Marco Annoni lavora al Consiglio Nazionale delle Ricerche, ed è responsabile del
Centro interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca della
Fondazione Umberto Veronesi.
Cosa pensa della carne cosiddetta ‘sintetica’ o ‘in vitro’?
"Penso sia una
grande opportunità, che vada
contestualizzata. E’ una grande opportunità perché oggi il
90% della carne che viene consumata nei paesi sviluppati come il nostro deriva da
allevamenti intensivi o
ultraintensivi. E questa modalità di produzione della carne noi oggi sappiamo che ha degli
effetti devastanti sull’ambiente: per le emissioni, per il benessere animale, perché gli animali crescono e vivono in condizioni di sofferenza per tutta la loro esistenza, e poi per la salute pubblica. Non è un caso che tutte le
pandemie o le emergenze sanitarie maggiori degli ultimi anni, in qualche modo, hanno riguardato anche la questione degli
allevamenti intensivi".
Marco Annoni
Quali sono i vantaggi della carne sintetica?
"Grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate si può immaginare una produzione di carne o di alimenti di origine animale che
non ha conseguenze per quanto riguarda la
sofferenza degli animali, almeno in teoria, e che permette di utilizzare
pochissime risorse rispetto a quelle che vengono utilizzate oggi per produrre carne negli allevamenti intensivi. A partire dall’
energia, fino al consumo di
acqua e di
suolo. La carne sintetica inoltre promette di essere molto più sicura dal punto di vista della
salute pubblica. Quindi le prospettive sono ideali. Però ci sono questioni che bisogna considerare quando si parla di sviluppo di queste tecnologie".
E quali sono?
"La prima riguarda il fatto che attualmente per produrre questo tipo di cibi si utilizzano ancora sostanze di derivazione
animale, soprattutto il siero fetale bovino, e questo richiede di fatto ancora l’
uccisione di alcuni animali. I prodotti oggi non sono del tutto cruelty free dunque. Il secondo problema gigantesco è quello dell’
economia di scala".
Cioè?
"Noi oggi sappiamo che è possibile produrre la carne sintetica, e ci sono
tantissime start up che stanno lavorando per produrre diversi tipi di carne. Abbiamo la carne
bovina appunto, ma anche il
salmone ed altri prodotti che hanno a che fare con gli animali. Ma oggi esistono significative
barriere, proprio a livello di ingegneria, e che si frappongono alla possibilità di produrre
grandi quantità di carne coltivate in
bioreattori e che questa carne abbia un
prezzo basso, o, almeno, tanto basso da poter competere con la carne ottenuta dagli allevamenti intensivi. Secondo studi recenti questo in realtà non è ancora possibile. Cioè la
carne in vitro si può già fare ma
costa tantissimo. E dunque molto probabilmente non sarà qualcosa che andrà, almeno sul breve periodo, a rimpiazzare i prodotti tradizionali che possiamo consumare oggi se scegliamo di farlo, ma sarà un prodotto destinato ad una nicchia di consumatori
disposti a
pagare di più, o per avere un prodotto
senza crudeltà, o con minor
impatto ambientale, oppure, infine, per provare una nuova esperienza culinaria. Ultimo punto i
brevetti. Il giudizio su questo tipo di tecnologia, come tutte le innovazioni, dipende anche da chi ne ha la proprietà e dunque il controllo. Quindi benissimo lo sviluppo della ricerca su prodotti di questo tipo, ma bisogna tenere anche un occhio di attenzione a come possono essere condivisi i benefici di questa innovazione".
Qualcuno dice che chiamarla carne sia una presa in giro.
"Non sono d’accordo. Perché se si scandaglia a livello di Dna, ad esempio, è costituita da
cellule animali, quindi fattualmente è carne. Naturalmente queste tecnologie cambiano la definizione di cos’è la carne. Per cui
un po’ di ragione, i detrattori, ce l’hanno. Perché fino all’arrivo di questa tecnologia, la carne era qualcosa che si poteva ottenere solo attraverso l’allevamento di animali destinati poi alla macellazione. Oggi questo non è più l’unico modo con cui la carne si possa ottenere. Quindi secondo me, al contrario, bisognerebbe
espandere la definizione di carne. Magari qualificandola: ‘
sintetica’, ‘
coltivata in laboratorio o ‘agricoltura cellulare’, queste potrebbero essere le definizioni specifiche, a seconda delle preferenze, per distinguerla dalla carne prodotta in allevamento".
Questa come tecnologie simili che vanno ad interagire con il Dna, apre scenari enormi dal punto di vista dell’etica e della bioetica. Come si risolve la questione? Possiamo stare tranquilli?
Annoni in laboratorio
"Diciamo che possiamo stare tranquilli se c’è una supervisione di tipo
etico sulla ricerca di questi prodotti e sul loro eventuale arrivo sul
mercato del consumo. In generale, io ritengo che possiamo stare abbastanza tranquilli: i prodotti che arrivano sul mercato in Ue, anche con queste modalità, devono comunque rispettare le norme igieniche, sanitarie e di sicurezza di tutti gli altri prodotti simili. Quindi da questo punto di vista non ho grandi preoccupazioni. Quello che mi preoccupa di più, come accennavo prima, è la questione della
proprietà intellettuale, perché oggi tra le prime a finanziare le nuove start up, sono proprio le grandi industrie che finanziano allo stesso tempo gli allevamenti intensivi, perché consapevoli che prodotti del genere, per motivi ambientali, etici, o di salute, diventeranno
sempre più diffusi se non prevalenti nelle abitudini dei consumatori. Per cui è bene stare attenti e vigilare".