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Home » Scienze e culture » Differenza di genere, la pillola amara da mandare giù: “La medicina è maschilista”

Differenza di genere, la pillola amara da mandare giù: “La medicina è maschilista”

A oggi i farmaci sono sempre stati testati sui maschi e 8 su 10 fra quelli ritirati per tossicità provocavano effetti sulle donne. La ricetta di Alfredo Zuppiroli, medico e già membro del Comitato bioetico della Toscana: "Riconoscere le differenze è un preciso dovere etico e civile, oltre che professionale"

Geraldina Fiechter
28 Aprile 2022
Il professor Alfredo Zuppiroli, presidente regionale commissione Bioetica della Toscana

Il professor Alfredo Zuppiroli, presidente regionale commissione Bioetica della Toscana

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La medicina non è femmina. Lo dicono i dati e gli studi clinici che il mondo medico sta finalmente diffondendo in giro per il mondo. Cosa significa? Cominciamo da un dato: fino a oggi i farmaci sono sempre stati testati sui maschi. Solo molto recentemente hanno cominciato a arruolare le donne nelle sperimentazioni. Come se non ci fossero differenze vistose fra il corpo femminile e quello maschile, a partire dal peso e dal metabolismo epatico che rende diverso l’assorbimento delle medicine. Non a caso 8 farmaci su 10 ritirati per tossicità (dice uno studio canadese) provocavano effetti proprio sulle donne. Ed è solo il primo esempio del clamoroso gender gap in medicina. Ha ammesso recentemente il dottor Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche: “Nonostante i grandi progressi e il miglioramento delle terapie, la medicina è ancora sostanzialmente impostata su modelli maschilisti”.
Chi si è sempre battuto per una medicina che tenesse conto delle differenze è il dottor Alfredo Zuppiroli, cardiologo con una lunga carriera nella sanità pubblica, autore del libro Le trame della cura e già presidente della Commissione di bioetica della Toscana.
Alfredo Zuppiroli presidente regionale commissione Bioetica della Toscana
Il professor Alfredo Zuppiroli, presidente regionale commissione Bioetica della Toscana

Dottore, si può dire che la medicina sia maschilista?

“Certo. Diciamo androcentrica. E’ dagli anni ’90 del secolo scorso che si sta cercando di spostare l’interesse per la salute delle donne dai soli aspetti correlati alla riproduzione (ciclo, menopausa, gravidanze) al ruolo che le variabili biologiche (legate al sesso) e quelle psicologiche, ambientali, culturali e socioeconomiche (legate al genere) hanno su tutte le malattie, ma ancora molta strada resta da fare”.
Si riferisce alla ricerca?
“Sì, le donne continuano ad essere sottorappresentate rispetto agli uomini. Nei grandi studi internazionali arrivano spesso a costituire non più del 25% dei soggetti arruolati nella sperimentazione”.
Perché un gender gap così vistoso e dannoso per le donne? 
“Una spiegazione può stare nel fatto che i protocolli di ricerca tendono ad eliminare la variabilità, semplificando le caratteristiche della popolazione oggetto di studio. L’organismo femminile è infatti molto più complesso e le sue risposte sono più difficilmente incasellabili: basti pensare ai cambiamenti nelle varie fasce d’età, alle cicliche variazioni ormonali, oltre al fatto che il corpo delle donne non è soltanto (mediamente) più piccolo, anche nei suoi organi, rispetto a quello maschile, ma presenta una diversa distribuzione della massa grassa e magra, un diverso contenuto di liquidi”.
Ma allora le differenze riguardano anche altre categorie come i bambini o gli anziani?
“Ma certo: anche la popolazione pediatrica e quella anziana sono molto poco rappresentate nella ricerca scientifica. Il bambino è tutt’altro che un adulto piccolo, e l’organismo della persona anziana ha delle sue significative specificità. Per non parlare di gruppi etnici che raramente si vedono inclusi nelle grandi sperimentazioni internazionali di farmaci o dispositivi medici, che purtroppo sono ancora prevalentemente centrate sui maschi adulti di pelle bianca e di peso vicino ai 70 chili”.
Quindi in medicina sarebbe sbagliato parlare di uguaglianza?
Ancora oggi un nutrito numero di nazioni ha leggi che prevedono procedure discriminatorie nelle modalità di richiesta del divorzio o nell’affidamento dei figli e nella divisione dei beni
Otto farmaci su dieci ritirati per tossicità, secondo uno studio canadese, provocavano effetti collaterali sulle donne

“La neutralità rispetto al sesso ed al genere, quando sono precisi fattori di differenze nell’incidenza e nell’esito di molte patologie, si risolve in un potente fattore di disparità ed iniquità. Ricordiamoci le parole di Don Milani – anche se indirizzate al mondo della scuola, hanno un valore universale: ‘Non c’è nulla di più iniquo del fare parti uguali tra disuguali’. Riconoscere le differenze è un preciso dovere etico e civile, oltre che professionale; la medicina e la sanità pubblica non possono non tenerne conto nell’ambito delle politiche di prevenzione, di diagnosi e di cura”.

Come si realizza il concetto di pari opportunità nel campo della salute?
“Si deve estendere anche alla opportunità di avere un trattamento adeguato in caso di malattia, nello spirito con cui Amartya Sen intende il concetto di equità della salute: ‘Non già cure uguali per tutti, né cure estese ugualmente a tutti, ma cure tali per cui tutti possano avere uguali probabilità di godere di buona salute’”.
Qualche esempio di farmaco o di terapia che dovrebbero essere differenziati? Abbiamo visto che sull’aspirina, per esempio, ci sono molti dubbi sull’efficacia nelle donne.
genere
L’attenzione alla differenza di sesso/genere non è presente nella scheda tecnica dell’EMA (l’agenzia europea per i medicinali)

“Sull’aspirina si sta ancora indagando. Il caso dello Zolpidem, invece, è più chiaro ed emblematico: solo dopo molti anni dalla immissione in commercio di questo farmaco contro l’insonnia, la FDA americana ha approvato una dose distinta per genere. C’erano stati  numerosi episodi di ridotta capacità nella guida da parte delle donne il mattino dopo l’assunzione del farmaco, e uno studio farmacocinetico ad hoc evidenziò in effetti una ridotta eliminazione del farmaco nel sesso femminile”.

E ora è scritto nella scheda tecnica del farmaco?
“Purtroppo questa attenzione alla differenza di sesso/genere non è presente nella scheda tecnica dell’EMA (l’agenzia europea per i medicinali) e dunque in Italia il farmaco è venduto con la sola raccomandazione di usare dosi minori negli anziani o nei pazienti con grave insufficienza epatica, senza alcun riferimento alle donne”.
Perché le donne rispondono alle cure in modo diverso dagli uomini? 
“Per i farmaci il problema è principalmente connesso a differenze fisiologiche, anatomiche e ormonali, che determinano una considerevole diversità nella farmacocinetica, ossia nel diverso modo in cui il farmaco viene assorbito, distribuito, metabolizzato ed eliminato, e nella farmacodinamica, cioè nella risposta del corpo ad una data concentrazione di farmaco nel sangue o nel tessuto. Invece si continua ad avere disponibili sul mercato farmaci con dosaggi standard, uguali per tutti, sia per un uomo di 100 chili ed un metro a novanta di altezza che per una donna alta un metro e mezzo con un peso di 50 chili”.
Le donne usano anche molti integratori e prodotti cosmetici che gli uomini non usano. Questo può interferire?
“Eccome. Pensiamo a tanti prodotti erboristici, agli integratori alimentari, alle creme per il corpo, a tutto quel complesso insieme di prodotti ‘naturali’ che possono interferire chimicamente con gli alimenti ed i farmaci. E questo va sempre considerato”.
Fra le varie differenze di genere in medicina ce n’è una importate che riguarda i trapianti. Sembra una metafora generale: perché le donne sono più donatrici e i maschi più riceventi?
Fra le varie differenze di genere in medicina ce n’è una importate che riguarda i trapianti. Sembra una metafora generale: perché le donne sono più donatrici e i maschi più riceventi
Fra le varie differenze di genere in medicina ce n’è una importate che riguarda i trapianti. Sembra una metafora generale: perché le donne sono più donatrici e i maschi più riceventi

“E’ vero, le donne sono più spesso donatrici che riceventi, mentre i riceventi sono soprattutto maschi. Le donne hanno più spirito di sacrificio e senso di responsabilità rispetto agli uomini e, di conseguenza, sono più predisposte a donare i propri organi? Può essere. Interessanti a questo proposito i dati del ministero della salute che ci dicono che nella donazione da vivente, volontaria e gratuita, i due terzi di tutti gli organi sono donati da donne”.

Al contrario, le donne sono meno disposte ad accettare un trapianto? 
“Non si può rispondere in modo assoluto sì o no, data la complessità dei fattori in gioco: si deve considerare il fatto che gli uomini presentano una maggiore incidenza di quelle malattie per cui si rende necessario un trapianto e hanno una maggiore prevalenza di ipertensione o cardiopatia ischemica, che non li rende adatti a essere donatori. Certo, se nei trapianti di cuore le donne sono il 45% dei soggetti donatori ma solo il 31% dei soggetti riceventi, sarebbero necessari studi molto rigorosi per capire se il fatto che i riceventi sono maggiormente maschi riflette la maggiore prevalenza di uomini nelle malattie che necessitano di trapianto, o ci sono altre ragioni. Vedi la situazione negli Stati Uniti, dove non solo le donne, ma anche le minoranze etniche e le persone con basso livello socioeconomico hanno meno probabilità di accedere ad un trapianto”.
E cosa cambia se il medico è donna?
“E’ un altro dato su cui indagare. Una ricerca nella Svizzera italiana, per esempio, ha dimostrato che la probabilità per una donna di essere sottoposta ad asportazione dell’utero, se il suo ginecologo è maschio, risultava quasi doppia rispetto alle pazienti che si rivolgono alle ginecologhe (a parità, ovviamente, di tutte le altre condizioni)”.

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
La medicina non è femmina. Lo dicono i dati e gli studi clinici che il mondo medico sta finalmente diffondendo in giro per il mondo. Cosa significa? Cominciamo da un dato: fino a oggi i farmaci sono sempre stati testati sui maschi. Solo molto recentemente hanno cominciato a arruolare le donne nelle sperimentazioni. Come se non ci fossero differenze vistose fra il corpo femminile e quello maschile, a partire dal peso e dal metabolismo epatico che rende diverso l’assorbimento delle medicine. Non a caso 8 farmaci su 10 ritirati per tossicità (dice uno studio canadese) provocavano effetti proprio sulle donne. Ed è solo il primo esempio del clamoroso gender gap in medicina. Ha ammesso recentemente il dottor Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche: “Nonostante i grandi progressi e il miglioramento delle terapie, la medicina è ancora sostanzialmente impostata su modelli maschilisti”.
Chi si è sempre battuto per una medicina che tenesse conto delle differenze è il dottor Alfredo Zuppiroli, cardiologo con una lunga carriera nella sanità pubblica, autore del libro Le trame della cura e già presidente della Commissione di bioetica della Toscana.
Alfredo Zuppiroli presidente regionale commissione Bioetica della Toscana
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Dottore, si può dire che la medicina sia maschilista?
"Certo. Diciamo androcentrica. E’ dagli anni ’90 del secolo scorso che si sta cercando di spostare l’interesse per la salute delle donne dai soli aspetti correlati alla riproduzione (ciclo, menopausa, gravidanze) al ruolo che le variabili biologiche (legate al sesso) e quelle psicologiche, ambientali, culturali e socioeconomiche (legate al genere) hanno su tutte le malattie, ma ancora molta strada resta da fare".
Si riferisce alla ricerca?
"Sì, le donne continuano ad essere sottorappresentate rispetto agli uomini. Nei grandi studi internazionali arrivano spesso a costituire non più del 25% dei soggetti arruolati nella sperimentazione".
Perché un gender gap così vistoso e dannoso per le donne? 
"Una spiegazione può stare nel fatto che i protocolli di ricerca tendono ad eliminare la variabilità, semplificando le caratteristiche della popolazione oggetto di studio. L’organismo femminile è infatti molto più complesso e le sue risposte sono più difficilmente incasellabili: basti pensare ai cambiamenti nelle varie fasce d’età, alle cicliche variazioni ormonali, oltre al fatto che il corpo delle donne non è soltanto (mediamente) più piccolo, anche nei suoi organi, rispetto a quello maschile, ma presenta una diversa distribuzione della massa grassa e magra, un diverso contenuto di liquidi".
Ma allora le differenze riguardano anche altre categorie come i bambini o gli anziani?
"Ma certo: anche la popolazione pediatrica e quella anziana sono molto poco rappresentate nella ricerca scientifica. Il bambino è tutt’altro che un adulto piccolo, e l’organismo della persona anziana ha delle sue significative specificità. Per non parlare di gruppi etnici che raramente si vedono inclusi nelle grandi sperimentazioni internazionali di farmaci o dispositivi medici, che purtroppo sono ancora prevalentemente centrate sui maschi adulti di pelle bianca e di peso vicino ai 70 chili".
Quindi in medicina sarebbe sbagliato parlare di uguaglianza?
Ancora oggi un nutrito numero di nazioni ha leggi che prevedono procedure discriminatorie nelle modalità di richiesta del divorzio o nell’affidamento dei figli e nella divisione dei beni
Otto farmaci su dieci ritirati per tossicità, secondo uno studio canadese, provocavano effetti collaterali sulle donne
"La neutralità rispetto al sesso ed al genere, quando sono precisi fattori di differenze nell’incidenza e nell’esito di molte patologie, si risolve in un potente fattore di disparità ed iniquità. Ricordiamoci le parole di Don Milani – anche se indirizzate al mondo della scuola, hanno un valore universale: 'Non c’è nulla di più iniquo del fare parti uguali tra disuguali'. Riconoscere le differenze è un preciso dovere etico e civile, oltre che professionale; la medicina e la sanità pubblica non possono non tenerne conto nell’ambito delle politiche di prevenzione, di diagnosi e di cura".
Come si realizza il concetto di pari opportunità nel campo della salute?
"Si deve estendere anche alla opportunità di avere un trattamento adeguato in caso di malattia, nello spirito con cui Amartya Sen intende il concetto di equità della salute: 'Non già cure uguali per tutti, né cure estese ugualmente a tutti, ma cure tali per cui tutti possano avere uguali probabilità di godere di buona salute'”.
Qualche esempio di farmaco o di terapia che dovrebbero essere differenziati? Abbiamo visto che sull’aspirina, per esempio, ci sono molti dubbi sull’efficacia nelle donne.
genere
L'attenzione alla differenza di sesso/genere non è presente nella scheda tecnica dell’EMA (l’agenzia europea per i medicinali)
"Sull’aspirina si sta ancora indagando. Il caso dello Zolpidem, invece, è più chiaro ed emblematico: solo dopo molti anni dalla immissione in commercio di questo farmaco contro l’insonnia, la FDA americana ha approvato una dose distinta per genere. C’erano stati  numerosi episodi di ridotta capacità nella guida da parte delle donne il mattino dopo l’assunzione del farmaco, e uno studio farmacocinetico ad hoc evidenziò in effetti una ridotta eliminazione del farmaco nel sesso femminile".
E ora è scritto nella scheda tecnica del farmaco?
"Purtroppo questa attenzione alla differenza di sesso/genere non è presente nella scheda tecnica dell’EMA (l’agenzia europea per i medicinali) e dunque in Italia il farmaco è venduto con la sola raccomandazione di usare dosi minori negli anziani o nei pazienti con grave insufficienza epatica, senza alcun riferimento alle donne".
Perché le donne rispondono alle cure in modo diverso dagli uomini? 
"Per i farmaci il problema è principalmente connesso a differenze fisiologiche, anatomiche e ormonali, che determinano una considerevole diversità nella farmacocinetica, ossia nel diverso modo in cui il farmaco viene assorbito, distribuito, metabolizzato ed eliminato, e nella farmacodinamica, cioè nella risposta del corpo ad una data concentrazione di farmaco nel sangue o nel tessuto. Invece si continua ad avere disponibili sul mercato farmaci con dosaggi standard, uguali per tutti, sia per un uomo di 100 chili ed un metro a novanta di altezza che per una donna alta un metro e mezzo con un peso di 50 chili".
Le donne usano anche molti integratori e prodotti cosmetici che gli uomini non usano. Questo può interferire?
"Eccome. Pensiamo a tanti prodotti erboristici, agli integratori alimentari, alle creme per il corpo, a tutto quel complesso insieme di prodotti 'naturali' che possono interferire chimicamente con gli alimenti ed i farmaci. E questo va sempre considerato".
Fra le varie differenze di genere in medicina ce n’è una importate che riguarda i trapianti. Sembra una metafora generale: perché le donne sono più donatrici e i maschi più riceventi?
Fra le varie differenze di genere in medicina ce n’è una importate che riguarda i trapianti. Sembra una metafora generale: perché le donne sono più donatrici e i maschi più riceventi
Fra le varie differenze di genere in medicina ce n’è una importate che riguarda i trapianti. Sembra una metafora generale: perché le donne sono più donatrici e i maschi più riceventi
"E’ vero, le donne sono più spesso donatrici che riceventi, mentre i riceventi sono soprattutto maschi. Le donne hanno più spirito di sacrificio e senso di responsabilità rispetto agli uomini e, di conseguenza, sono più predisposte a donare i propri organi? Può essere. Interessanti a questo proposito i dati del ministero della salute che ci dicono che nella donazione da vivente, volontaria e gratuita, i due terzi di tutti gli organi sono donati da donne".
Al contrario, le donne sono meno disposte ad accettare un trapianto? 
"Non si può rispondere in modo assoluto sì o no, data la complessità dei fattori in gioco: si deve considerare il fatto che gli uomini presentano una maggiore incidenza di quelle malattie per cui si rende necessario un trapianto e hanno una maggiore prevalenza di ipertensione o cardiopatia ischemica, che non li rende adatti a essere donatori. Certo, se nei trapianti di cuore le donne sono il 45% dei soggetti donatori ma solo il 31% dei soggetti riceventi, sarebbero necessari studi molto rigorosi per capire se il fatto che i riceventi sono maggiormente maschi riflette la maggiore prevalenza di uomini nelle malattie che necessitano di trapianto, o ci sono altre ragioni. Vedi la situazione negli Stati Uniti, dove non solo le donne, ma anche le minoranze etniche e le persone con basso livello socioeconomico hanno meno probabilità di accedere ad un trapianto".
E cosa cambia se il medico è donna?
"E’ un altro dato su cui indagare. Una ricerca nella Svizzera italiana, per esempio, ha dimostrato che la probabilità per una donna di essere sottoposta ad asportazione dell’utero, se il suo ginecologo è maschio, risultava quasi doppia rispetto alle pazienti che si rivolgono alle ginecologhe (a parità, ovviamente, di tutte le altre condizioni)".
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