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Marco Annoni, fra scienza ed etica: "Grande opportunità per la salute e per l'ambiente. Ma prezzi ancora troppo alti e attenzione ai brevetti"

di DOMENICO GUARINO -
29 ottobre 2021
CarneSinteticaConfronto

CarneSinteticaConfronto

Marco Annoni lavora al Consiglio Nazionale delle Ricerche, ed è responsabile del Centro interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca della Fondazione Umberto Veronesi.  

Cosa pensa della carne cosiddetta ‘sintetica’ o ‘in vitro’?

  "Penso sia una grande opportunità, che vada contestualizzata. E’ una grande opportunità perché oggi il 90% della carne che viene consumata nei paesi sviluppati come il nostro deriva da allevamenti intensivi o ultraintensivi. E questa modalità di produzione della carne noi oggi sappiamo che ha degli effetti devastanti sull’ambiente: per le emissioni, per il benessere animale, perché gli animali crescono e vivono in condizioni di sofferenza per tutta la loro esistenza, e poi per la salute pubblica. Non è un caso che tutte le pandemie o le emergenze sanitarie maggiori degli ultimi anni, in qualche modo, hanno riguardato anche la questione degli allevamenti intensivi".  

Marco Annoni

Quali sono i vantaggi della carne sintetica?

"Grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate si può immaginare una produzione di carne o di alimenti di origine animale che non ha conseguenze per quanto riguarda la sofferenza degli animali, almeno in teoria, e che permette di utilizzare pochissime risorse rispetto a quelle che vengono utilizzate oggi per produrre carne negli allevamenti intensivi. A partire dall’energia, fino al consumo di acqua e di suolo. La carne sintetica inoltre promette di essere molto più sicura dal punto di vista della salute pubblica. Quindi le prospettive sono ideali. Però ci sono questioni che bisogna considerare quando si parla di sviluppo di queste tecnologie".  

E quali sono?

  "La prima riguarda il fatto che attualmente per produrre questo tipo di cibi si utilizzano ancora sostanze di derivazione animale, soprattutto il siero fetale bovino, e questo richiede di fatto ancora l’uccisione di alcuni animali. I prodotti oggi non sono del tutto cruelty free dunque. Il secondo problema gigantesco è quello dell’economia di scala".  

Cioè?

  "Noi oggi sappiamo che è possibile produrre la carne sintetica, e ci sono tantissime start up che stanno lavorando per produrre diversi tipi di carne. Abbiamo la carne bovina appunto, ma anche il salmone ed altri prodotti che hanno a che fare con gli animali. Ma oggi esistono significative barriere, proprio a livello di ingegneria, e che si frappongono alla possibilità di produrre grandi quantità di carne coltivate in bioreattori e che questa carne abbia un prezzo basso, o, almeno, tanto basso da poter competere con la carne ottenuta dagli allevamenti intensivi. Secondo studi recenti questo in realtà non è ancora possibile. Cioè la carne in vitro si può già fare ma costa tantissimo. E dunque molto probabilmente non sarà qualcosa che andrà, almeno sul breve periodo, a rimpiazzare i prodotti tradizionali che possiamo consumare oggi se scegliamo di farlo, ma sarà un prodotto destinato ad una nicchia di consumatori  disposti a pagare di più, o per avere un prodotto senza crudeltà, o con minor impatto ambientale, oppure, infine, per provare una nuova esperienza culinaria. Ultimo punto i brevetti. Il giudizio su questo tipo di tecnologia, come tutte le innovazioni, dipende anche da chi ne ha la proprietà e dunque il controllo. Quindi benissimo lo sviluppo della ricerca su prodotti di questo tipo, ma bisogna tenere anche un occhio di attenzione a come possono essere condivisi i benefici di questa innovazione".  

Qualcuno dice che chiamarla carne sia una presa in giro.

  "Non sono d’accordo. Perché se si scandaglia a livello di Dna, ad esempio, è costituita da cellule animali, quindi fattualmente è carne. Naturalmente queste tecnologie cambiano la definizione di cos’è la carne. Per cui un po’ di ragione, i detrattori, ce l’hanno. Perché fino all’arrivo di questa tecnologia, la carne era qualcosa che si poteva ottenere solo attraverso l’allevamento di animali destinati poi alla macellazione. Oggi questo non è più l’unico modo con cui la carne si possa ottenere. Quindi secondo me, al contrario, bisognerebbe espandere la definizione di carne. Magari qualificandola: ‘sintetica’, ‘coltivata in laboratorio o ‘agricoltura cellulare’, queste potrebbero essere le definizioni specifiche, a seconda delle preferenze, per distinguerla dalla carne prodotta in allevamento".  

Questa come  tecnologie simili che vanno ad interagire con il Dna, apre scenari enormi dal punto di vista dell’etica e della bioetica. Come si risolve la questione? Possiamo stare tranquilli?

Annoni in laboratorio

"Diciamo che possiamo stare tranquilli se c’è una supervisione di tipo etico sulla ricerca di questi prodotti e sul loro eventuale arrivo sul mercato del consumo. In generale, io ritengo che possiamo stare abbastanza tranquilli: i prodotti che arrivano sul mercato in Ue, anche con queste modalità, devono comunque rispettare le norme igieniche, sanitarie e di sicurezza di tutti gli altri prodotti simili. Quindi da questo punto di vista non ho grandi preoccupazioni. Quello che mi preoccupa di più, come accennavo prima, è la questione della proprietà intellettuale, perché oggi tra le prime a finanziare le nuove start up,  sono proprio le grandi industrie che finanziano allo stesso tempo gli allevamenti intensivi, perché consapevoli che prodotti del genere, per motivi ambientali, etici, o di salute, diventeranno sempre più diffusi se non prevalenti nelle abitudini dei consumatori. Per cui è bene stare attenti e vigilare".