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Miaomiao Huang, la prima giornalista cinese è a Prato: "Il mio obiettivo? Abbattere gli stereotipi"

di MARISTELLA CARBONIN -
31 gennaio 2022
Cover Miaomiao Huang

Cover Miaomiao Huang

Ha 30 anni, Miaomiao Huang, ed è arrivata in Toscana, a Prato per l’esattezza, quando ne aveva poco più di 5 anni. I nonni - tornati in Cina, perché il tramonto della vita è sempre a Oriente - erano già in Italia. Ha subito capito, Miaomiao, che la lingua era la chiave per conoscere Prato e la sua gente, per creare un ponte tra le due comunità. Per farsi conoscere, anche. Miaomiao oggi è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani. “Nel 2019 ho bussato alla porta della redazione di Prato del quotidiano 'La Nazione’ e il respondabile della redazione, David Bruschi, mi ha accolto con grande disponibilità e anche curiosità“, racconta la nostra collaboratrice, protagonista l’altra mattina anche su Radio Capital, intervistata da Selvaggia Lucarelli. “Come cinese molto impegnata nel sociale sono stata intervistata diverse volte, ma spesso leggendo alcune interviste che mi facevano non mi ritrovavo - racconta Miaomiao Huang  - . Ero curiosa. Mi interessava mettermi nei panni di chi doveva scrivere".
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani

Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani

Diversi articoli alle spalle sulla cronaca pratese de 'La Nazione', la giovane pubblicista è in fondo il simbolo dell’integrazione possibile. Un altro miracolo di quella città culla dell’economia circolare, dove gli intrecci non sono solo di fili e fantasia, ma di vite, lingue e culture. Miaomiao parla piano, misura la parole con un rispetto per la lingua e il significato a cui siamo sempre meno abituati. “Non voglio parlare di razzismo o di bullismo, non sarebbero le parole giuste. Piuttosto, di distanza - spiega - . Ho capito quanto era importante la comunicazione da ragazzina, quando a scuola ho difeso tanti compagni cinesi, coetanei o anche più piccoli, che non parlando italiano venivano un po’ discriminati dagli italiani. Allora ho capito quanto era importante reagire, rispondere!, riprende.

Il traguardo

Tesserino da giornalista fresco fresco di stampa rilasciato dall’Odg della Toscana, Miaomiao ha un obiettivo chiaro: “La comunità cinese è spesso stata raccontata con tanti stereotipi, anche banalizzata. Ma è comprensibile: non è facile, senza viverla, capirla davvero. Se c’è l’occasione di poter contribuire a far conoscere di più la comunità cinese perché no. E viceversa. Raccontare gli italiani ai cinesi di Prato, attraverso le pagine de 'La Nazione’, è importante: quando la comunità cinese ha saputo che c’è una giornalista a Prato che può essere una portavoce verso gli italiani, beh, tanti hanno abbassato la guardia“. Miaomiao, leì è la prima cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani. Sorpresa? Un traguardo raggiunto, o un inizio? “Molto sorpresa. E forse non mi rendo nemmeno io conto di essere riuscita ad iscrivermi all’Ordine dei giornalisti. Era sicuramente uno dei miei obiettivi quando ho iniziato a scrivere, ma temevo che il fatto di esser cittadina cinese me lo impedisse. Invece, fortunatamente, non c’è questo tipo di limitazione, ed eccomi qui". È sicuramente un traguardo raggiunto, che avvia a sua volta un nuovo inizio: quando è nata la sua passione per il giornalismo? Quali sono state, se ci sono state, le difficoltà maggiori? Quali le soddisfazioni? “È una passione nata dalla voglia di abbassare il velo su di un pezzo di società che, nella mia città, è sempre stata rappresentata attraverso stereotipi. La comunità cinese di Prato non è solo un grande insediamento etnico all’interno di uno specifico territorio, oggi è molto di più. Ormai è una realtà consolidata, con tutte le sue contraddizioni, ma saldamente intrecciata a tutto il tessuto sociale, culturale ed economico della città. Mi sono detta: è arrivato il momento di raccontarsi e smettere di essere raccontati. E da qui son partita. Certo, non è stato facile, ma nemmeno troppo difficile. Ho avuto la fortuna di crescere in una condizione serena, ho conosciuto tante belle persone e ho trovato una bellissima disponibilità ad accettare questa mia proposta di collaborazione con 'La Nazione’. Ho sempre ritenuto che l’ambito della comunicazione, nel senso più ampio del termine, fosse l’arma principale per abbattere tutti i muri“. La sua famiglia la sostiene in questo percorso? “Se sono quella di oggi è un po’ grazie anche alla mia famiglia, che mi ha sempre permesso di seguire ciò che volevo. Mio babbo mi obbligava a guardare i cartoni animati in italiano e voleva che ogni giorno dedicassi gran parte del tempo allo studio della lingua. Era severo, ma è servito“.
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani

Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani

Abita a Prato, realtà dove la comunità cinese è vastissima, da quando aveva cinque anni. Cosa può fare la giornalista Miaomiao per Prato e la comunità cinese in generale? “Mi piacerebbe continuare a tenere aperta una finestra su un mondo che ancora non è conosciuto bene. Vorrei contribuire a costruire momenti di scambio, di confronto, cercando di elaborare una narrazione positiva su quello che si muove in città. Certo, raccontando sempre la verità". Cosa incuriosisce Miaomiao? “Sicuramente la scoperta di un paese nuovo, con la sua lingua, con la sua cultura, così diverse da quelle cinesi, ha contribuito a sviluppare in me la sete di curiosità. L’arrivo in Italia fu traumatico. Ero una bambina di cinque anni, abituata a vedere tutti gli altri bambini come me: capelli scuri, occhi a mandorla, il dialetto wenzhounese come lingua principale. Arrivata in Italia, catapultata subito a scuola, mi son ritrovata in mezzo a coetanei di tutti i colori, in un mondo totalmente nuovo. Era stranissimo. Avevo paura, ma allo stesso tempo ero molto incuriosita. E questa curiosità mi ha permesso di stringere velocemente relazioni con i compagni di classe italiani, senza spezzare il filo con la comunità da cui provenivo. Ed è lì che ho scoperto la mia attrazione per tutto quello che è 'diverso’, un aggettivo che è poi diventato un po’ il tratto distintivo della mia vita. Perché mi sento pienamente parte della comunità cinese di Prato, ma allo stesso tempo mi sento totalmente pratese. Parlo due lingue da madrelingua, frequento amici cinesi e amici italiani. Queste due identità per me non vivono separate, come invece riscontro in tante persone che conosco. Ecco, in questo mi sento ’diversa’ e curiosa, perché ho ancora molto da scoprire di questi due mondi". Torniamo a Prato. Uno degli appunti che si muovono alla comunità cinese è quello di essere ‘chiusa’. Si tratta solo uno stereotipo? Vivendola da vicino pensa invece che sia arrivato il momento per un salto di qualità nel dialogo e nelle relazioni? “È una comunità che si adatta facilmente e velocemente. Alcuni caratteri che vengono descritti non sono stereotipi: la comunità cinese è un corpaccione monolite, dove tutti gli ingranaggi sono legati. È la nostra storia, la nostra cultura, ma non la chiamerei “chiusura”, soprattutto a Prato. È vero, la comunità si muove quasi sempre unita. Un esempio lampante è stata proprio la pandemia. Nella prima fase dell’emergenza, prima ancora che il Paese piombasse nel lockdown, i cinesi di Prato attraverso il tam tam sui social si erano già autoisolati, avevano spontaneamente iniziato a chiudere negozi e attività commerciali, interrompendo drasticamente le interazioni sociali. E lo hanno fatto tutti, insieme. Contemporaneamente le associazioni cinesi hanno organizzato una vasta rete di solidarietà che ha contribuito ad aiutare anche le istituzioni locali, attraverso per esempio la distribuzione dei dispositivi di protezione individuali, che al tempo scarseggiavano. La pandemia ha dimostrato che la comunità è sicuramente una realtà che spesso si muove in modo indipendente, ma allo stesso tempo ha dimostrato anche che è pronta a interagire veramente con tutto quello che la circonda. Un ruolo chiave lo svolgeranno le nuove generazioni, che non si pongono nemmeno più il tema dell’integrazione. Perché è nelle cose e in ogni ambito, dalla scuola al lavoro, passando per le amicizie e gli amori". Il linguaggio, la comunicazione possono essere un ponte, abbattere distanze che innegabilmente ci sono. E allora, in quel caso, il giornalismo può brillare per funzione sociale. Come la vede? È un’utopia? “Il fallimento di una relazione è quasi sempre dovuto all’incapacità di comunicare. Ecco, credo che la comunicazione sia lo strumento principale per abbattere muri e barriere. E sì, i media possono svolgere un ruolo chiave, soprattutto se sapranno adattarsi a un pubblico totalmente nuovo, che vive su schemi completamente diversi dal passato. Io ci credo“.