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Il direttore del Museo della Dieta Mediterranea: "Dobbiamo riscoprire il nostro Sud e le nostre tradizioni. Qua non c'è niente, perciò possiamo fare tutto"

di DOMENICO GUARINO -
6 maggio 2021
DietaMediterranea

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"L’esperienza drammatica della pandemia ci offre una lezione straordinaria. Ci ha detto che questo mondo andava troppo veloce, e che il virus è diventato devastante proprio a causa della velocità eccessiva ed ossessiva su cui eravamo proiettati. Il Covid ci ha insegnato che bisogna rallentare. Costruire le condizioni per una vita a misura d’uomo e non a misura di macchina". Valerio Calabrese è il giovane direttore del Museo della Dieta Mediterranea di Pioppi, nel comune di Pollica in Cilento. Si tratta di uno dei simboli della sostenibilità ambientale ed alimentare che emana da questa porzione della provincia di Salerno, diventata negli ultimi anni il centro di esperienze innovative, nate ed affermatesi intorno ad un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario: il rapporto con il territorio e le tradizioni possono essere la chiave di volta per la costruzione di un mondo migliore.

Ha 37 anni, Valerio, e  con il suo gruppo di giovani collaboratori rappresentano la punta di diamante di un Rinascimento meridionale che capovolge luoghi comuni secolari, facendo leva proprio su quelle caratteristiche che, negli anni, sono sempre state stigmatizzate come ostacolo principale allo sviluppo del sud: la lentezza, la conservazione, l’attaccamento alle proprie radici.

"Andarsene via? Ci ho pensato mille volte" ammette. "Ma poi mi sono reso conto che per fare quello che volevo avevo bisogno innanzitutto di un territorio che sentivo mio. Un posto che potevo vedere, cambiare, attraverso il mio impegno. Un mondo di relazioni su cui costruire progetti.  C’è una frase che dice spesso un imprenditore vitivinicolo di Paestum, Peppino Pagano: dove non c’è niente si può fare tutto. A lui dicevano che lì il vino non si poteva fare, che non era conveniente e che doveva spostarsi in Toscana oppure in Francia o in Piemonte. È rimasto, caparbiamente ed è diventato un punto di riferimento dell’enologia a livello internazionale. Quindi è una questione di visione del territorio. Al Sud, nel Cilento, c’è poco, per cui, paradossalmente, c’è tanto da fare. Certo nella scelta di rimanere hanno contato ragioni familiari, professionali e di attaccamento al territorio. Ma anche la considerazione di vivere in un posto straordinario, dove nel raggio di poche decine di chilometri puoi passare dai templi di Paestum agli scavi di Pompei, passando per la costiera Cilentana, fino ad Amalfi, Positano, Ravello. Posti che tutto il mondo ci invidia. E allora, mi sono detto, perché non provare a farle qui le cose che si possono fare altrove".

Calabrese ha un’azienda con 10 collaboratori, tutti tra i 20 e 30 anni, che a loro volta hanno scelto di rimanere, impegnando sul territorio le professionalità sviluppate nell’ambito della comunicazione e del web marketing, invece di emigrare a Roma o a Milano.

Non ti sei mai pentito? "No. Alla fine trovando la propria dimensione, si può stare bene o male ovunque. Sicuramente il Sud ha tantissimi limiti, tantissimi difetti. Potrei elencarli ad uno ad uno: non sono benevolo verso i mei conterranei. Noi siamo artefici del nostro destino e questa è la cosa da cui bisogna partire. Allo stesso modo questa immagine di un Sud fermo, irrecuperabile, perso, è fuorviante oltre che stantia. Al Sud c’è tantissima ricchezza, fatta di intelligenze, di forza, di creatività. Solo che, molto spesso, queste potenzialità non vengono accompagnate dalle amministrazioni locali, da chi fa la politica. Il grosso limite è proprio questo: la governance del territorio che risponde a logiche vecchie e sbagliate. Una classe dirigente che non si è ancora rinnovata e che, soprattutto, non crea le condizioni per dare ai giovani del Sud una chance, costringendoli a cercare fortuna altrove".

Da dove nasce il tuo impegno ecologista "Ho cominciato a fare attività politica nella sinistra giovanile ancora minorenne. Poi, intorno ai 20 anni, siccome quella dimensione cominciava a starmi stretta, ho fondato un’associazione culturale (Aut Aut) e qualche mese dopo, con un amico, il circolo di Legambiente a Battipaglia. In un territorio dove non si faceva nemmeno la raccolta differenziata. Avevo 27 anni. Oggi grazie a quelle esperienze la sensibilità ambientale è enormemente cresciuta".

Il Museo della Dieta Mediterranea, che tu dirigi, rappresenta un'esperienza straordinaria, all'interno di un territorio che ha saputo costruire sulla sostenibilità ambientale e sulla valorizzazione delle tradizioni un futuro diverso ed in gran parte insperato. Raccontaci come è nata. "Nel 2010 fu ucciso il sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, che conoscevo ed avevo seguito con Legambiente in tante iniziative sul territorio di Acciaroli e di Poppi. All'indomani dell’omicidio lanciammo "Festambiente Legalità", un'iniziativa che ebbe immediatamente una grande risonanza a livello nazionale. L’anno successivo, l’attuale sindaco Stefano Pisani chiese a Legambiente di occuparsi del Museo del mare, che era gestito in maniera molto approssimativa, e del Museo della Dieta Mediterranea, fondato da Carmine Battipede, che era addirittura chiuso. L’associazione mi dette l’incarico di seguire da vicino il progetto di rilancio. Ed eccoci qui. Alla fine, in dieci anni, siamo passati da 2 mila visitatori all’anno ad oltre 15 mila concentrati nei mesi primaverili (scolaresche) ed estivi (turisti). Da lì è nato il Festival della dieta mediterranea, 40 giorni di eventi tra luglio ed agosto con moltissime presenze. E la rete Musei della dieta mediterranea, che l’Unesco ha riconosciuto come  patrimonio transnazionale immateriale dell’umanità: 5 strutture in 7 Paesi, con Pioppi capofila. Oltre a mille altre cose".

Chi era Angelo Vassallo? E perché la sua esperienza è così importante? "Vassallo era una persona semplice che aveva una visione politica straordinaria. Nonostante fosse di umili origini, faceva il pescatore, aveva capito che quel territorio si poteva valorizzare e preservare guardando all'identità, alle radici, alle tradizioni, alla bellezza. Una bellezza che era stata vilipesa dal cemento e dall’urbanistica selvaggia collegata ad un’idea sbagliata di sviluppo, che vedeva nel Cilento una specie di Riviera Romagnola del Sud dove i napoletani venivano a passare le vacanze. Vassallo ebbe il coraggio di andare controcorrente. Capì la chiave del futuro non era nel costruire ma nel valorizzare il costruito. Che bisognava puntare sul mare, sulle risorse naturali, sulle tradizioni e sulla collaborazione tra le varie istituzioni. Grazie a lui, Acciaroli, Pollica e Pioppi sono diventate delle perle di qualità ambientale, grazie all’attenzione maniacale alla pulizia, all’ordine inteso come vivibilità, alla cura del dettaglio. La sua esperienza, che ha segnato un’intera generazione di giovani come me, ha insegnato che anche al Sud era possibile fare un turismo legato a standard altissimi di sostenibilità ambientale e qualità dell’accoglienza. E, dopo il suo omicidio, i cui mandanti ed esecutori sono ancora sconosciuti, non solo la sua eredità è stata confermata e se possibile arricchita dai suoi collaboratori, ma ha avuto una straordinaria influenza su tutto il territorio circostante. Possiamo dire che le amministrazioni del Cilento hanno cambiato la loro visione proprio facendo riferimento alle cose fatta a Pollica. Anche loro hanno accolto una visione diversa del turismo, e oggi i riconoscimenti che arrivano a livello nazionale ed internazionale sono frutto di quel primo passo fatto Vassallo".

Cosa rimarrà di tutto questo dopo la pandemia? "Al netto della tragedia rappresentata dalle vittime, dalle sofferenze patite, mi piace vedere anche le opportunità che nascono dalle difficoltà. Penso alla digitalizzazione, alla gestione dei servizi, alla comunicazione: le cose stanno cambiando in maniera incredibilmente veloce. Purtroppo il problema è che le diseguaglianze aumentano e si è allargata la forbice tra i ricchi e poveri. Ma non è tutto scritto ancora. Il covid è solo un episodio nella storia recente del nostro pianeta e deve farci riflettere molto anche sotto il profilo del rapporto che abbiamo con l’ambiente, col territorio, con gli altri. I risultati, nel bene e nel male, li vedremo  nei prossimi anni. Dipende da come sfrutteremo questa opportunità che ci si è presentata. Se faremo tesoro o meno della lezione che ci offre la pandemia. E se terremo presente il motto dei vecchi cilentani: "cuongio cuongio" che vuol dire "piano piano".  Fare le cose lentamente. Che è il modo migliore per procedere. Rimanendo umani".