Il futuro può venire dal passato. Perché guardare indietro, alcune volte, ci rende più chiaro l’orizzonte e ci svela soluzioni inedite. Soprattutto quando il presente sembra senza vie d’uscita. È quello che sta accadendo a
Giussago (Cascina Darsena), in provincia di Pavia, ma a soli 18 chilometri in linea d’aria da Piazza Duomo a Milano. Qui è stato ricreato uno
spazio agricolo di 500 ettari che richiama la
Pianura Padana di mille anni fa – compresi sentieri, piccole paludi, ed animali allo stato brado – facendo rifiorire la
biodiversità, oggi sacrificata ai metodi dell’
agricoltura intensiva. Il risultato è un contrasto quantomai stridente con il territorio circostante, soprattutto in
un’estate siccitosa come quella che stiamo ancora affrontando, che ha messo a dura prova colture e raccolti, rendendo brullo il paesaggio.
La "smart land" della Pianura Padana
Stiamo parlando del progetto di
Simbiosi, che in trent’anni ha investito decine di milioni di euro per riportare quest'area, di proprietà della famiglia dell'ex Premio Nobel per la chimica Giulio Natta, alla condizione in cui si trovava nel
Medioevo, quando la Padania era per lo più una
foresta estesa migliaia di chilometri. L’obiettivo è quello di creare una “
smart land” che indichi come le grandi città potrebbero risolvere le problematiche legate all'approvvigionamento energetico, allo smaltimento della CO2 e ai rifiuti. Il progetto è stato realizzato senza utilizzare alcun prodotto chimico, soltanto attraverso tecniche legate all'agricoltura tradizionale, osservando e studiando l'efficienza degli
ecosistemi naturali, e facendo così nascere una serie di soluzioni che, replicando quanto fa la natura nell'
ottimizzazione dell'uso delle risorse, sviluppano i concetti della
blue economy e dell'economia circolare.
Smart Land model in Pianura Padana (Simbiosi)
Un processo lungo che ha richiesto passione ed applicazione costante. Tutte le
piante sono state
ripiantumate e poi lasciate
allo stato brado, secondo quelle che erano le caratteristiche originarie di questa zona, per ricreare l’ecosistema che c’era una volta. Il resto lo ha fatto una gestione oculata delle
risorse idriche, realizzata anche attraverso il recupero dell'uso delle chiuse leonardesche, per canalizzare l’acqua nei vari contesti e distribuirla per usi agricoli e civili. Una volta cominciato il processo di recupero e ripristino la
biodiversità si è ripresa il proprio spazio. Non solo le piante e gli alberi, ma anche la
fauna. A parte i cavalli e gli uri che sono stati importati dalla Camargue, infatti, altri animali come la martora, l’airone o il capriolo sono arrivati da soli.
Obiettivo: recupero del ciclo naturale dell’alimentazione
"Il progetto è nato nel 1995 per pura passione: volevamo ricreare le condizioni ancestrali di questa terra. Già al tempo, passando per Malpensa e andando a Milano, si vedeva
un biliardo piano, senza alberi, senza vita, senza nulla. E allora ci siamo detti: cavolo, questo non può essere il mondo di domani" racconta l'ad di Simbiosi Piero Manzoni ricordando come è nato il progetto. L'obiettivo era quello di ripensare l'idea di
sviluppo sostenibile di una qualsiasi
città esistente. "Nei grandi agglomerati urbani
vivrà l’80% della
popolazione mondiale: oggi stiamo al 54% e 250 anni fa eravamo al 10%. Immaginiamoci come possano vivere 7 miliardi di persone su appena il 3,5% della superficie terraquea, che è la porzione di terra occupato dalle città" dice Manzoni. "Il futuro è dunque il recupero del ciclo naturale dell’alimentazione, dove non c’è
rifiuto. Senza contare che, se tutti coltivassimo secondo metodi rigenerativi, metà degli obiettivi della
Cop26 sarebbero raggiunti e non dovremmo fare null’altro: ci basterebbe coltivare come la natura insegna".
Il supporto delle università
Simbiosi non è solo un esperimento rigenerativo, ma anche
un'area agricola produttiva che va oltre i 500 ettari descritti e si estende per circa 1.700 ettari. Dove, ad esempio, le produzioni cerealicole non hanno bisogno di pesticidi e fertilizzanti. La
produzione di cibo coinvolge il
90% del campo coltivato mentre il
10% di questo viene dedicato a tutto quello che è il carattere
agroambientale, ovvero lasciando alla natura il compito di sviluppare autonomamente soluzioni per proteggere i ampi da attacchi di pesticidi esterni o insetti. "Per realizzare questa trasformazione - aggiunge l'ad - abbiamo coinvolto con
tre università: la Statale di
Milano, l'Università di
Pavia e quella di Wageningen. Le università italiane hanno ricostruito come erano le condizioni originarie della Pianura Padana, perché non era una domanda a cui potevamo rispondere senza esperti e ricerche. Quella di
Wageningen, che è la migliore dal punto di vista agrario, ci ha aiutato a riportare su carta e in pianificazione le condizioni storiche per programmare la rigenerazione del territorio”. Alla fine, sarà pure il Medioevo, ma sembra tanto tanto più moderno della modernità che abbiamo creato.