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Home » Scienze e culture » Perdite di petrolio in Thailandia e Perù: si temono disastri ambientali e la causa è sempre l’uomo

Perdite di petrolio in Thailandia e Perù: si temono disastri ambientali e la causa è sempre l’uomo

In Thailandia riversati in mare 50mila litri di greggio, mentre la marina e i lavoratori della compagnia cercano di contenere i danni provocati probabilmente dalla scarsa manutenzione. In Perù intanto si fanno i conti con il "peggior disastro ecologico degli ultimi tempi"

Camilla Prato
30 Gennaio 2022
epa09715752 A handout photo made available by the Royal Thai Navy shows a crude oil spill leaked from an underwater pipeline, reaching ashore at Mae Ram Phueng beach in Rayong province, Thailand, 29 January 2022. Thai authorities are undertaking a cleaning operation to clear up crude oil washed ashore from a leaking undersea pipeline, amid concern over the environmental impact on coral reefs and causing extensive damage to tourist beaches in Rayong province.  EPA/ROYAL THAI NAVY / HANDOUT  HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

epa09715752 A handout photo made available by the Royal Thai Navy shows a crude oil spill leaked from an underwater pipeline, reaching ashore at Mae Ram Phueng beach in Rayong province, Thailand, 29 January 2022. Thai authorities are undertaking a cleaning operation to clear up crude oil washed ashore from a leaking undersea pipeline, amid concern over the environmental impact on coral reefs and causing extensive damage to tourist beaches in Rayong province. EPA/ROYAL THAI NAVY / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

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L’ennesimo disastro ambientale causato dal petrolio. O meglio, dalla mano dell’uomo. Questa volta è accaduto in Thailandia orientale, dove il liquido fuoriuscito da un oleodotto sottomarino nel Golfo del Paese continua a riversarsi a terra e ad annerire la sabbia. Le autorità stanno intraprendendo un’operazione di pulizia per bonificare l’area, per scongiurare ulteriori danni vista la preoccupazione suscitata per l’impatto ambientale sulle barriere coralline e sulle spiagge turistiche nella provincia di Rayon.

La perdita, precisa il Guardian, è avvenuta da un oleodotto di proprietà della Star Petroleum Refining ed è iniziata martedì in tarda serata. Il giorno successivo, dopo la fuoriuscita di circa 50mila litri di petrolio nell’oceano a circa 12 miglia (20 km) dalla costa orientale industrializzata del paese, l’area è stata transennata. Parte del greggio ha raggiunto il litorale della spiaggia di Mae Ramphueng, nella provincia di Rayong, nella tarda serata di venerdì 28 gennaio, dopo essersi diffuso su circa 47 km quadrati di mare.

La marina thailandese sta ancora lavorando con la compagnia per contenere la perdita. Dalla nota diffusa le autorità sostengono che la massa principale del petrolio fuoriuscito era ancora al largo, con solo una piccola quantità che si è sparsa in almeno due punti lungo sette miglia di spiaggia. Circa 150 lavoratori della Star Petroleum Refining e 200 membri della marina sono stati dispiegati per pulire il litorale, e sono state installate barriere di sbarramento per il petrolio. Dodici navi militari e tre civili, intanto, insieme a un certo numero di aerei, stanno lavorando per aiutare a contenere la fuoriuscita in mare con tubi per l’aspirazione e spray disperdente. “Noi e la compagnia stiamo ancora lavorando in mare per ridurre la quantità di petrolio mettendo limitando l’area di dispersione del liquido, aspirandolo e spruzzando il materiale per la dispersione”, ha detto l’ammiraglio Artorn Charapinyo, il vice comandante del primo distretto navale.

Il caso del Perù

In Perù si fanno i conti con il “peggior disastro ecologico degli ultimi tempi” (EPA)

Quello thailandese non è l’unico caso di sversamento in mare e sui litorali di petrolio che avviene questa settimana. Una grossa perdita di petrolio si è verificata nei giorni scorsi dalla raffineria più grande del Perù, vicino alla capitale Lima. La società spagnola Repsol, che controlla l’oleodotto, e ora,  secondo i media peruviani, rischia anche una multa di 138 milioni di dollari, aveva inizialmente attribuito la fuoriuscita del greggio alle onde anomale provocate dall’eruzione del vulcano sottomarino a Tonga. Una versione smentita dal ministro dell’Ambiente peruviano Rubén Ramírez (sarebbe stata “Una scusa”), secondo cui il 15 gennaio non si era verificata alcuna anomalia in mare. Venerdì scorso lo stesso ministro ha annunciato che il disastro ambientale provocato nel Paese è molto più grave di quanto si fosse ipotizzato in precedenza. Il carburante fuoriuscito dai tubi in mare si è infatti riversato su un’ampia area costiera nel centro del Perù, depositandosi su varie spiagge. Una settimana fa Ramirez aveva detto che la quantità di petrolio sversata in acqua era pari a 6mila barili, ma secondo  le stime più aggiornate, che lui stesso ha diffuso, la perdita sarebbe almeno raddoppiata, cioè intorno ai 12mila barili.

La causa dell’aumento della perdita sarebbe un secondo sversamento dalla raffineria di La Pampilla avvenuto martedì 25 gennaio. Intanto nel paese andino si cercano responsabili, puntando il dito soprattutto contro la compagnia petrolifera spagnola, ritenuta non solo responsabile dell’incidente ma anche negligente, per aver colpevolmente tardato nel dare l’allarme. Rapsol sostiene invece di aver disposto tempestivamente tutte le misure necessarie per contenere il danno ambientale, che ha coinvolto 50 chilometri di costa, 21 spiagge tra Callao e Lima e due aree naturali protette. Di chi sia la colpa non spetta certo all’opinione pubblica stabilirlo, ma intanto il danno è stato fatto e ora gli sforzi devono essere incentrati sul contenimento e la bonifica, per far sì che la flora e la fauna marine e costiere non risentano ulteriormente dei disastri provocati dall’uomo.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

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  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

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  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

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L'ennesimo disastro ambientale causato dal petrolio. O meglio, dalla mano dell'uomo. Questa volta è accaduto in Thailandia orientale, dove il liquido fuoriuscito da un oleodotto sottomarino nel Golfo del Paese continua a riversarsi a terra e ad annerire la sabbia. Le autorità stanno intraprendendo un'operazione di pulizia per bonificare l'area, per scongiurare ulteriori danni vista la preoccupazione suscitata per l'impatto ambientale sulle barriere coralline e sulle spiagge turistiche nella provincia di Rayon. La perdita, precisa il Guardian, è avvenuta da un oleodotto di proprietà della Star Petroleum Refining ed è iniziata martedì in tarda serata. Il giorno successivo, dopo la fuoriuscita di circa 50mila litri di petrolio nell'oceano a circa 12 miglia (20 km) dalla costa orientale industrializzata del paese, l'area è stata transennata. Parte del greggio ha raggiunto il litorale della spiaggia di Mae Ramphueng, nella provincia di Rayong, nella tarda serata di venerdì 28 gennaio, dopo essersi diffuso su circa 47 km quadrati di mare. La marina thailandese sta ancora lavorando con la compagnia per contenere la perdita. Dalla nota diffusa le autorità sostengono che la massa principale del petrolio fuoriuscito era ancora al largo, con solo una piccola quantità che si è sparsa in almeno due punti lungo sette miglia di spiaggia. Circa 150 lavoratori della Star Petroleum Refining e 200 membri della marina sono stati dispiegati per pulire il litorale, e sono state installate barriere di sbarramento per il petrolio. Dodici navi militari e tre civili, intanto, insieme a un certo numero di aerei, stanno lavorando per aiutare a contenere la fuoriuscita in mare con tubi per l'aspirazione e spray disperdente. "Noi e la compagnia stiamo ancora lavorando in mare per ridurre la quantità di petrolio mettendo limitando l'area di dispersione del liquido, aspirandolo e spruzzando il materiale per la dispersione", ha detto l'ammiraglio Artorn Charapinyo, il vice comandante del primo distretto navale.

Il caso del Perù

In Perù si fanno i conti con il "peggior disastro ecologico degli ultimi tempi" (EPA)
Quello thailandese non è l'unico caso di sversamento in mare e sui litorali di petrolio che avviene questa settimana. Una grossa perdita di petrolio si è verificata nei giorni scorsi dalla raffineria più grande del Perù, vicino alla capitale Lima. La società spagnola Repsol, che controlla l'oleodotto, e ora,  secondo i media peruviani, rischia anche una multa di 138 milioni di dollari, aveva inizialmente attribuito la fuoriuscita del greggio alle onde anomale provocate dall’eruzione del vulcano sottomarino a Tonga. Una versione smentita dal ministro dell’Ambiente peruviano Rubén Ramírez (sarebbe stata “Una scusa”), secondo cui il 15 gennaio non si era verificata alcuna anomalia in mare. Venerdì scorso lo stesso ministro ha annunciato che il disastro ambientale provocato nel Paese è molto più grave di quanto si fosse ipotizzato in precedenza. Il carburante fuoriuscito dai tubi in mare si è infatti riversato su un’ampia area costiera nel centro del Perù, depositandosi su varie spiagge. Una settimana fa Ramirez aveva detto che la quantità di petrolio sversata in acqua era pari a 6mila barili, ma secondo  le stime più aggiornate, che lui stesso ha diffuso, la perdita sarebbe almeno raddoppiata, cioè intorno ai 12mila barili. La causa dell'aumento della perdita sarebbe un secondo sversamento dalla raffineria di La Pampilla avvenuto martedì 25 gennaio. Intanto nel paese andino si cercano responsabili, puntando il dito soprattutto contro la compagnia petrolifera spagnola, ritenuta non solo responsabile dell’incidente ma anche negligente, per aver colpevolmente tardato nel dare l’allarme. Rapsol sostiene invece di aver disposto tempestivamente tutte le misure necessarie per contenere il danno ambientale, che ha coinvolto 50 chilometri di costa, 21 spiagge tra Callao e Lima e due aree naturali protette. Di chi sia la colpa non spetta certo all'opinione pubblica stabilirlo, ma intanto il danno è stato fatto e ora gli sforzi devono essere incentrati sul contenimento e la bonifica, per far sì che la flora e la fauna marine e costiere non risentano ulteriormente dei disastri provocati dall'uomo.
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