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Home » Scienze e culture » Vanessa Nakate: la voce di un intero continente. La crisi climatica che uccide l’Africa

Vanessa Nakate: la voce di un intero continente. La crisi climatica che uccide l’Africa

Produce minori emissioni ma ne subisce maggiormente gli effetti e le drammatiche conseguenze. Il grido d'allarme dell'attivista

Giovanni Pierozzi
14 Novembre 2022
Vanessa Nakate

Vanessa Nakate

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Vanessa Nakate, attivista per il clima ugandese di 25 anni, ha più volte iniziato le sue dichiarazioni e interviste sulla crisi climatica con una frase iconica: “L’Africa non ha causato la crisi climatica, ma è il continente che più di tutti la sta subendo“. E i numeri le danno più che ragione: il continente nero è il meno inquinante al mondo (esclusa l’Antartide), con solo il 12% di emissioni di gas serra. Addirittura, a livello storico, questa percentuale scende al 4%. Se poi guardiamo alle conseguenze disastrose, i Paesi africani sono in prima linea: in Nigeria, da giugno a ottobre di quest’anno, a causa delle molteplici e improvvise inondazioni, sono morte oltre 600 persone. Nel 2019 il ciclone tropicale Idai ha causato oltre 1000 morti e decine di migliaia di sfollati tra Mozambico, Malawi, Zimbabwe e Madagascar. Da molti questo è stato considerato l’evento atmosferico più disastroso degli ultimi 20 anni. Tutto ciò implementa a dismisura anche le crisi alimentari, che rappresentano già una piaga enorme.

 

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Due modi per andare avanti, un circolo vizioso

Come più volte ha affermato la giovane attivista, proprio mentre in Africa si cerca un modo per sopravvivere, sia per l’emergenza cibo che per quella climatica, a cui si aggiunge quella sanitaria, in Europa il problema è sostituire il petrolio e il gas provenienti dalla Russia a causa della guerra in Ucraina. Questo è uno dei tanti esempi che testimoniano quanto i due continenti vicini di casa viaggino su due rotaie diverse da una parte, ma dall’altra quanto bruscamente riescano ad influenzarsi.
Per farla breve: l’Europa stessa è, ad esempio, la causa della forte crescita dell’immigrazione proveniente dai Paesi Africani verso il Vecchio continente, ma al contempo “si lamenta” di quello che sta diventando sempre più un problema. Non scordiamoci, inoltre, che storicamente – e continua tutt’oggi – l’enorme ricchezza africana è sempre stata sfruttata da molti Stati europei. Possiamo dire che il colonialismo propriamente detto verso i Paesi africani sia ufficialmente concluso, ma fattualmente non è così, soprattutto in certi settori, come quello economico: importanti giacimenti di petrolio di trovano in Egitto, Sudan e Libia. Miniere di oro, ferro e uranio in Africa Australe. In grande quantità viene estratto il coltan, un minerale molto raro estratto per lo più in Congo e Ruanda, usato per la produzione di computer e telefoni cellulari. Il mercato di queste materie è spesso deregolamentato e gestito da organizzazioni militari che attanagliano interi paesi, che ne concedono il commercio coi Paesi occidentali in cambio di armi.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Vanessa Nakate, attivista per il clima ugandese di 25 anni, ha più volte iniziato le sue dichiarazioni e interviste sulla crisi climatica con una frase iconica: "L'Africa non ha causato la crisi climatica, ma è il continente che più di tutti la sta subendo". E i numeri le danno più che ragione: il continente nero è il meno inquinante al mondo (esclusa l'Antartide), con solo il 12% di emissioni di gas serra. Addirittura, a livello storico, questa percentuale scende al 4%. Se poi guardiamo alle conseguenze disastrose, i Paesi africani sono in prima linea: in Nigeria, da giugno a ottobre di quest'anno, a causa delle molteplici e improvvise inondazioni, sono morte oltre 600 persone. Nel 2019 il ciclone tropicale Idai ha causato oltre 1000 morti e decine di migliaia di sfollati tra Mozambico, Malawi, Zimbabwe e Madagascar. Da molti questo è stato considerato l'evento atmosferico più disastroso degli ultimi 20 anni. Tutto ciò implementa a dismisura anche le crisi alimentari, che rappresentano già una piaga enorme.
 
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