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Home » Scienze e culture » Sos Pianeta: il peso dei prodotti e manufatti umani supera quello della natura

Sos Pianeta: il peso dei prodotti e manufatti umani supera quello della natura

In 50 anni il numero di persone sulla Terra è raddoppiato, arrivando agli 8 miliardi. Le popolazioni animali sono invece crollate in media del 69%

Domenico Guarino
15 Novembre 2022
popolazione umana

La popolazione umana tocca quota 8 miliardi

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Nel 2020 la massa di tutti i manufatti artificiali realizzati dall’uomo ha superato la massa di tutti gli organismi viventi, dalle sequoie ai miliardi di microbi che vivono in ogni manciata di terreno, superando oltre mille miliardi di tonnellate. E come se non bastasse la nostra attuale impronta ecologica supera di ben il 75% la capacità della Terra di generare risorse e assorbire i nostri scarti: questo significa che viviamo come se avessimo a disposizione quasi 2 Pianeti. I dati sono stati diffusi dal Living Planet Report del Wwf.

rifiuti-plastica-usa
Rifiuti di plastica. I prodotti e le infrastrutture umane pesano più della biomassa naturlae

La terra annaspa dunque. Gea, letteralmente, non ce la fa più a sorreggere il peso degli oggetti che continuiamo a produrre e a consumare. Del resto, la crescita della popolazione umana appare inarrestabile. Con tutto quello che comporta. Perché l’uomo è anche l’insieme delle merci e delle infrastrutture che ne accompagnano la vita dalla nascita. Basti pensare che nel 1970 la Terra era abitata da 4 miliardi di persone, e che nel giro di soli 50 anni, mezzo secolo, la popolazione umana globale è raddoppiata e sta per toccare gli 8 miliardi. In mezzo secolo, come mostra l’ultimo Living Planet Report, l’abbondanza delle popolazioni selvatiche di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) è invece crollata in media del 69%. Peso dell’uomo sempre più insostenibile dunque, e codice rosso per la natura sul nostro Pianeta, al punto che circa 1 milione di specie è a rischio estinzione e i tassi di scomparsa sono tra le 100 e le 1.000 volte più rapidi di quelli naturali.

Tucano Toco, Santa Cruz, Bolivia. (© Greg Armfield)

Al primo posto fra le cause della crisi della natura ci sono, denuncia il Wwf, ” la distruzione, frammentazione e degradazione degli habitat, in primis per aumentare gli spazi destinati all’agricoltura (spesso a scapito di ecosistemi ricchi e fondamentali come le foreste tropicali)”. In particolare “la filiera mondiale di cibo, dal campo alla tavola, è responsabile dell’80% della deforestazione globale, oltre che del 70% del consumo di acqua dolce e 29% di emissioni climalteranti”. Al secondo posto troviamo “il sovra sfruttamento delle specie animali e vegetali, nelle sue diverse forme: da quello insostenibile degli stock ittici, con modalità e quantità che non danno modo alle popolazioni marine di rigenerarsi, al bracconaggio e ai traffici illegali di specie protette”. Segue “l’inquinamento nelle sue varie forme: dai pesticidi, che stanno contribuendo al collasso di molte popolazioni di insetti impollinatori e di innumerevoli invertebrati acquatici, alla marea di plastica dispersa in natura che entro pochi decenni supererà in quantità i pesci presenti nei nostri mari, all’accumulo di fertilizzanti a base di azoto e fosforo le cui quantità hanno di gran lunga superato i limiti planetari che ne consentono l’equilibrio all’interno dei grandi cicli biogeochimici”. Infine il cambiamento climatico provocato dall’uomo, che è insieme causa ed effetto della perdita di biodiversità, in quanto, denuncia l’associazione ambientalista, “altera con una rapidità senza precedenti le temperature medie globali, e con esse la distribuzione delle piogge nello spazio e nel tempo, con un aumento inquietante nel numero di eventi meteorologici estremi (dalle inondazioni alle ondate di calore)”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Nel 2020 la massa di tutti i manufatti artificiali realizzati dall’uomo ha superato la massa di tutti gli organismi viventi, dalle sequoie ai miliardi di microbi che vivono in ogni manciata di terreno, superando oltre mille miliardi di tonnellate. E come se non bastasse la nostra attuale impronta ecologica supera di ben il 75% la capacità della Terra di generare risorse e assorbire i nostri scarti: questo significa che viviamo come se avessimo a disposizione quasi 2 Pianeti. I dati sono stati diffusi dal Living Planet Report del Wwf.
rifiuti-plastica-usa
Rifiuti di plastica. I prodotti e le infrastrutture umane pesano più della biomassa naturlae
La terra annaspa dunque. Gea, letteralmente, non ce la fa più a sorreggere il peso degli oggetti che continuiamo a produrre e a consumare. Del resto, la crescita della popolazione umana appare inarrestabile. Con tutto quello che comporta. Perché l’uomo è anche l’insieme delle merci e delle infrastrutture che ne accompagnano la vita dalla nascita. Basti pensare che nel 1970 la Terra era abitata da 4 miliardi di persone, e che nel giro di soli 50 anni, mezzo secolo, la popolazione umana globale è raddoppiata e sta per toccare gli 8 miliardi. In mezzo secolo, come mostra l’ultimo Living Planet Report, l’abbondanza delle popolazioni selvatiche di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) è invece crollata in media del 69%. Peso dell’uomo sempre più insostenibile dunque, e codice rosso per la natura sul nostro Pianeta, al punto che circa 1 milione di specie è a rischio estinzione e i tassi di scomparsa sono tra le 100 e le 1.000 volte più rapidi di quelli naturali.
Tucano Toco, Santa Cruz, Bolivia. (© Greg Armfield)
Al primo posto fra le cause della crisi della natura ci sono, denuncia il Wwf, " la distruzione, frammentazione e degradazione degli habitat, in primis per aumentare gli spazi destinati all’agricoltura (spesso a scapito di ecosistemi ricchi e fondamentali come le foreste tropicali)". In particolare "la filiera mondiale di cibo, dal campo alla tavola, è responsabile dell’80% della deforestazione globale, oltre che del 70% del consumo di acqua dolce e 29% di emissioni climalteranti". Al secondo posto troviamo "il sovra sfruttamento delle specie animali e vegetali, nelle sue diverse forme: da quello insostenibile degli stock ittici, con modalità e quantità che non danno modo alle popolazioni marine di rigenerarsi, al bracconaggio e ai traffici illegali di specie protette”. Segue “l'inquinamento nelle sue varie forme: dai pesticidi, che stanno contribuendo al collasso di molte popolazioni di insetti impollinatori e di innumerevoli invertebrati acquatici, alla marea di plastica dispersa in natura che entro pochi decenni supererà in quantità i pesci presenti nei nostri mari, all’accumulo di fertilizzanti a base di azoto e fosforo le cui quantità hanno di gran lunga superato i limiti planetari che ne consentono l’equilibrio all’interno dei grandi cicli biogeochimici”. Infine il cambiamento climatico provocato dall’uomo, che è insieme causa ed effetto della perdita di biodiversità, in quanto, denuncia l’associazione ambientalista, "altera con una rapidità senza precedenti le temperature medie globali, e con esse la distribuzione delle piogge nello spazio e nel tempo, con un aumento inquietante nel numero di eventi meteorologici estremi (dalle inondazioni alle ondate di calore)”.
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