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Home » HP Blocco Testo Destra » Miaomiao Huang, la prima giornalista cinese è a Prato: “Il mio obiettivo? Abbattere gli stereotipi”

Miaomiao Huang, la prima giornalista cinese è a Prato: “Il mio obiettivo? Abbattere gli stereotipi”

Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni (oggi ne ha 30) ha bussato alla porta de ’La Nazione’ e da lì è partita la sua avventura: "Credo che la comunicazione sia lo strumento principale per superare le barriere: ho due identità, ma non vivono separate"

Maristella Carbonin
31 Gennaio 2022
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Ha 30 anni, Miaomiao Huang, ed è arrivata in Toscana, a Prato per l’esattezza, quando ne aveva poco più di 5 anni. I nonni – tornati in Cina, perché il tramonto della vita è sempre a Oriente – erano già in Italia. Ha subito capito, Miaomiao, che la lingua era la chiave per conoscere Prato e la sua gente, per creare un ponte tra le due comunità. Per farsi conoscere, anche.
Miaomiao oggi è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani. “Nel 2019 ho bussato alla porta della redazione di Prato del quotidiano ‘La Nazione’ e il respondabile della redazione, David Bruschi, mi ha accolto con grande disponibilità e anche curiosità“, racconta la nostra collaboratrice, protagonista l’altra mattina anche su Radio Capital, intervistata da Selvaggia Lucarelli. “Come cinese molto impegnata nel sociale sono stata intervistata diverse volte, ma spesso leggendo alcune interviste che mi facevano non mi ritrovavo – racconta Miaomiao Huang  – . Ero curiosa. Mi interessava mettermi nei panni di chi doveva scrivere”.

Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani

Diversi articoli alle spalle sulla cronaca pratese de ‘La Nazione‘, la giovane pubblicista è in fondo il simbolo dell’integrazione possibile. Un altro miracolo di quella città culla dell’economia circolare, dove gli intrecci non sono solo di fili e fantasia, ma di vite, lingue e culture. Miaomiao parla piano, misura la parole con un rispetto per la lingua e il significato a cui siamo sempre meno abituati. “Non voglio parlare di razzismo o di bullismo, non sarebbero le parole giuste. Piuttosto, di distanza – spiega – . Ho capito quanto era importante la comunicazione da ragazzina, quando a scuola ho difeso tanti compagni cinesi, coetanei o anche più piccoli, che non parlando italiano venivano un po’ discriminati dagli italiani. Allora ho capito quanto era importante reagire, rispondere!, riprende.

Il traguardo

Tesserino da giornalista fresco fresco di stampa rilasciato dall’Odg della Toscana, Miaomiao ha un obiettivo chiaro: “La comunità cinese è spesso stata raccontata con tanti stereotipi, anche banalizzata. Ma è comprensibile: non è facile, senza viverla, capirla davvero. Se c’è l’occasione di poter contribuire a far conoscere di più la comunità cinese perché no. E viceversa. Raccontare gli italiani ai cinesi di Prato, attraverso le pagine de ‘La Nazione’, è importante: quando la comunità cinese ha saputo che c’è una giornalista a Prato che può essere una portavoce verso gli italiani, beh, tanti hanno abbassato la guardia“.

Miaomiao, leì è la prima cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani. Sorpresa? Un traguardo raggiunto, o un inizio?
“Molto sorpresa. E forse non mi rendo nemmeno io conto di essere riuscita ad iscrivermi all’Ordine dei giornalisti. Era sicuramente uno dei miei obiettivi quando ho iniziato a scrivere, ma temevo che il fatto di esser cittadina cinese me lo impedisse. Invece, fortunatamente, non c’è questo tipo di limitazione, ed eccomi qui”.

È sicuramente un traguardo raggiunto, che avvia a sua volta un nuovo inizio: quando è nata la sua passione per il giornalismo? Quali sono state, se ci sono state, le difficoltà maggiori? Quali le soddisfazioni?
“È una passione nata dalla voglia di abbassare il velo su di un pezzo di società che, nella mia città, è sempre stata rappresentata attraverso stereotipi. La comunità cinese di Prato non è solo un grande insediamento etnico all’interno di uno specifico territorio, oggi è molto di più. Ormai è una realtà consolidata, con tutte le sue contraddizioni, ma saldamente intrecciata a tutto il tessuto sociale, culturale ed economico della città. Mi sono detta: è arrivato il momento di raccontarsi e smettere di essere raccontati. E da qui son partita. Certo, non è stato facile, ma nemmeno troppo difficile. Ho avuto la fortuna di crescere in una condizione serena, ho conosciuto tante belle persone e ho trovato una bellissima disponibilità ad accettare questa mia proposta di collaborazione con ‘La Nazione’. Ho sempre ritenuto che l’ambito della comunicazione, nel senso più ampio del termine, fosse l’arma principale per abbattere tutti i muri“.

La sua famiglia la sostiene in questo percorso?
“Se sono quella di oggi è un po’ grazie anche alla mia famiglia, che mi ha sempre permesso di seguire ciò che volevo. Mio babbo mi obbligava a guardare i cartoni animati in italiano e voleva che ogni giorno dedicassi gran parte del tempo allo studio della lingua. Era severo, ma è servito“.

Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani

Abita a Prato, realtà dove la comunità cinese è vastissima, da quando aveva cinque anni. Cosa può fare la giornalista Miaomiao per Prato e la comunità cinese in generale?
“Mi piacerebbe continuare a tenere aperta una finestra su un mondo che ancora non è conosciuto bene. Vorrei contribuire a costruire momenti di scambio, di confronto, cercando di elaborare una narrazione positiva su quello che si muove in città. Certo, raccontando sempre la verità”.

Cosa incuriosisce Miaomiao?
“Sicuramente la scoperta di un paese nuovo, con la sua lingua, con la sua cultura, così diverse da quelle cinesi, ha contribuito a sviluppare in me la sete di curiosità. L’arrivo in Italia fu traumatico. Ero una bambina di cinque anni, abituata a vedere tutti gli altri bambini come me: capelli scuri, occhi a mandorla, il dialetto wenzhounese come lingua principale. Arrivata in Italia, catapultata subito a scuola, mi son ritrovata in mezzo a coetanei di tutti i colori, in un mondo totalmente nuovo. Era stranissimo. Avevo paura, ma allo stesso tempo ero molto incuriosita. E questa curiosità mi ha permesso di stringere velocemente relazioni con i compagni di classe italiani, senza spezzare il filo con la comunità da cui provenivo. Ed è lì che ho scoperto la mia attrazione per tutto quello che è ‘diverso’, un aggettivo che è poi diventato un po’ il tratto distintivo della mia vita. Perché mi sento pienamente parte della comunità cinese di Prato, ma allo stesso tempo mi sento totalmente pratese. Parlo due lingue da madrelingua, frequento amici cinesi e amici italiani. Queste due identità per me non vivono separate, come invece riscontro in tante persone che conosco. Ecco, in questo mi sento ’diversa’ e curiosa, perché ho ancora molto da scoprire di questi due mondi”.

Torniamo a Prato. Uno degli appunti che si muovono alla comunità cinese è quello di essere ‘chiusa’. Si tratta solo uno stereotipo? Vivendola da vicino pensa invece che sia arrivato il momento per un salto di qualità nel dialogo e nelle relazioni?
“È una comunità che si adatta facilmente e velocemente. Alcuni caratteri che vengono descritti non sono stereotipi: la comunità cinese è un corpaccione monolite, dove tutti gli ingranaggi sono legati. È la nostra storia, la nostra cultura, ma non la chiamerei “chiusura”, soprattutto a Prato. È vero, la comunità si muove quasi sempre unita. Un esempio lampante è stata proprio la pandemia. Nella prima fase dell’emergenza, prima ancora che il Paese piombasse nel lockdown, i cinesi di Prato attraverso il tam tam sui social si erano già autoisolati, avevano spontaneamente iniziato a chiudere negozi e attività commerciali, interrompendo drasticamente le interazioni sociali. E lo hanno fatto tutti, insieme. Contemporaneamente le associazioni cinesi hanno organizzato una vasta rete di solidarietà che ha contribuito ad aiutare anche le istituzioni locali, attraverso per esempio la distribuzione dei dispositivi di protezione individuali, che al tempo scarseggiavano. La pandemia ha dimostrato che la comunità è sicuramente una realtà che spesso si muove in modo indipendente, ma allo stesso tempo ha dimostrato anche che è pronta a interagire veramente con tutto quello che la circonda. Un ruolo chiave lo svolgeranno le nuove generazioni, che non si pongono nemmeno più il tema dell’integrazione. Perché è nelle cose e in ogni ambito, dalla scuola al lavoro, passando per le amicizie e gli amori”.

Il linguaggio, la comunicazione possono essere un ponte, abbattere distanze che innegabilmente ci sono. E allora, in quel caso, il giornalismo può brillare per funzione sociale. Come la vede? È un’utopia?
“Il fallimento di una relazione è quasi sempre dovuto all’incapacità di comunicare. Ecco, credo che la comunicazione sia lo strumento principale per abbattere muri e barriere. E sì, i media possono svolgere un ruolo chiave, soprattutto se sapranno adattarsi a un pubblico totalmente nuovo, che vive su schemi completamente diversi dal passato. Io ci credo“.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Ha 30 anni, Miaomiao Huang, ed è arrivata in Toscana, a Prato per l’esattezza, quando ne aveva poco più di 5 anni. I nonni - tornati in Cina, perché il tramonto della vita è sempre a Oriente - erano già in Italia. Ha subito capito, Miaomiao, che la lingua era la chiave per conoscere Prato e la sua gente, per creare un ponte tra le due comunità. Per farsi conoscere, anche. Miaomiao oggi è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani. “Nel 2019 ho bussato alla porta della redazione di Prato del quotidiano 'La Nazione’ e il respondabile della redazione, David Bruschi, mi ha accolto con grande disponibilità e anche curiosità“, racconta la nostra collaboratrice, protagonista l’altra mattina anche su Radio Capital, intervistata da Selvaggia Lucarelli. “Come cinese molto impegnata nel sociale sono stata intervistata diverse volte, ma spesso leggendo alcune interviste che mi facevano non mi ritrovavo - racconta Miaomiao Huang  - . Ero curiosa. Mi interessava mettermi nei panni di chi doveva scrivere".
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani
Diversi articoli alle spalle sulla cronaca pratese de 'La Nazione', la giovane pubblicista è in fondo il simbolo dell’integrazione possibile. Un altro miracolo di quella città culla dell’economia circolare, dove gli intrecci non sono solo di fili e fantasia, ma di vite, lingue e culture. Miaomiao parla piano, misura la parole con un rispetto per la lingua e il significato a cui siamo sempre meno abituati. “Non voglio parlare di razzismo o di bullismo, non sarebbero le parole giuste. Piuttosto, di distanza - spiega - . Ho capito quanto era importante la comunicazione da ragazzina, quando a scuola ho difeso tanti compagni cinesi, coetanei o anche più piccoli, che non parlando italiano venivano un po’ discriminati dagli italiani. Allora ho capito quanto era importante reagire, rispondere!, riprende.

Il traguardo

Tesserino da giornalista fresco fresco di stampa rilasciato dall’Odg della Toscana, Miaomiao ha un obiettivo chiaro: “La comunità cinese è spesso stata raccontata con tanti stereotipi, anche banalizzata. Ma è comprensibile: non è facile, senza viverla, capirla davvero. Se c’è l’occasione di poter contribuire a far conoscere di più la comunità cinese perché no. E viceversa. Raccontare gli italiani ai cinesi di Prato, attraverso le pagine de 'La Nazione’, è importante: quando la comunità cinese ha saputo che c’è una giornalista a Prato che può essere una portavoce verso gli italiani, beh, tanti hanno abbassato la guardia“. Miaomiao, leì è la prima cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani. Sorpresa? Un traguardo raggiunto, o un inizio? “Molto sorpresa. E forse non mi rendo nemmeno io conto di essere riuscita ad iscrivermi all’Ordine dei giornalisti. Era sicuramente uno dei miei obiettivi quando ho iniziato a scrivere, ma temevo che il fatto di esser cittadina cinese me lo impedisse. Invece, fortunatamente, non c’è questo tipo di limitazione, ed eccomi qui". È sicuramente un traguardo raggiunto, che avvia a sua volta un nuovo inizio: quando è nata la sua passione per il giornalismo? Quali sono state, se ci sono state, le difficoltà maggiori? Quali le soddisfazioni? “È una passione nata dalla voglia di abbassare il velo su di un pezzo di società che, nella mia città, è sempre stata rappresentata attraverso stereotipi. La comunità cinese di Prato non è solo un grande insediamento etnico all’interno di uno specifico territorio, oggi è molto di più. Ormai è una realtà consolidata, con tutte le sue contraddizioni, ma saldamente intrecciata a tutto il tessuto sociale, culturale ed economico della città. Mi sono detta: è arrivato il momento di raccontarsi e smettere di essere raccontati. E da qui son partita. Certo, non è stato facile, ma nemmeno troppo difficile. Ho avuto la fortuna di crescere in una condizione serena, ho conosciuto tante belle persone e ho trovato una bellissima disponibilità ad accettare questa mia proposta di collaborazione con 'La Nazione’. Ho sempre ritenuto che l’ambito della comunicazione, nel senso più ampio del termine, fosse l’arma principale per abbattere tutti i muri“. La sua famiglia la sostiene in questo percorso? “Se sono quella di oggi è un po’ grazie anche alla mia famiglia, che mi ha sempre permesso di seguire ciò che volevo. Mio babbo mi obbligava a guardare i cartoni animati in italiano e voleva che ogni giorno dedicassi gran parte del tempo allo studio della lingua. Era severo, ma è servito“.
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani
Arrivata in Toscana dalla Cina quando aveva 5 anni, Miaomiao Huang (30 anni) è la prima giornalista cinese iscritta all’Ordine dei giornalisti italiani
Abita a Prato, realtà dove la comunità cinese è vastissima, da quando aveva cinque anni. Cosa può fare la giornalista Miaomiao per Prato e la comunità cinese in generale? “Mi piacerebbe continuare a tenere aperta una finestra su un mondo che ancora non è conosciuto bene. Vorrei contribuire a costruire momenti di scambio, di confronto, cercando di elaborare una narrazione positiva su quello che si muove in città. Certo, raccontando sempre la verità". Cosa incuriosisce Miaomiao? “Sicuramente la scoperta di un paese nuovo, con la sua lingua, con la sua cultura, così diverse da quelle cinesi, ha contribuito a sviluppare in me la sete di curiosità. L’arrivo in Italia fu traumatico. Ero una bambina di cinque anni, abituata a vedere tutti gli altri bambini come me: capelli scuri, occhi a mandorla, il dialetto wenzhounese come lingua principale. Arrivata in Italia, catapultata subito a scuola, mi son ritrovata in mezzo a coetanei di tutti i colori, in un mondo totalmente nuovo. Era stranissimo. Avevo paura, ma allo stesso tempo ero molto incuriosita. E questa curiosità mi ha permesso di stringere velocemente relazioni con i compagni di classe italiani, senza spezzare il filo con la comunità da cui provenivo. Ed è lì che ho scoperto la mia attrazione per tutto quello che è 'diverso’, un aggettivo che è poi diventato un po’ il tratto distintivo della mia vita. Perché mi sento pienamente parte della comunità cinese di Prato, ma allo stesso tempo mi sento totalmente pratese. Parlo due lingue da madrelingua, frequento amici cinesi e amici italiani. Queste due identità per me non vivono separate, come invece riscontro in tante persone che conosco. Ecco, in questo mi sento ’diversa’ e curiosa, perché ho ancora molto da scoprire di questi due mondi". Torniamo a Prato. Uno degli appunti che si muovono alla comunità cinese è quello di essere ‘chiusa’. Si tratta solo uno stereotipo? Vivendola da vicino pensa invece che sia arrivato il momento per un salto di qualità nel dialogo e nelle relazioni? “È una comunità che si adatta facilmente e velocemente. Alcuni caratteri che vengono descritti non sono stereotipi: la comunità cinese è un corpaccione monolite, dove tutti gli ingranaggi sono legati. È la nostra storia, la nostra cultura, ma non la chiamerei “chiusura”, soprattutto a Prato. È vero, la comunità si muove quasi sempre unita. Un esempio lampante è stata proprio la pandemia. Nella prima fase dell’emergenza, prima ancora che il Paese piombasse nel lockdown, i cinesi di Prato attraverso il tam tam sui social si erano già autoisolati, avevano spontaneamente iniziato a chiudere negozi e attività commerciali, interrompendo drasticamente le interazioni sociali. E lo hanno fatto tutti, insieme. Contemporaneamente le associazioni cinesi hanno organizzato una vasta rete di solidarietà che ha contribuito ad aiutare anche le istituzioni locali, attraverso per esempio la distribuzione dei dispositivi di protezione individuali, che al tempo scarseggiavano. La pandemia ha dimostrato che la comunità è sicuramente una realtà che spesso si muove in modo indipendente, ma allo stesso tempo ha dimostrato anche che è pronta a interagire veramente con tutto quello che la circonda. Un ruolo chiave lo svolgeranno le nuove generazioni, che non si pongono nemmeno più il tema dell’integrazione. Perché è nelle cose e in ogni ambito, dalla scuola al lavoro, passando per le amicizie e gli amori". Il linguaggio, la comunicazione possono essere un ponte, abbattere distanze che innegabilmente ci sono. E allora, in quel caso, il giornalismo può brillare per funzione sociale. Come la vede? È un’utopia? “Il fallimento di una relazione è quasi sempre dovuto all’incapacità di comunicare. Ecco, credo che la comunicazione sia lo strumento principale per abbattere muri e barriere. E sì, i media possono svolgere un ruolo chiave, soprattutto se sapranno adattarsi a un pubblico totalmente nuovo, che vive su schemi completamente diversi dal passato. Io ci credo“.
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