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Home » Scienze e culture » Nazioni Unite contro il controllo digitale: l’Unhcr chiede regole efficaci per tutelare la privacy

Nazioni Unite contro il controllo digitale: l’Unhcr chiede regole efficaci per tutelare la privacy

Dal rapporto dell'Alto commissariato per i diritti umani emerge in particolare sulla domanda: siamo noi a controllare la tecnologia o è lei a controllare noi?

Domenico Guarino
7 Ottobre 2022
L'Unhcr per una regolamentazione più incisiva del diritto alla privacy

L'Unhcr per una regolamentazione più incisiva del diritto alla privacy

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Quant’è bella la tecnologia! Ci fa vivere meglio, rende smart i nostri apparecchi domestici, ci accompagna nella giornata offrendoci soluzioni inedite a problemi, ci fa sentire animali sociali anche quando siamo soli. D’accordo, ma siamo davvero noi a controllarla o è lei che controlla noi e le nostre vite? Il dilemma non è nuovo, ma considerata la sempre maggiore pervasività e sofisticatezza degli apparecchi elettronici e telematici che utilizziamo costantemente, è diventato quanto mai vitale.

L’impegno dell’Unhcr per la tutela della privacy

Edward Snowden, informatico, attivista e segnalatore di illeciti americano recentemente naturalizzato russo

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (United Nations High Commissioner for Human Rights, UNHCHR) ha pubblicato recentemente il nuovo rapporto sulla privacy nell’era digitale, reso necessario da una sempre maggiore esigenza di protezione del diritto alla riservatezza degli individui, sottoposto a crescenti minacce da parte delle più moderne tecnologie digitali e sistemi di telecomunicazioni. Monitoraggio, profilazione, controllo e oppressione costituiscono ormai, anche per le autorità internazionali, una potenziale minaccia, tanto che si ritiene non più rimandabile una regolamentazione precisa e adeguata del diritto alla privacy, riconosciuto dall’articolo 12 della Dichiarazione universale dei Diritti umani e dall’articolo 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Oltre ad assicurare la protezione degli standard internazionali in materia di diritti umani.

La stessa Michelle Bachelet, Alta Commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha sottolineato come l’intelligenza artificiale possa essere considerata una forza positiva per poter superare alcune grandi sfide del presente, ma che al contempo può avere effetti negativi, soprattutto se viene utilizzata senza tener in considerazione l’influenza che questi hanno sui diritti umani delle persone. “Le tecnologie digitali portano enormi benefici alle società. Ma la sorveglianza pervasiva ha un costo elevato, minando i diritti e soffocando lo sviluppo di democrazie vivaci e pluralistiche“, afferma invece l’Alto Commissario ad interim per i diritti umani Nada Al-Nashif, sottolineando che serve un’azione rapida ed efficace per scongiurare tali rischi.

Il rapporto sulla privacy nell’era digitale

Nel rapporto vengono esaminate tre aree fondamentali, considerate a rischio. Innanzitutto l’abuso di software dannosi (i cosiddetti ‘spyware‘) in grado di insediarsi in dispositivi di vario genere al fine di carpire informazioni sugli utenti, all’insaputa di chi li sta utilizzando. Tali dispositivi, pur essendo stati creati per combattere terrorismo ed altre forme di criminalità, sono in realtà spesso adoperati per reprimere opinioni critiche o dissenzienti, soprattutto se provengono da personalità di rilievo nel campo mediatico, come ad esempio giornalisti, esponenti politici dell’opposizione e difensori dei diritti umani. L’esempio più eclatante di spyware trasformato in strumento malevolo di controllo ed oppressione è Pegasus, prodotto della nota società NSO Group. L’uso ostile di questo è stato oggetto di numerose indagini da parte di organizzazioni operanti per la difesa dei diritti umani; nel luglio 2021 Forbidden Stories, consorzio di giornalismo investigativo sostenuto da Amnesty international, ha pubblicato delle rivelazioni sull’uso del software denunciando come almeno 189 giornalisti, 85 difensori dei diritti umani ed oltre 600 politici e funzionari governativi sarebbero stati vittime dello spyware, oltre a professionisti quali giudici, avvocati, medici, leader sindacali ed accademici. Lo spyware Pegasus sarebbe inoltre stato utilizzato come merce di scambio diplomatico da parte di molti governi, che ne avrebbero successivamente fatto un uso improprio.

Il secondo elemento da tenere sotto osservazione è il ruolo della crittografia nella protezione dei diritti umani e l’impatto del monitoraggio digitale degli spazi pubblici, sia offline che online, che è necessaria per la salvaguardia dei propri diritti di espressione, opinione, libertà e sicurezza, soprattutto in ambienti in cui prevale la censura, o nei confronti di soggetti a rischio. Secondo il rapporto, il ruolo della crittografia deve quindi essere riconosciuto e tutelato dagli Stati e dagli organismi delle Nazioni Unite, i quali dovranno incoraggiare le imprese ad adoperarsi in tal senso, per garantire e proteggere la riservatezza delle comunicazioni e delle transizioni digitali.

L’ultimo punto chiave riportato dal rapporto dell’ONU è l’impatto del monitoraggio digitale degli spazi pubblici: il ricorso sempre più frequente alle nuove tecnologie permette un controllo continuo e costante di ciò che le persone dicono online, anche e soprattutto sui social media. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha espresso più volte le sue preoccupazioni in merito alla sorveglianza di massa, soprattutto per quanto concerne le intercettazioni delle comunicazioni.

A tal proposito, il rapporto intima agli Stati di limitare le misure di sorveglianza pubblica a quelle “strettamente necessarie e proporzionate”; gli Stati dovrebbero inoltre agire per attuare solidi controlli delle esportazioni delle tecnologie di sorveglianza che pongono gravi rischi per i diritti umani.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

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Quant’è bella la tecnologia! Ci fa vivere meglio, rende smart i nostri apparecchi domestici, ci accompagna nella giornata offrendoci soluzioni inedite a problemi, ci fa sentire animali sociali anche quando siamo soli. D’accordo, ma siamo davvero noi a controllarla o è lei che controlla noi e le nostre vite? Il dilemma non è nuovo, ma considerata la sempre maggiore pervasività e sofisticatezza degli apparecchi elettronici e telematici che utilizziamo costantemente, è diventato quanto mai vitale.

L'impegno dell'Unhcr per la tutela della privacy

Edward Snowden, informatico, attivista e segnalatore di illeciti americano recentemente naturalizzato russo
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (United Nations High Commissioner for Human Rights, UNHCHR) ha pubblicato recentemente il nuovo rapporto sulla privacy nell’era digitale, reso necessario da una sempre maggiore esigenza di protezione del diritto alla riservatezza degli individui, sottoposto a crescenti minacce da parte delle più moderne tecnologie digitali e sistemi di telecomunicazioni. Monitoraggio, profilazione, controllo e oppressione costituiscono ormai, anche per le autorità internazionali, una potenziale minaccia, tanto che si ritiene non più rimandabile una regolamentazione precisa e adeguata del diritto alla privacy, riconosciuto dall’articolo 12 della Dichiarazione universale dei Diritti umani e dall’articolo 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Oltre ad assicurare la protezione degli standard internazionali in materia di diritti umani. La stessa Michelle Bachelet, Alta Commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha sottolineato come l’intelligenza artificiale possa essere considerata una forza positiva per poter superare alcune grandi sfide del presente, ma che al contempo può avere effetti negativi, soprattutto se viene utilizzata senza tener in considerazione l’influenza che questi hanno sui diritti umani delle persone. "Le tecnologie digitali portano enormi benefici alle società. Ma la sorveglianza pervasiva ha un costo elevato, minando i diritti e soffocando lo sviluppo di democrazie vivaci e pluralistiche", afferma invece l’Alto Commissario ad interim per i diritti umani Nada Al-Nashif, sottolineando che serve un’azione rapida ed efficace per scongiurare tali rischi.

Il rapporto sulla privacy nell'era digitale

Nel rapporto vengono esaminate tre aree fondamentali, considerate a rischio. Innanzitutto l’abuso di software dannosi (i cosiddetti 'spyware') in grado di insediarsi in dispositivi di vario genere al fine di carpire informazioni sugli utenti, all’insaputa di chi li sta utilizzando. Tali dispositivi, pur essendo stati creati per combattere terrorismo ed altre forme di criminalità, sono in realtà spesso adoperati per reprimere opinioni critiche o dissenzienti, soprattutto se provengono da personalità di rilievo nel campo mediatico, come ad esempio giornalisti, esponenti politici dell’opposizione e difensori dei diritti umani. L’esempio più eclatante di spyware trasformato in strumento malevolo di controllo ed oppressione è Pegasus, prodotto della nota società NSO Group. L’uso ostile di questo è stato oggetto di numerose indagini da parte di organizzazioni operanti per la difesa dei diritti umani; nel luglio 2021 Forbidden Stories, consorzio di giornalismo investigativo sostenuto da Amnesty international, ha pubblicato delle rivelazioni sull’uso del software denunciando come almeno 189 giornalisti, 85 difensori dei diritti umani ed oltre 600 politici e funzionari governativi sarebbero stati vittime dello spyware, oltre a professionisti quali giudici, avvocati, medici, leader sindacali ed accademici. Lo spyware Pegasus sarebbe inoltre stato utilizzato come merce di scambio diplomatico da parte di molti governi, che ne avrebbero successivamente fatto un uso improprio. Il secondo elemento da tenere sotto osservazione è il ruolo della crittografia nella protezione dei diritti umani e l’impatto del monitoraggio digitale degli spazi pubblici, sia offline che online, che è necessaria per la salvaguardia dei propri diritti di espressione, opinione, libertà e sicurezza, soprattutto in ambienti in cui prevale la censura, o nei confronti di soggetti a rischio. Secondo il rapporto, il ruolo della crittografia deve quindi essere riconosciuto e tutelato dagli Stati e dagli organismi delle Nazioni Unite, i quali dovranno incoraggiare le imprese ad adoperarsi in tal senso, per garantire e proteggere la riservatezza delle comunicazioni e delle transizioni digitali. L’ultimo punto chiave riportato dal rapporto dell’ONU è l’impatto del monitoraggio digitale degli spazi pubblici: il ricorso sempre più frequente alle nuove tecnologie permette un controllo continuo e costante di ciò che le persone dicono online, anche e soprattutto sui social media. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha espresso più volte le sue preoccupazioni in merito alla sorveglianza di massa, soprattutto per quanto concerne le intercettazioni delle comunicazioni. A tal proposito, il rapporto intima agli Stati di limitare le misure di sorveglianza pubblica a quelle “strettamente necessarie e proporzionate”; gli Stati dovrebbero inoltre agire per attuare solidi controlli delle esportazioni delle tecnologie di sorveglianza che pongono gravi rischi per i diritti umani.
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