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Home » Scienze e culture » Paterlini: “Il Pride non inciderà sul ddl Zan. Ma è un’occasione per ribadire che le famiglie arcobaleno hanno i diritti di ogni altra”

Paterlini: “Il Pride non inciderà sul ddl Zan. Ma è un’occasione per ribadire che le famiglie arcobaleno hanno i diritti di ogni altra”

Lo scrittore e saggista, autore nel 1991 di "Ragazzi che amano ragazzi", ritiene che l'appovazione del decreto sia urgente, ma si giochi "a livelli molto più alti". "Chi difende la famiglia tradizionale dimentica che è esistita in Italia dal dopoguerra al '70 quando entrò in vigore il divorzio. Chi ritiene indispensabili madre e padre obblighi i vedovi a risposarsi"

Sofia Francioni
26 Giugno 2021
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L’orgoglio Lgbtqia+  esplode nel giorno del Pride: la manifestazione arcobaleno che vede le minoranze rivendicare gli stessi diritti della maggioranza. In mezzo secolo di storia, del primo Pride a Stonewall Inn (New York), sono tante le conquiste ottenute da parte delle persone gay, trans, lesbiche, bisessuali e +: dalle unioni civili alla conquista dei matrimoni egualitari in alcuni paesi.  Ma in un’Europa scossa dalla nuova legge con cui l’Ungheria vieta di mostrare ai minorenni in contesti pubblici, come scuole o tv, “contenuti che promuovano l’omosessualità o il cambio di sesso” e in un’Italia in cui una legge contro l’omotransfobia spacca il Parlamento, sembra che la strada dei diritti, del Pride, sia ancora lunga. 

Abbiamo intervistato il saggista, scrittore e giornalista Piergiorgio Paterlini, che il 1 agosto 2016 fu il primo in Italia a sposarsi con il suo compagno Marco, grazie alla legge Cirinnà, che ha aperto alle unioni civili. Autore del libro “Ragazzi che amano ragazzi”, letto da un milione e mezzo di persone, Paterlini ha dedicato all’omosessualità e alle famiglie arcobaleno altre due opere: “Matrimoni” (2004) poi “Matrimoni gay” (2005) e “Il mio amore non può farti male. Vita (e morte) di Harvey Milk” (2018). 

Piergiorgio Paterlini

Il Pride di quest’anno potrà incidere sull’approvazione del Ddl Zan? 

“Francamente penso di no: è una partita che si gioca a livelli molto più alti. Anche se serve sempre far sentire la propria voce”. 

Quali effetti avrà la presa di posizione del Vaticano in merito al testo? 

“È una domanda da ‘palla di vetro’” – ride. “Comunque la sua ingerenza, inconcepibile e inaccettabile, di danni ne ha già fatti molti e continuerà a farne: uno fra tutti, aver dato forza alla destra. Comunque, come sempre capita in casi estremi, anche questa volta la mossa del Vaticano ha scatenato un sussulto di coscienze in persone che non si sarebbero altrimenti spese”. 

Ad esempio? 

“Ho visto cattolici, che non avrebbero detto una mezza parola sul ddl Zan né a favore né contro, che adesso invece hanno preso le distanze da una Chiesa e un Vaticano in cui loro non si riconoscono”. 

Lei è a favore del ddl Zan? 

“Bisogna approvarlo subito”.  

La sua è stata la prima unione civile in Italia, resa possibile dalla legge Cirinnà del 2016. Che cosa ha rappresentato questa data? 

“Io e il mio sposo, che non chiamo volutamente né marito né compagno, Marco, ci siamo sposati il primo agosto del 2016. Non ci interessava essere i primi, ma volevamo dire con chiarezza che, come tante altre famiglie, aspettavamo questa legge da troppo tempo. La legge Cirinnà da un lato è stata un miracolo: abbiamo ottenuto una serie di diritti che non pensavamo di riuscire a vedere nel corso della nostra vita, ma le unioni civili rimangono un paradosso. Da una parte, infatti, la legge ha rappresentato una svolta, un grande passo avanti anche per la società italiana, così arretrata. Dall’altra parte, però, ha sancito per la prima volta che le unioni civili non sono il matrimonio egualitario e che quindi un orientamento sessuale diverso da quello della maggioranza legittima uno stato laico a discriminare per legge. Pensiamo solo al fatto che le unioni civili non vanno a costituire una “famiglia”, ma delle “formazioni sociali”. 

Bisogna quindi continuare a pretendere il matrimonio egualitario? 

“Assolutamente sì. Io non mi considero una ‘formazione sociale’, la mia è una famiglia come tutte le altre”. 

Quindi le famiglie arcobaleno, in quanto famiglie, dovrebbero avere la possibilità di adottare? 

“Intanto partiamo dal fatto che tante statistiche, tanti studi, tanti dati ci dicono che i figli delle famiglie arcobaleno crescono comunque equilibrati. In più, personalmente penso che la cosiddetta ‘famiglia tradizionale’, composta da padre, madre e figli, in Italia non ci sia mai stata o, per abbondare, sia esistita solo per 20 anni nel secolo scorso. Nel 900, infatti, ci sono state due guerre mondiali, durante le quali gli uomini sono stati al fronte, con la conseguenza che i figli venivano tirati su da madri, nonne, zie… Ci sono stati inoltre due o tre fenomeni migratori pazzeschi per quasi tutto il 900: verso l’America, l’Argentina e il Nord Italia ed Europa. E, anche in questo caso, non sempre si spostava l’intero nucleo familiare, ma andava prima il padre, portandosi poi dietro la famiglia, con la conseguenza che, per anni, i bambini crescevano con figure familiari che assomigliano moltissimo alle famiglie allargate di oggi”. 

I componenti una “famiglia arcolaleno” al Lgbt+ Pride a Milano, sabato 27 giugno 2020

E oggi? 

“Vado molto in giro per le scuole, incontro centinaia di bambini e ragazzi e non ce n’è uno che non abbia genitori separati e che quindi cresca in contesti familiari composti da due uomini e una donna, un uomo single, una donna single, due donne e un uomo… Oggi, di nuovo, la famiglia considerata ‘eterna, normale, maggioritaria’ io non la vedo intorno a me, non la vedo ormai da trent’anni. Se torniamo di nuovo sul Novecento, ci accorgiamo che milioni di bambini sono vissuti in famiglie che erano composte da nuclei che tutto erano meno che un papà e una mamma e non credo che il Novecento abbia creato una fiumana di squilibrati o infelici. Voglio dire di più: coloro che sostengono che ai bambini per crescere ‘bene’ servano una mamma e un papà, dico che se ci credessero davvero dovrebbero obbligare i vedovi a risposarsi”. 

Il suo libro “Ragazzi che amano ragazzi” del 1991 è stato letto da un milione e mezzo di persone. Come si spiega questo successo? 

“Ho ricevuto in 30 anni dall’uscita del libro 15mila lettere: ho risposto a tutti. Le ho ricevute dal primo giorno in cui è uscito, era una lettera scritta a penna, fino ad arrivare ai messaggi social o alle e-mail. Ricevo tuttora una o due lettere alla settimana: da parte di ragazzi, ragazze, ventenni, quattordicenni, sedicenni, quarantenni, uomini, donne, famiglie, insegnanti, preti. E, sostanzialmente tutti – dice non nascondendo il pudore – mi hanno detto che Ragazzi che amano ragazzi ha cambiato le loro vite o addirittura che le ha salvate. Questo libro ha una vita, editoriale politica e umana, assolutamente inimmaginabile per chi non l’ha vissuta”.

 

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L’adolescente originaria della regione dell’Arkhangelsk (che si trova a nord-ovest della Russia) da alcuni mesi si trova agli arresti domiciliari, nell’appartamento della madre a Severodvinsk. Un dispositivo di localizzazione, che le hanno applicato alla caviglia, ne traccia ogni spostamento: non è autorizzata ad accedere a Internet né a comunicare con l’esterno.

La ragazza è stata definita terrorista ed estremista e messa sullo stesso piano di talebani e appartenenti a Isis e al Qaeda. La sua colpa? Aver condiviso su Instagram una storia sull’esplosione del ponte di Crimea in ottobre scorso, criticando la Russia per aver invaso l’Ucraina. La studentessa Krivtsova, secondo quanto riporta la Cnn, “sta anche affrontando accuse penali per aver screditato l’esercito russo in un presunto repost critico della guerra in una chat studentesca sul social network russo Vk”. 

Le posizioni dell’allieva della scuola di scienze sociali dell’Università federale dell’Artico (Narfu) in merito all’invasione della Russia in Ucraina sono ben chiare, tanto che la giovane si è tatuata sulla caviglia la faccia del presidente russo Vladimir Putin su un corpo di un ragno. Accanto, la parole “il Grande Fratello ti sta guardando”.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #russia
L’orgoglio Lgbtqia+  esplode nel giorno del Pride: la manifestazione arcobaleno che vede le minoranze rivendicare gli stessi diritti della maggioranza. In mezzo secolo di storia, del primo Pride a Stonewall Inn (New York), sono tante le conquiste ottenute da parte delle persone gay, trans, lesbiche, bisessuali e +: dalle unioni civili alla conquista dei matrimoni egualitari in alcuni paesi.  Ma in un’Europa scossa dalla nuova legge con cui l’Ungheria vieta di mostrare ai minorenni in contesti pubblici, come scuole o tv, “contenuti che promuovano l’omosessualità o il cambio di sesso” e in un’Italia in cui una legge contro l’omotransfobia spacca il Parlamento, sembra che la strada dei diritti, del Pride, sia ancora lunga.  Abbiamo intervistato il saggista, scrittore e giornalista Piergiorgio Paterlini, che il 1 agosto 2016 fu il primo in Italia a sposarsi con il suo compagno Marco, grazie alla legge Cirinnà, che ha aperto alle unioni civili. Autore del libro “Ragazzi che amano ragazzi”, letto da un milione e mezzo di persone, Paterlini ha dedicato all’omosessualità e alle famiglie arcobaleno altre due opere: “Matrimoni” (2004) poi “Matrimoni gay” (2005) e “Il mio amore non può farti male. Vita (e morte) di Harvey Milk” (2018). 
Piergiorgio Paterlini
Il Pride di quest’anno potrà incidere sull’approvazione del Ddl Zan?  “Francamente penso di no: è una partita che si gioca a livelli molto più alti. Anche se serve sempre far sentire la propria voce”.  Quali effetti avrà la presa di posizione del Vaticano in merito al testo?  “È una domanda da ‘palla di vetro’” – ride. “Comunque la sua ingerenza, inconcepibile e inaccettabile, di danni ne ha già fatti molti e continuerà a farne: uno fra tutti, aver dato forza alla destra. Comunque, come sempre capita in casi estremi, anche questa volta la mossa del Vaticano ha scatenato un sussulto di coscienze in persone che non si sarebbero altrimenti spese”.  Ad esempio?  “Ho visto cattolici, che non avrebbero detto una mezza parola sul ddl Zan né a favore né contro, che adesso invece hanno preso le distanze da una Chiesa e un Vaticano in cui loro non si riconoscono”.  Lei è a favore del ddl Zan?  “Bisogna approvarlo subito”.   La sua è stata la prima unione civile in Italia, resa possibile dalla legge Cirinnà del 2016. Che cosa ha rappresentato questa data?  “Io e il mio sposo, che non chiamo volutamente né marito né compagno, Marco, ci siamo sposati il primo agosto del 2016. Non ci interessava essere i primi, ma volevamo dire con chiarezza che, come tante altre famiglie, aspettavamo questa legge da troppo tempo. La legge Cirinnà da un lato è stata un miracolo: abbiamo ottenuto una serie di diritti che non pensavamo di riuscire a vedere nel corso della nostra vita, ma le unioni civili rimangono un paradosso. Da una parte, infatti, la legge ha rappresentato una svolta, un grande passo avanti anche per la società italiana, così arretrata. Dall’altra parte, però, ha sancito per la prima volta che le unioni civili non sono il matrimonio egualitario e che quindi un orientamento sessuale diverso da quello della maggioranza legittima uno stato laico a discriminare per legge. Pensiamo solo al fatto che le unioni civili non vanno a costituire una “famiglia”, ma delle “formazioni sociali”.  Bisogna quindi continuare a pretendere il matrimonio egualitario?  “Assolutamente sì. Io non mi considero una ‘formazione sociale’, la mia è una famiglia come tutte le altre”.  Quindi le famiglie arcobaleno, in quanto famiglie, dovrebbero avere la possibilità di adottare?  “Intanto partiamo dal fatto che tante statistiche, tanti studi, tanti dati ci dicono che i figli delle famiglie arcobaleno crescono comunque equilibrati. In più, personalmente penso che la cosiddetta ‘famiglia tradizionale’, composta da padre, madre e figli, in Italia non ci sia mai stata o, per abbondare, sia esistita solo per 20 anni nel secolo scorso. Nel 900, infatti, ci sono state due guerre mondiali, durante le quali gli uomini sono stati al fronte, con la conseguenza che i figli venivano tirati su da madri, nonne, zie... Ci sono stati inoltre due o tre fenomeni migratori pazzeschi per quasi tutto il 900: verso l’America, l’Argentina e il Nord Italia ed Europa. E, anche in questo caso, non sempre si spostava l’intero nucleo familiare, ma andava prima il padre, portandosi poi dietro la famiglia, con la conseguenza che, per anni, i bambini crescevano con figure familiari che assomigliano moltissimo alle famiglie allargate di oggi”. 
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E oggi?  “Vado molto in giro per le scuole, incontro centinaia di bambini e ragazzi e non ce n’è uno che non abbia genitori separati e che quindi cresca in contesti familiari composti da due uomini e una donna, un uomo single, una donna single, due donne e un uomo… Oggi, di nuovo, la famiglia considerata ‘eterna, normale, maggioritaria’ io non la vedo intorno a me, non la vedo ormai da trent’anni. Se torniamo di nuovo sul Novecento, ci accorgiamo che milioni di bambini sono vissuti in famiglie che erano composte da nuclei che tutto erano meno che un papà e una mamma e non credo che il Novecento abbia creato una fiumana di squilibrati o infelici. Voglio dire di più: coloro che sostengono che ai bambini per crescere ‘bene’ servano una mamma e un papà, dico che se ci credessero davvero dovrebbero obbligare i vedovi a risposarsi”.  Il suo libro “Ragazzi che amano ragazzi” del 1991 è stato letto da un milione e mezzo di persone. Come si spiega questo successo?  “Ho ricevuto in 30 anni dall’uscita del libro 15mila lettere: ho risposto a tutti. Le ho ricevute dal primo giorno in cui è uscito, era una lettera scritta a penna, fino ad arrivare ai messaggi social o alle e-mail. Ricevo tuttora una o due lettere alla settimana: da parte di ragazzi, ragazze, ventenni, quattordicenni, sedicenni, quarantenni, uomini, donne, famiglie, insegnanti, preti. E, sostanzialmente tutti – dice non nascondendo il pudore – mi hanno detto che Ragazzi che amano ragazzi ha cambiato le loro vite o addirittura che le ha salvate. Questo libro ha una vita, editoriale politica e umana, assolutamente inimmaginabile per chi non l’ha vissuta”.  
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