moglie possa essere salvata, denunciando di non aver ricevuto neppure il permesso per il trasferimento in una nazione dove l’aborto è legale. 

«La bambina non vivrà, non si può fare nulla per cambiare l’esito. La volevamo, la vorremmo ancora, la amiamo, vorremmo che sopravvivesse, ma non sarà così, e non solo stiamo perdendo nostra figlia, ma così l’ospedale mette a rischio anche la vita di Andrea». 

La vicenda è stata resa nota dalla Ong “Doctors for Choice”, che teme si ripeta una tragedia come quella di Savita Halappanavar, morta nel 2012 a 31 anni in Irlanda dove le venne negato l’aborto medico dopo un inizio di aborto spontaneo. «Spero che riusciremo a ricevere qualche forma di grazia da Malta e che ci lasci partire. Anche presumendo che non ce la faccia, preferiremmo sperare che Andrea possa sopravvivere al volo» ha concluso Weeldreyer.

#lucenews #lucelanazione #abortion #girlsjustwannahaverights #womenrights #malta #andreaprudente
  • Momento storico per quanto riguarda i diritti della comunità Lgbtqia+ e, più in generale dello sport: la Federcalcio tedesca ha approvato un nuovo regolamento che consentirà alle persone transgender, intersessuali e non binarie di scegliere in autonomia se far parte di squadre femminili o maschili. 

Il regolamento entrerà in vigore nella stagione 2022/2023 ed è stato incorporato nel regolamento di gioco DFB (Federazione calcistica tedesca), nel regolamento giovanile DFB e nel regolamento futsal DFB per il calcio amatoriale. 

«Il calcio - spiega Thomas Hitzlsperger, ambasciatore per la diversità di DFB - è sinonimo di diversità e anche la DFB si impegna in tal senso, creando importanti norme per consentire ai giocatori di diverse identità di genere di giocare.»

In sostanza, il regolamento prevede che i giocatori con la voce di stato civile "diverso" o "non specificati" potranno decidere da soli se essere idonei a giocare per una squadra femminile o maschile.

I giocatori transgender possono cambiare o rimanere nella squadra in cui hanno giocato in precedenza. 

#lucenews #lucelanazione #germania #dfb #transright #lgbtq
  • Un mondo troppo frenetico che non lascia respirare, soprattutto quando si vuole fare la mamma. È questa la storia di Sandra Bullock, l’attrice che sebbene molto soddisfatta del suo successo al momento ha deciso di dire stop.

In realtà già qualche mese fa aveva detto di volersi farsi temporaneamente da parte nel mondo cinema per dedicarsi ai suoi due figli, Louis e Laila, rispettivamente di 12 e 10 anni. 
Questa volta sembra aver deciso per davvero e dopo 30 anni di carriera e una cinquantina di film ha bisogno di avere tempo per se stessa. Ha anche confessato che fare un passo indietro rappresenta una sfida personale per lei.

“Il lavoro è stato sempre costante per me e sono stata davvero fortunata. Mi sono resa conto che stava diventando come la mia stampella. Era come aprire sempre un frigorifero alla ricerca di qualcosa che non c’era mai. Mi sono detta: ‘Smettila di cercarlo qui perché non esiste. Ce l’hai già, e mettiti l’anima in pace che non c’è bisogno che il lavoro ti validi.’”

Vi siete mai sentiti così? Raccontateci il vostro rapporto con il lavoro 👩🏻‍💻

Di Edoardo Martini ✍️

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  • “Ciao a tutti! Siamo Jenny e Viola, la mia bimba di 11 mesi. Stiamo cercando con massima urgenza una stanza in affitto a Firenze (o anche piccolo appartamento). Purtroppo molti proprietari non gradiscono bambini e sto avendo veramente tanta difficoltà a trovare un posto per noi. Vi assicuro che Viola è una bimba tranquillissima, non piange la notte e non crea nessun disturbo! Entro domenica dovremo lasciare la nostra attuale sistemazione, quindi va benissimo anche una soluzione provvisoria di un mese o due! È davvero urgente!”.

Sembra un vero SOS il messaggio postato pochi giorni fa su un gruppo Facebook dedicato agli affitti privati da mamma Jennifer, una giovane donna sola che, nonostante l’urgenza e la reale necessità, non riesce proprio a trovare una sistemazione per sé e per la propria bambina nel capoluogo toscano. 

“Io e la mia bambina abbiamo bisogno di un tetto, dove vivere insieme senza la paura di dover cambiare alloggio ogni due settimane. È un appello che faccio per me ma anche per tante mamme nelle mie stesse condizioni. Ne conosco tante, e giorno dopo giorno incontrano le mie stesse difficoltà”.

Leggi l’intervista a cura di Caterina Ceccuti ✍

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Obbligatorie, facoltative, imposte, raccomandate. Da diversi giorni i nostri comportamenti quotidiani sono alle prese con le nuove disposizioni relative all’uso delle mascherine anti Covid-19. Al chiuso, all’aperto, al lavoro, a scuola, nei musei, a teatro: regole diverse per ogni contesto che spesso mandano in confusione anche il più ligio cittadino rispettoso delle normative. Ma c’è una cosa che accomuna tutti i DPI (dispositivi di protezione individuale) che abbiamo usato ed ancora usiamo in virtù (per colpa) della pandemia: prima o poi diventano rifiuti. E siccome ne abbiamo usate in quantità industriali, è chiaro che il problema della dispersione nell’ambiente è quanto mai drammatico. Senza contare che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel mondo 3 strutture sanitarie su 10 non dispongono di sistemi per la raccolta differenziata dei rifiuti.

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Un miliardo e mezzo di mascherine sono finite negli oceani

Si stima che al momento circa un miliardo e mezzo solo di mascherine siano finite negli oceani, con conseguenze devastanti per la fauna marina, in quanto, gli animali rischiano di scambiarle per cibo finendo per nutrirsi di materiali nocivi, mentre le sostanze chimiche di cui sono fatte le mascherine si degradano molto lentamente, rilasciando frammenti microplastici. E così pesci e tartarughe marine ingeriscono questi rifiuti o rimangono intrappolati nei guanti monouso, gli uccelli finiscono per impigliarsi nei lacci delle mascherine da cui non riescono a liberarsi, e muoiono di fame. Mentre pinguini e gabbiani muoiono a causa dell’ingestione di plastiche riconducibile ai rifiuti del Covid. In pericolo anche cani e gatti, che rischiano il soffocamento ingoiando i dispositivi di protezione abbandonati per terra.

In Italia dall'inizio della pandemia abbiamo usato 46 miliardi di mascherine

Il problema è globale, come ha dimostrato uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università olandese di Leida, in collaborazione con i biologi del Naturalis Biodiversity Center, secondo cui nessun luogo sul pianeta né alcuna specie animale viene risparmiata. Un fenomeno che purtroppo rischia di aggravarsi nel tempo. Secondo una prima stima conservativa elaborata da Sima (Società Italiana Medicina Ambientale), sarebbero infatti almeno 46 miliardi le mascherine utilizzate solo in Italia da inizio pandemia ad oggi. E ben 129 miliardi a livello globale quelle consumate ogni mese, ovvero 3 milioni al minuto.

Dove finiscono le mascherine che buttiamo nella spazzatura?

Ad oggi, non potendole riciclare, le mascherine finiscono nella raccolta indifferenziata e da lì nell'inceneritore o in discarica, in Italia o in un altro Paese, dove non di rado, come in India, Indonesia e Pakistan, finiscono per diventare delle vere e proprie montagne di rifiuti. Cosa fare dunque? In attesa che si trovi il modo di realizzare i dpi in materiale riciclabile, è bene allora prestare massima attenzione al loro smaltimento, evitando di disperderli nell’ambiente, con tutto quello che ne consegue.

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