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Andrea e il medico che gli salvò la vita: "Lo operammo stando in ginocchio"

Il 24 enne, figlio di Testimoni di Geova, all'epoca aveva un anno, e venne sottoposto a un intervento a cuore aperto all'ospedale di San Donato Milanese. Il cardiochirurgo Frigiola: "Riuscimmo a farlo senza l'uso del sangue"

di MAURIZIO COSTANZO -
19 settembre 2022
Storia di Andrea e del medico che gli salvò la vita in ginocchio: 24 anni fa il bimbo operato a cuore aperto senza l'uso del sangue

Storia di Andrea e del medico che gli salvò la vita in ginocchio: 24 anni fa il bimbo operato a cuore aperto senza l'uso del sangue

È un miracolo laico quello compiuto dalla scienza medica esattamente 24 anni fa. Era infatti il 19 settembre del 1998 quando, per la prima volta in Italia, venne operato, e salvato, un bambino di un anno, figlio di Testimoni di Geova, senza fare ricorso a trasfusioni di sangue. Quel giorno i dottori si trovarono a un bivio: salvare la vita al piccolo contravvenendo ai dettami della religione dei suoi genitori, o rispettare le loro volontà al costo di mettere in serio pericolo la vita del piccolo che doveva affrontare un intervento non da poco, ma a cuore aperto?

 La questione religiosa

La soluzione trovata dall'equipe di cardiochirurgia pediatrica diretta dal dottor Alessandro Frigiola dell'ospedale di San Donato Milanese, fu straordinaria: riuscire a operarlo senza ricorrere a trasfusioni. Ma come riuscirce a portare a termine quell'operazione unica nel suo genere? I medici hanno pensato allora, al posto degli emoderivati, di utilizzare liquidi senza plasma. Una geniale intuizione per ovviare al problema e permettere di restituire al piccolo il suo stesso sangue.
È stato così che ad  Andrea (nome di fantasia) è stata risolta una malformazione cardiaca che aveva dalla nascita. "In quegli anni- spiega il dottor Frigiola- eravamo il primo centro d'Italia per il trattamento delle cardiopatie e rappresentavamo un punto di riferimento per i Testimoni di Geova. Abbiamo avuto sempre particolare attenzione agli interventi su questi pazienti. Come medico, infatti, devo prendere in considerazione il paziente e cercare di salvargli la vita ma, allo stesso tempo, cerco di rispettare il regolamento e i comandamenti o la filosofia di una qualunque religione o dottrina. Personalmente ho sempre spinto per cercare di aiutare i Testimoni di Geova".
Il dottor Alessandro Frigiola, autore dell’intervento, all’epoca dell’operazione aveva 55 anni

Il dottor Alessandro Frigiola, autore dell’intervento, all’epoca dell’operazione aveva 55 anni, oggi ne ha 79

Rimane sotto i ferri per tre ore il piccolo Andrea, che oggi ha 25 anni ed è in piena salute. Il dottor Frigiola, direttore dell'Area Chirurgica Cuore-Bambino all'Irccs Policlinico San Donato di Milano, all'epoca aveva 55 anni, oggi ne ha 79. "Dovevamo capire come poter diluire il meno possibile il sistema, la cosiddetta 'circolazione extracorporea', indispensabile per fare l'intervento ai pazienti che devono essere operati a cuore aperto. Fino ad allora -  ricorda - onestamente non avevamo alternative se non quella di essere il più accurati possibile, tentando di ridurre al minimo la perdita di sangue dal cuore, che è il serbatoio del sangue".

L'idea di operare in ginocchio

"Al termine di una riunione con gli anestesisti e i tecnici della macchina cuore-polmoni- spiega il cardiochirurgo ricordando quei momenti- pensammo a come poter ridurre al massimo la lunghezza del circuito che deve essere riempito di acqua, non di sangue. Questo, però, fa sì che il sangue del bambino si diluisca e non funzioni più e, di conseguenza, si corre il rischio che fegato, reni e polmoni possano andare incontro a edema e non funzionino, rendendo pericolosissimo il post operatorio".
L'alternativa era accorciare i tubi, perché più corti erano, meno acqua serviva. Ma la macchina da tre quintali era appoggiata al pavimento mentre il tavolo operatorio era alto e i circuiti lunghi circa due metri. E così il dottore ha operato in ginocchio. "Siamo riusciti ad utilizzare un tavolo operatorio speciale - ricorda il dottore - che poteva essere abbassato di molto e che ci ha consentito di accorciare i tubi. Non solo. C'è venuta l'idea di mettere dei cuscini a terra ed operare in ginocchio. Così facendo eravamo più bassi e più vicini alla pompa e siamo riusciti a ridurre la quantità d'acqua necessaria a riempire il circuito". L'operazione va a buon fine. "Il bimbo ha sanguinato pochissimo. Anche se eravamo al limite dell'ematocrito, ovvero la concentrazione del sangue, il piccolo ce l'ha fatta e grazie a questo espediente abbiamo ottenuto un risultato fantastico". Per il post operazione è servito invece più tempo. "Per qualche giorno il bambino ha avuto l'ematocrito al limite- prosegue Frigiola- e gli scambi di ossigeno sono stati un po' più difficili. Siamo rimasti sempre al limite fino a quando, un po' alla volta, la milza ha prodotto i globuli rossi e il paziente ha recuperato. Era un po' più debole, ma alla fine, una volta superate le prime settimane, tutto è rientrato e si è risolto al meglio".
Andrea e il dottore non si sono più incontrati in questi anni, "ma mi hanno detto che il ragazzo sta bene", spiega Frigiola. La lezione di questo intervento? "Mai dire 'no' in partenza o dare subito una risposta negativa, perchè a volte situazioni che sembrano improponibili o irrisolvibili hanno invece una soluzione". Il cardiochirurgo ha dato una seconda vita ad Andrea come a tutti coloro che opera quotidianamente. Dal 1993 è anche presidente dell'Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo. "In questi 29 anni di attività dell'Associazione - sottolinea - abbiamo realizzato circa 450 missioni operatorie in 27 Paesi di tutto il mondo, operando più di 3.500 pazienti, oltre alla costruzione di ospedali e alla formazione di medici e operatori locali. Ho creato questa Associazione proprio per aiutare i bambini con cardiopatia congenita e per garantire cure mediche cardiochirurgiche di qualità ai piccoli malati di cuore, ovunque essi vivano".
Le difficoltà di trovare sangue sono tante soprattutto nei Paesi del Terzo mondo. "Se non ci fossero state strategie alternative alle emotrasfusioni, migliaia di bambini non avrebbero potuto essere operati e probabilmente sarebbero morti. Sicuramente lo stimolo a cercare soluzioni al di fuori della trasfusione è venuto proprio dal fatto di lavorare con i Testimoni di Geova". "I Testimoni di Geova - ha concluso il dottore - hanno avuto e hanno tuttora un ruolo nello stimolare la scienza e la ricerca a trovare tecniche alternative che riducano i rischi della trasfusione. Senza uno stimolo continuo in questo senso, probabilmente avremmo ridotto il progresso e saremmo ancora un po' indietro".

Ma perché i fedeli di questa religione negano le trasfusioni?

“La Bibbia comanda di non assumere sangue. Quindi non si deve accettare sangue intero o i suoi componenti principali in nessuna forma, che si tratti di cibo o di trasfusioni. È una questione di natura religiosa, non medica”, così categorica è la Congregazione dei testimoni di Geova sull’argomento. Per avvalorare questa tesi, vengono citati alcuni versetti dell’Antico e del Nuovo Testamento. “Geova, al quale dobbiamo la vita, decretò che non si doveva mangiare sangue – si legge nel sito dell’organizzazione religiosa – anziché decidere esclusivamente in base a preferenze personali o a valutazioni mediche, ogni cristiano dovrebbe considerare seriamente ciò che dice la Bibbia. È una questione fra lui e Geova”.

Quel "no" al sangue

La proibizione si spinge al punto di negare persino la possibilità che venga trasfuso il proprio sangue. “A volte – contempla la congregazione – i medici invitano il paziente a depositare il proprio sangue settimane prima dell’intervento, così che in caso di bisogno possa essergli trasfuso il suo sangue conservato. I testimoni di Geova, tuttavia, non donano sangue né depositano il proprio sangue perché venga loro trasfuso in un secondo tempo invece di ‘versarlo’. Questa pratica è in contrasto con la legge di Dio”. Per i fedeli a Geova, inoltre, esistono alternative al sangue. “Desideriamo ricevere le migliori cure mediche possibili per noi e per le nostre famiglie”, precisa l’organizzazione. “Le terapie senza sangue, che sono state sperimentate per venire incontro ai pazienti Testimoni, vengono ora usate a beneficio di tutti i pazienti”.
Oltre alla questione religiosa, che viene prima di ogni altro aspetto, per la congregazione esistono anche possibili rischi sanitari legati alle trasfusioni. “Oggi in molti Paesi chiunque può scegliere di evitare i rischi correlati con le trasfusioni di sangue, come malattie trasmesse per via ematica, reazioni del sistema immunitario e complicanze dovute all’errore umano”. Citando studi scientifici, infine, la Congregazione dei testimoni di Geova sottolinea: “I pazienti che non ricevono trasfusioni di sangue, bambini inclusi, di solito si riprendono al pari o anche meglio dei pazienti che hanno accettato emotrasfusioni. In ogni caso – non si può dimostrare che un paziente morirà perché rifiuta il sangue o che vivrà perché lo accetta”.