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Home » Scienze e culture » Allarme greenwashing: ecco di cosa si tratta. “Mancano informazione e controllo”

Allarme greenwashing: ecco di cosa si tratta. “Mancano informazione e controllo”

L'esperta Ispra di certificazione ambientale Ecolabel UE spiega il fenomeno della pubblicità ingannevole in materia di sostenibilità in azienda

Elsa Toppi
31 Gennaio 2023
Cos'è il greenwashing

Cos'è il greenwashing

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Si scrive greenwashing, si legge pubblicità ingannevole. Molti sono i marchi balzati agli onori della cronaca per questa pratica. Ma cosa è il greenwashing? In soldoni si concretizza nel momento in cui un brand millanta comportamenti o politiche ambientali che non vengono comprovati nella realtà. Il percorso delle aziende verso la sostenibilità è un elemento sempre più sentito, che diventa inevitabilmente un elemento appetibile agli occhi dei consumatori. Ma come si fa a capire se ci troviamo davanti ad un caso di greenwashing? Noi di Luce! abbiamo chiesto a Roberta Alani, esperta Ispra di certificazione ambientale Ecolabel UE.

Roberta Alani

Dottoressa Alani ci può fare degli esempi di greenwashing?
“Un caso eclatante fu quello della Coca Cola, che le bottiglie di plastica e i tappi fossero progettati per essere riciclabili al 100%. Ecco quello è vero greenwashing perché qualsiasi produzione ha un impatto sull’ambiente. Quindi dichiarò il falso. È stata denunciata, perché la Coca Cola è il principale produttore di rifiuti plastici del mondo, generandone 2,9 milioni di tonnellate all’anno. Usa inoltre circa 200.000 bottiglie di plastica al minuto, pari a un quinto della produzione mondiale di bottiglie di polietilene tereftalato (PET). Questa produzione di plastica si basa anche sui combustibili fossili, con conseguenze significative anche sulle emissioni di CO2. Un altro caso eclatante fu scoperto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed è legato all’Eni che uscì con un biodiesel che vantava prestazioni ambientali impossibili (diesel bio, green e rinnovabile, abbattimento le emissioni di CO2 fino al 40%). All’Eni fu proibito di continuare a ricorrere a quei messaggi pubblicitari con una multa di 5 milioni di euro (ovvero il massimo). Insomma di esempi ce ne sono tanti”.

Chi danneggia?
“Danneggia in primis l’azienda, che perde visibilità e quote nel mercato, e poi naturalmente il consumatore”.

Cosa può essere di aiuto al consumatore?
“Purtroppo mancano la comunicazione e il controllo per evitare che ci si ritrovi a fare delle scelte sbagliate. Sarebbe importante fare campagne d’informazione rivolte ai consumatori (pubblicità progresso). Unico consiglio che mi sento di dare è controllare sempre se un prodotto ecologico ha una certificazione, in particolare il marchio Ecolabel UE”.

Come deve essere questa certificazione e come funziona?
“Esistono 3 tipologie di etichette ecologiche normate dalla norma ISO 14020, il sistema internazionale che divide le etichette di tipo I, rilasciate da un ente indipendente terzo, volontarie e basate su un sistema multicriteria che considera l’intero ciclo di vita del prodotto. La tipologia I marchio Ecolabel UE risponde agli obiettivi dell’Agenda 2030, obiettivo 12: ‘consumo e produzione responsabile‘. L’impegno del produttore è quello di realizzare prodotti e servizi ecologici in base a standard internazionali riconosciuti. La secondo tipologia di etichetta (ISO 14021) è l’autodichiarazione, ma non controllato e verificato da nessuno (esempio i loghi ‘Riciclabile’, ‘Compostabile’). Noi dell’Ispra siamo un ente pubblico che si occupa dell’analisi della documentazione per rilasciare il marchio. I criteri Ecolabel sono molto stringenti. Devo dire che tante aziende investono nel green negli ultimi anni. E in questo contesto, grazie al fatto che noi dell’Ispra abbiamo un compito istituzionale, ovvero quello legato allo sviluppo dei criteri Ecolabel per prodotti finanziari a livello europeo, seguiamo questo argomento anche a livello di Green Financial. La finanza, infatti, deve intervenire per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas serra. La lotta al greenwashing si ottiene attraverso degli standard. Ecco perché nel 2024 tutte le banche e tutte le società che sono quotate in borsa devono rispondere alla Tassonomia UE e altre nomative (Sustainable Finance Disclosure Regulation) e dimostrare che le attività in cui loro investono sono attività sostenibili. È una rivoluzione molto grande”.

L’impegno di Ispra contro il greenwashing

In questa rivoluzione cosa mette in campo l’Ispra?
“L’Ispra metterà a disposizione i dati e le informazioni ambientali pubbliche che vengono richiesti per la conformità di questi criteri della tassonomia UE. I criteri fanno riferimento agli standard che sono imposti dalle direttive o regolamenti a livello europeo. Criteri qualitativi e quantitativi che vengono rinnovati ogni 3 anni per verificare se c’è stato questo shift a livello climatico. Per questo è stata istituita la task force Ispra per la finanza sostenibile”.

Qual è il settore più impattante?
“Per esempio il tessile e l’alta moda hanno un impatto ambientale devastante sull’ambiente. A livello UE, è il quarto impatto più elevato sull’ambiente e sui cambiamenti climatici, dopo il cibo, l’alloggio e la mobilità. È uscita la Strategia dell’UE per i tessili sostenibili e circolari sul settore tessile che lo obbliga a sistemi di gestione ambientale e devono raggiungere standard elevati. Le aziende tessili quotate in borsa dovranno, in base ai criteri della Tassonomia, ottenere delle certificazioni ecologiche e ambientali di qualità riconosciute perché altrimenti non sono in linea e quotate in borsa, le banche non rilasceranno loro finanziamenti e le banche stesse non riceveranno i soldi dalla banca europea”.

Il prodotto ecologico viaggia su un doppio binario però: quello del produttore ma anche quello di chi consuma…
“Certo. Non solo il produttore ma anche il consumatore che sceglie un prodotto ecologico deve saperlo usare e riciclare in modo corretto”.

È un fenomeno che riguarda solo l’Italia o anche altri Paesi?
“Riguarda tutti i Paesi. Per esempio 10 anni fa abbiamo ricevuto una mail da un consumatore che aveva trovato una candeggina con marchio CE simile all’Ecolabel a non identico che in verità era made in china (CE= cina export). I cinesi avevano camuffato il logo e contraffatto”.
Insomma la rivoluzione green di aziende e consumatori è appena iniziata.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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Roberta Alani
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