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Perdite di petrolio in Thailandia e Perù: si temono disastri ambientali e la causa è sempre l'uomo

di CAMILLA PRATO -
30 gennaio 2022
Clean up operation after oil spill reaches a beach in Rayong, Thailand

Clean up operation after oil spill reaches a beach in Rayong, Thailand

L'ennesimo disastro ambientale causato dal petrolio. O meglio, dalla mano dell'uomo. Questa volta è accaduto in Thailandia orientale, dove il liquido fuoriuscito da un oleodotto sottomarino nel Golfo del Paese continua a riversarsi a terra e ad annerire la sabbia. Le autorità stanno intraprendendo un'operazione di pulizia per bonificare l'area, per scongiurare ulteriori danni vista la preoccupazione suscitata per l'impatto ambientale sulle barriere coralline e sulle spiagge turistiche nella provincia di Rayon. La perdita, precisa il Guardian, è avvenuta da un oleodotto di proprietà della Star Petroleum Refining ed è iniziata martedì in tarda serata. Il giorno successivo, dopo la fuoriuscita di circa 50mila litri di petrolio nell'oceano a circa 12 miglia (20 km) dalla costa orientale industrializzata del paese, l'area è stata transennata. Parte del greggio ha raggiunto il litorale della spiaggia di Mae Ramphueng, nella provincia di Rayong, nella tarda serata di venerdì 28 gennaio, dopo essersi diffuso su circa 47 km quadrati di mare. La marina thailandese sta ancora lavorando con la compagnia per contenere la perdita. Dalla nota diffusa le autorità sostengono che la massa principale del petrolio fuoriuscito era ancora al largo, con solo una piccola quantità che si è sparsa in almeno due punti lungo sette miglia di spiaggia. Circa 150 lavoratori della Star Petroleum Refining e 200 membri della marina sono stati dispiegati per pulire il litorale, e sono state installate barriere di sbarramento per il petrolio. Dodici navi militari e tre civili, intanto, insieme a un certo numero di aerei, stanno lavorando per aiutare a contenere la fuoriuscita in mare con tubi per l'aspirazione e spray disperdente. "Noi e la compagnia stiamo ancora lavorando in mare per ridurre la quantità di petrolio mettendo limitando l'area di dispersione del liquido, aspirandolo e spruzzando il materiale per la dispersione", ha detto l'ammiraglio Artorn Charapinyo, il vice comandante del primo distretto navale.

Il caso del Perù

In Perù si fanno i conti con il "peggior disastro ecologico degli ultimi tempi" (EPA)

Quello thailandese non è l'unico caso di sversamento in mare e sui litorali di petrolio che avviene questa settimana. Una grossa perdita di petrolio si è verificata nei giorni scorsi dalla raffineria più grande del Perù, vicino alla capitale Lima. La società spagnola Repsol, che controlla l'oleodotto, e ora,  secondo i media peruviani, rischia anche una multa di 138 milioni di dollari, aveva inizialmente attribuito la fuoriuscita del greggio alle onde anomale provocate dall’eruzione del vulcano sottomarino a Tonga. Una versione smentita dal ministro dell’Ambiente peruviano Rubén Ramírez (sarebbe stata “Una scusa”), secondo cui il 15 gennaio non si era verificata alcuna anomalia in mare. Venerdì scorso lo stesso ministro ha annunciato che il disastro ambientale provocato nel Paese è molto più grave di quanto si fosse ipotizzato in precedenza. Il carburante fuoriuscito dai tubi in mare si è infatti riversato su un’ampia area costiera nel centro del Perù, depositandosi su varie spiagge. Una settimana fa Ramirez aveva detto che la quantità di petrolio sversata in acqua era pari a 6mila barili, ma secondo  le stime più aggiornate, che lui stesso ha diffuso, la perdita sarebbe almeno raddoppiata, cioè intorno ai 12mila barili. La causa dell'aumento della perdita sarebbe un secondo sversamento dalla raffineria di La Pampilla avvenuto martedì 25 gennaio. Intanto nel paese andino si cercano responsabili, puntando il dito soprattutto contro la compagnia petrolifera spagnola, ritenuta non solo responsabile dell’incidente ma anche negligente, per aver colpevolmente tardato nel dare l’allarme. Rapsol sostiene invece di aver disposto tempestivamente tutte le misure necessarie per contenere il danno ambientale, che ha coinvolto 50 chilometri di costa, 21 spiagge tra Callao e Lima e due aree naturali protette. Di chi sia la colpa non spetta certo all'opinione pubblica stabilirlo, ma intanto il danno è stato fatto e ora gli sforzi devono essere incentrati sul contenimento e la bonifica, per far sì che la flora e la fauna marine e costiere non risentano ulteriormente dei disastri provocati dall'uomo.