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Il neuroscienziato Cerasa: "Navigatori e rubriche online? Così non addestriamo più i nostri cervelli"

Il ricercatore dell’Irib Cnr: "Se non ci alleniamo a trovare soluzioni ma deleghiamo a un apparecchio è ovvio che queste abilità verranno meno. Stiamo andando verso una nuova evoluzione"

di ELSA TOPPI -
3 gennaio 2023
Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Irib-Cnr, divulgatore e autore

Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Irib-Cnr, divulgatore e autore

  Il neurologo Wilder Penfield sosteneva che il cervello è l’organo del destino e che proprio lì sono custoditi i segreti che determineranno il futuro del genere umano. Dunque, è alle neuroscienze che bisogna guardare per capire come si sta evolvendo la nostra specie. Così abbiamo chiesto ad Antonio Cerasa, neuroscienziato dell’Irib-Cnr, divulgatore e autore di interessanti studi, quali siano le ultime scoperte in merito. Dottor Cerasa lei ha scritto un saggio, dal titolo "Expert Brain", su come la scelta del lavoro modelli il nostro cervello. Cosa ha scoperto? “Nel libro raccolgo una serie di studi che, io e altri colleghi in giro per il mondo, abbiamo fatto su queste particolari categorie lavorative che esprimono nient’altro che delle abilità. Tra quelle più famose come quelle dei matematici o dei musicisti che sono quelle più studiate abbiamo poi altre categorie che sono quelle sulle quali ci sono tanti pregiudizi come gli chef, i sommelier o addirittura i giocatori di basket per passare a quelli più conosciuti come gli scacchisti. Tutte abilità che però nascondono una conoscenza che pochi conoscono. Di base i neuroscienziati studiano il cervello che non funziona mentre in realtà studiare il cervello di chi diventa bravissimo a fare una determinata cosa ci può svelare altri segreti che non conosciamo”.
Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Irib-Cnr, divulgatore e autore

Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Irib-Cnr, divulgatore e autore

E' vero che il lavoro che scegliamo modifica il nostro cervello?  “Non è tanto il lavoro che noi scegliamo quanto l’abilità nel fare determinati compiti e farlo in una maniera precisa. Perché quello che crea una modifica nel cervello è esercitare queste abilità ogni giorno migliorandole sempre di più. Questo è il segreto”. Quali sono i lavori speciali che sono finiti sotto la sua lente? “Il cervello dei sommelier che abbina le sensazioni alle parole. Le parti del cervello più sviluppate o più allenate nel sommelier riguardano l’abbinamento multisensoriale che un semplice vino produce su tutti i sensi. Da quello i sommelier partono per la conoscenza olistica del vino perché hanno allenato il cervello a quel tipo di compito. Poi ho studiato il cervello degli chef. Anche in questo caso si immagina un lavoro poco professionalizzante rispetto a quelli più canonici come il medico o l’ingegnere. In realtà ho scoperto che il cervello degli Headchef che guidano la cucina è un cervello più grande rispetto agli altri. Ma questa diversità non risiede nel lavoro ma nel fatto di dirigere una grande brigata. Se cucino solo io o guido una persona il mio cervello sarà uguale a quello degli altri. Essere abituato a guidare una brigata numerosa comporta il fatto di essere allenato a coordinare se stesso, gli altri e il tutto deve essere fatto in pochissimo tempo. Qui risiede la loro abilità ed è qui che si manifesta un cambiamento nella struttura del cervello. Decisi di studiare gli chef quando li vidi lavorare dal vivo: non era umano coordinare tutte quelle persone a quelle velocità. Sono come direttori d’orchestra”. Dove ci porteranno le nostre abilità? “Ci porteranno ad avere una nuova evoluzione del nostro cervello che è uno dei più importati traguardi che dobbiamo avere a livello educativo, formativo e scolastico. Dobbiamo educare i nostri cervelli a diventare superiori, che vuol dire essere più veloci a fare più cose contemporaneamente. Questa deve essere la nostra priorità. Invece siamo in balia delle nostre emozioni. Un cervello più intelligente è un cervello capace di controllare e gestire le emozioni”.
Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Irib-Cnr, divulgatore e autore

Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Irib-Cnr, divulgatore e autore

E’ vero che questa abitudine di utilizzare i navigatori per trovare le strade ci sta penalizzando? “Una ricerca sui tassisti londinesi ha scoperto che loro allenandosi ogni giorno a imparare nuove mappe spaziali avevano scoperto che avevano l’area del cervello deputata a memorizzare le cartine, l’ippocampo, più sviluppata rispetto agli altri. Questo perché si allenano ogni volta a trovare nuove strategie di percorso. Se invece noi non ci alleniamo a trovare soluzioni ma deleghiamo a un apparecchio è ovvio che questa abilità verrà meno. Il cervello funziona per plasticità. Più lo alleno e più cresce”. In un suo saggio lei ha parlato del dolore come meccanismo ancestrale di nuova produzione di neuroni del cervello… “Si, una delle grandi scoperte che hanno portato le neuroscienze è che il dolore è una incredibile forma di neurogenesi ma per una finalità particolare, che riguarda la sopravvivenza della nostra specie, e che è quella della memoria. Ovvero quando io provo dolore quell’informazione deve essere immagazzinata per la mia sopravvivenza. Il dolore produce nuova memoria quindi nuova produzione di neuroni e questo in qualsiasi età. È un meccanismo fondamentale che nella nostra cultura viene vista in maniera negativa ma è una grande forma di automiglioramento e di plasticità cerebrale. Io devo imparare dal dolore per trovare strategie più efficaci che mi permettano di adattarmi meglio all’ambiente esterno”. Qual è il ruolo del neuroscienziato oggi? “Il ruolo del neuroscienziato attualmente è informare le persone delle scoperte fatte fin qui per trovare nuove forme di salute mentale. Non è tanto il lavoro sulla patologia ma la prevenzione della patologia soprattutto quella psichiatrica. Il neuroscienziato può dare nuovi strumenti a tutte le figure sociali e educative che si occupano della salute mentale a cominciare dalle scuole. Per esempio, io faccio divulgazione nelle scuole e ancora oggi i professori pensano che la punizione sia un metodo educativo. Questa è pura blasfemia scientifica, la punizione viene percepita dal nostro cervello (soprattutto quello degli adolescenti) come umiliazione e questo alla lunga produce persone peggiori. Se vogliamo produrre un nuovo comportamento adattivo di un ragazzo che non si comporta bene in classe occorre il dialogo. Capire il perché si è manifestata quella condotta, discuterne con lo studente e fornirgli nuove strategie di adattamento che riguardano anche l’insegnate stesso. La punizione produce danni alla psiche che ci porteremo dietro per sempre”.
Il neuroscienziato Antonio Cerasa

Il neuroscienziato Antonio Cerasa

Un danno psicologico si può riabilitare? “Certamente. Abbiamo tutte le risorse per poterlo fare ma servono strumenti adatti che la medicina corrente ha dimostrato essere efficaci (come la psicoterapia). Ma anche non medici (come l’attività fisica, la spiritualità, lo yoga) possono essere considerati metodi alternativi per riabilitare una psicopatologia”. Come influisce la tecnologia nella nostra vita? “Se ne siamo schiavi influisce in maniera negativa. Se la utilizziamo in maniera attiva allora diventeranno un grandissimo strumento di aiuto per la salute mentale”. Il suo ultimo saggio dal titolo "Neuroscienze Traslazionali" ha parlato del Metaverso come possibile aiuto terapeutico per malattie e disturbi neurologici e psicologici ce lo spiega? “Le tecnologie che vengono utilizzate nel Metaverso possono essere utili oggi per aiutare terapisti, neuroscienziati, psichiatri e neurologi nel trovare nuovi scenari di riabilitazione. Lo scopo del Metaverso è metterci in comunicazione all’interno di un ambiente virtuale e questo che può sembrare un pericolo in realtà in ambito neuroriabilitativo è una grandissima risorsa. Oggi il paziente che ha un danno organico del cervello viene curato in maniera singola all’interno di palestre se invece lo stesso riuscisse a fare gli stessi esercizi con altri pazienti in un ambiente virtuale potremmo controllarlo meglio, adattare l’ambiente virtuale ai suoi deficit e permettergli una migliore forma di riabilitazione tagliata su misura”. Quale sarà il nostro destino come specie umana? “Come dicevo, se continuiamo a utilizzare gli strumenti tecnologici in maniera passiva allora saremmo sempre più allo sbando nella capacità di prendere decisioni. Invece, se invece capiremo come utilizzare le tecnologie per aiutarci a essere sempre più efficaci nel nostro adattamento all’ambiente allora faremo un nuovo salto evolutivo”.