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Home » Spettacolo » Andrea e Franco Antonello, quel “folle amore” fra padre e figlio che affronta l’autismo e diventa un film

Andrea e Franco Antonello, quel “folle amore” fra padre e figlio che affronta l’autismo e diventa un film

Il ragazzo, che ha 27anni, vive da solo, bada a se stesso e lavora, seppur seguito da educatori e telecamere. Il babbo: "Ci è servito viaggiare insieme in moto e guardare all'autismo per ciò che di buono dà e non per il molto che toglie". E con l'impresa sociale I bambini delle fate si batte perche il loro non resti un caso isolato

Rita Bartolomei
30 Aprile 2021
Franco Antonello, 60 anni e suo figlio Andrea, 27 anni

Franco Antonello, 60 anni e suo figlio Andrea, 27 anni

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Vi mostrate sorridenti e rock. “Abbiamo pianto molto. In famiglia ci siamo disperati tanto, forse troppo. A un certo punto è scattata una molla. Ci siamo detti: o continuiamo a piangere o ci diamo da fare. E abbiamo scelto di darci da fare”. La vita di Franco Antonello, 60 anni, è stata scaravoltata “da un uragano, due uragani, sette tifoni”. Poche parole di un medico dopo la visita a un bambino di tre anni: “Suo figlio probabilmente è autistico”. La diagnosi era azzeccata. È iniziata un’altra vita.
Quel piccino, Andrea, oggi di anni ne ha 27 e vive da solo (con le telecamere). Suo padre lo ha ‘accerchiato’  e non lo ha mollato più. Ha trasferito la sua cultura del lavoro, il pragmatismo di un imprenditore veneto, nella nuova sfida. Ha accettato di esplorare l’ignoto. Nel 2010 ha mollato tutto, è partito in moto con il suo ragazzo per tre mesi. Insieme hanno attraversato l’America e tanti pregiudizi. Da Miami all’Amazzonia, la pazzia dell’autismo on the road. Quel salto nel buio è diventato un best seller mondiale – ‘Se ti abbraccio non aver paura’ -, e ha ispirato il film di Salvatores, ’Tutto il mio folle amore’. Babbo e figlio sono in viaggio anche ora. Per la loro nuova missione insieme,  ‘I bambini delle fate’, impresa sociale creata nel 2005.

Andrea Antonello

“Andre, vuoi parlare tu?”. “Fare intervista papà”, non ha dubbi lui.

Franco, dove state andando?

“Nelle Marche per un nuovo progetto. In questa regione c’è uno dei nostri lavori migliori di tutta Italia, c’è il sostegno di tante aziende”.

Partiamo dalla fine. Che cosa si sbaglia sull’autismo?

“L’errore principale è quello di creare centri, gruppi, associazioni che si chiudono in se stessi. Come quando una volta chi aveva un disagio mentale veniva messo in manicomio. Adesso lo si fa in un altro modo. Più nascosto, più velato”.

Cosa serve?

“Queste cose non saranno mai risolte da nessuna istituzione, da nessun capo di Stato. Impossibile. Il segreto: trenta persone che dedicano un giorno al mese a testa a un ragazzo autistico. Invece, chiusi nei nostri telefonini, siamo tutti sensibili, mettiamo tanti like, tutti vorremmo fare qualcosa per l’inclusione ma nessuno muove un dito”.

Approccio pragmatico. Andrea è la prova vivente. Si prende cura di sé, cucina, lavora con lei nella fondazione.

“Ma lui potrebbe essere un’eccezione, un caso. Voglio parlare degli altri. Con i ’Bambini delle fate’ abbiamo portato la banca del tempo sociale in 12 città d’Italia”.

Come funziona?

“Ogni progetto sta in piedi grazie a dieci imprenditori. Ragazzi normodotati e ragazzi autistici insieme, sotto l’occhio di un tutor. Stanno nascendo amicizie incredibili. I genitori ogni volta che mi vedono piangono. E’ una cosa pratica, vera, funziona”.

Franco e Andrea Antonello in moto

Andrea è andato a vivere da solo. Miracolo d’amore?

“Non solo. Non bastano tempo e  dedizione. Ci vogliono risorse finanziarie. Io ho avuto modo di lavorare nella vita, di avere fortuna. Ma come fanno un operaio o una casalinga? Andrea vive per conto suo ma ci vuole un appartamento, ci vogliono persone che vanno a sorvegliare. Per questo vorrei dire: guardate che riusciamo ad aiutare tutti questi ragazzi se raccogliamo le risorse finanziarie con ordine e trasparenza. E le destiniamo alle associazioni. Concluderei dicendo: ci vogliono amore, tempo e soldi”.

Con Andrea vi scambiate tanti messaggi via computer. Quando gli ha chiesto, vuoi dire qualcosa sull’autonomia, le ha risposto così: “Credere che migliorare è possibile. Mostrarci continuamente azioni  da imparare. Parlare piano. Sorrisi sinceri. Aiuta il pensiero autistico a controllare ansia”.

Come immagina il prossimo obiettivo?

“Siamo ancora molto lontani dall’autonomia. Vero, lui fa tutto da solo, è bravissimo. Anche stamattina si è alzato, lavato, vestito, è venuto in ufficio in associazione e ha fatto il suo lavoro. Ma ha ancora le telecamere a casa, sennò non si sa cosa succede. L’autonomia è il traguardo più importante. Ma c’è ancora molta strada da fare. Speriamo di arrivarci il più vicino possibile”.

Guardando le foto, sorridete sempre. Sembra un modo di essere più che un modo di fare.

Sospiro. “L’impresa sociale l’ho creata dodici anni dopo la diagnosi. Quei dodici anni io e Bianca, la mamma di Andrea, li abbiamo dimenticati. Perché è meglio così. Purtroppo è la situazione di tante famiglie. Ci arrivano una ventina di mail a settimana. Le mettiamo via in una cartellina che si chiama disperazione, non sapevamo che altro nome darle. C’è da piangere tantissimo. Ma noi a un certo punto abbiamo scelto di scuoterci”.

Chi si rivolge a voi?

“Le associazioni, chi ha un buon progetto e cerca fondi. Ma soprattutto dovrebbero rivolgersi a noi tutti quegli imprenditori che desiderano fare qualcosa nel sociale. Bello, trasparente, concreto. E tutte quelle persone che hanno un’esperienza commerciale e vogliono trasformare questo lavoro, come ho fatto io”.

Andrea Antonello

Di cosa si occupava nella vita di prima?

“Avevo un’agenzia di comunicazione. Facevo riviste pubblicitarie, vendevo pubblicità alle aziende. Ora l’80% di quello che viene raccolto va al sociale”.

Quest’anno avete distribuito più di 3 milioni di euro in tutta Italia.

“Grazie a 800 imprenditori, mille attività commerciali e tremila privati. Ci versano una cifra mensile, costante e continuativa, come nelle adozioni a distanza. Con questo sostegno abbiamo raccolto un importo che ci ha permesso di sostenere 81 associazioni. Nel 2005 siamo partiti con un progetto…”.

Restando al viaggio: la strada ancora da percorrere?

“Siamo solo all’inizio. Perché il nostro impegno nel sociale è contrario a quello che è stato fatto finora. Non accettiamo donazioni, non accettiamo il 5 per mille, non vogliamo fondi pubblici, non protestiamo con le istituzioni”.

Intanto voi due insieme, belli e solari, avete ispirato libri e film.

Franco provoca Andrea: “Sì perché siamo…”. Lui completa la gag: “Numeri uni”.

S’intuisce quasi la regia di un pubblicitario. Che nell’immagine toglie la patina negativa alla sindrome. È così?

“Quando parliamo di una cosa da mangiare, mostriamo quanto è buona, non quanti conservanti ha. Nell’autismo invece si racconta sempre quanto è triste, quanto è difficile. Questo è molto negativo. Proprio perché mi occupo di comunicazione, è stata una scelta. Non voglio far vedere l’autistico in tuta da ginnastica, che mangia la minestrina e alle nove di sera è a letto. Che poi è la realtà. Ma per farlo diventare protagonista c’è bisogno di mostrare due capelloni in Harley Davidson che attraversano l’America e conoscono un sacco di donne”.

Sintesi molto rock.

“Io questi ragazzi non li voglio più chiusi nei centri, non li voglio più da soli. Li voglio in mezzo alla gente, voglio vedere che ridiamo assieme. Quindi proviamo a dare quell’immagine. Cominciamo da lì e poi vediamo il resto”.

Andrea e Franco Antonello con il simbolo dell’associazione “I bambini delle fate” che si batte per l’autonomia delle persone affette da autismo

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"Ve lo risparmio ragazzi, non è proprio il mio forte" ha risposto l
  • Aumentano, purtroppo, gli episodi di bullismo e cyberbullismo. 

I minori vittime di prepotenze nella vita reale, o che le abbiano subite qualche volta sono il 54%, contro il 44% del 2020. Un incremento significativo, di ben 10 punti, che deve spingerci a riflettere. 

Per quanto riguarda il cyber bullismo, il 31% dei minori ne è stato vittima almeno una volta, contro il 23% del 2020. Il fenomeno sembra interessare più i ragazzi delle ragazze sia nella vita reale (il 57% dei maschi è stato vittima di prepotenze, contro il 50% delle femmine) sia in quella virtuale (32% contro 29%). Nel 42% si tratta di offese verbali, ma sono frequenti anche violenze fisiche (26%) e psicologiche (26%).

Il 52% è pienamente consapevole dei reati che commette se intraprende un’azione di bullismo usando internet o lo smartphone, il 14% lo è abbastanza, ma questo non sembra un deterrente. Un 26%, invece, dichiara di non saperne nulla della gravità del reato. Intervistati, con risposte multiple, sui motivi che spingono ad avere comportamenti di prepotenza o di bullismo nei confronti degli altri, il 54% indica il body shaming. 

Mentre tra i motivi che spingono i bulli ad agire in questo modo, il 50% afferma che così dimostra di essere più forte degli altri, il 47% si diverte a mettere in ridicolo gli altri, per il 37% il bullo si comporta in questo modo perché gli piace che gli altri lo temano.

Ma come si comportano se assistono a episodi di bullismo? Alla domanda su come si comportano i compagni quando assistono a queste situazioni, solo il 34% risponde “aiutano la vittima”, un dato che nel 2020 era il 44%. 

Un calo drastico, che forse potrebbe essere spiegato con una minore empatia sociale dovuta al distanziamento sociale e al lockdown, che ha impedito ai minori di intessere relazioni profonde. Migliora, invece, la percentuale degli insegnanti che, rendendosi conto di quanto accaduto, intervengono prontamente (46% contro il 40% del 2020). Un 7%, però, dichiara che i docenti, sebbene si rendano conto di quanto succede, non fanno nulla per fermare le prepotenze.

I giovanissimi sono sempre più iperconessi, ma sono ancora in grado di legarsi?

#lucenews #giornatacontroilbullismo
  • “Non sono giorni facilissimi, il dolore va e viene: è molto difficile non pensare a qualcosa che ti fa male”. Camihawke, al secolo Camilla Boniardi, una delle influencer più amate del web si mette ancora una volta a nudo raccontando le sue insicurezze e fragilità. In un post su Instagram parla della tricodinia. 

“Se fosse tutto ok, per questa tricodinia rimarrebbe solo lo stress come unica causa e allora dovrò modificare qualcosa nella mia vita. Forse il mio corpo mi sta parlando e devo dargli ascolto."

La tricodinia è una sensazione dolorosa al cuoio capelluto, accompagnata da un bruciore o prurito profondo che, in termini medici, si chiama disestesia. Può essere transitoria o diventare cronica, a volte perfino un gesto quotidiano come pettinarsi o toccarsi i capelli può diventare molto doloroso. Molte persone – due pazienti su tre sono donne – lamentano formicolii avvertiti alla radice, tra i follicoli e il cuoio capelluto. Tra le complicazioni, la tricodinia può portare al diradamento e perfino alla caduta dei capelli. 

#lucenews #lucelanazione #camihawke #tricodinia
  • Dai record alle prime volte all’attualità, la 65esima edizione dei Grammy Awards non delude quanto a sorprese. 

Domenica 5 febbraio, in una serata sfavillante a Los Angeles, la cerimonia dell’Oscare della musica della Recording Academy ha fatto entusiasmare sia per i big presenti sia per i riconoscimenti assegnati. 

Intanto ad essere simbolicamente premiate sono state le donne e i manifestanti contro la dittatura della Repubblica Islamica: “Baraye“, l’inno delle proteste in Iran, ha vinto infatti il primo Grammy per la canzone che ispira cambiamenti sociali nel mondo. Ad annunciarlo dal palco è stata nientemeno che  la first lady americana Jill Biden.

L’autore, il 25enne Shervin Hajipour, era praticamente sconosciuto quando è stato eliminato dalla versione iraniana di American Idol, ma la sua canzone è diventata un simbolo delle proteste degli ultimi mesi in Iran evocando sentimenti di dolore, rabbia, speranza e desiderio di cambiamento. Hajipour vive nel Paese in rivolta ed è stato arrestato dopo che proprio questo brano, a settembre, è diventata virale generando oltre 40 milioni di click sul web in 48 ore.

#lucenews #grammyawards2023 #shervinhajipour #iran
Vi mostrate sorridenti e rock. “Abbiamo pianto molto. In famiglia ci siamo disperati tanto, forse troppo. A un certo punto è scattata una molla. Ci siamo detti: o continuiamo a piangere o ci diamo da fare. E abbiamo scelto di darci da fare”. La vita di Franco Antonello, 60 anni, è stata scaravoltata “da un uragano, due uragani, sette tifoni”. Poche parole di un medico dopo la visita a un bambino di tre anni: “Suo figlio probabilmente è autistico”. La diagnosi era azzeccata. È iniziata un’altra vita. Quel piccino, Andrea, oggi di anni ne ha 27 e vive da solo (con le telecamere). Suo padre lo ha ‘accerchiato’  e non lo ha mollato più. Ha trasferito la sua cultura del lavoro, il pragmatismo di un imprenditore veneto, nella nuova sfida. Ha accettato di esplorare l’ignoto. Nel 2010 ha mollato tutto, è partito in moto con il suo ragazzo per tre mesi. Insieme hanno attraversato l’America e tanti pregiudizi. Da Miami all’Amazzonia, la pazzia dell’autismo on the road. Quel salto nel buio è diventato un best seller mondiale - ‘Se ti abbraccio non aver paura’ -, e ha ispirato il film di Salvatores, ’Tutto il mio folle amore’. Babbo e figlio sono in viaggio anche ora. Per la loro nuova missione insieme,  ‘I bambini delle fate’, impresa sociale creata nel 2005.
Andrea Antonello

"Andre, vuoi parlare tu?". “Fare intervista papà”, non ha dubbi lui.

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Franco e Andrea Antonello in moto
Andrea è andato a vivere da solo. Miracolo d’amore? “Non solo. Non bastano tempo e  dedizione. Ci vogliono risorse finanziarie. Io ho avuto modo di lavorare nella vita, di avere fortuna. Ma come fanno un operaio o una casalinga? Andrea vive per conto suo ma ci vuole un appartamento, ci vogliono persone che vanno a sorvegliare. Per questo vorrei dire: guardate che riusciamo ad aiutare tutti questi ragazzi se raccogliamo le risorse finanziarie con ordine e trasparenza. E le destiniamo alle associazioni. Concluderei dicendo: ci vogliono amore, tempo e soldi”. Con Andrea vi scambiate tanti messaggi via computer. Quando gli ha chiesto, vuoi dire qualcosa sull’autonomia, le ha risposto così: “Credere che migliorare è possibile. Mostrarci continuamente azioni  da imparare. Parlare piano. Sorrisi sinceri. Aiuta il pensiero autistico a controllare ansia”. Come immagina il prossimo obiettivo? “Siamo ancora molto lontani dall’autonomia. Vero, lui fa tutto da solo, è bravissimo. Anche stamattina si è alzato, lavato, vestito, è venuto in ufficio in associazione e ha fatto il suo lavoro. Ma ha ancora le telecamere a casa, sennò non si sa cosa succede. L’autonomia è il traguardo più importante. Ma c’è ancora molta strada da fare. Speriamo di arrivarci il più vicino possibile”. Guardando le foto, sorridete sempre. Sembra un modo di essere più che un modo di fare. Sospiro. “L'impresa sociale l’ho creata dodici anni dopo la diagnosi. Quei dodici anni io e Bianca, la mamma di Andrea, li abbiamo dimenticati. Perché è meglio così. Purtroppo è la situazione di tante famiglie. Ci arrivano una ventina di mail a settimana. Le mettiamo via in una cartellina che si chiama disperazione, non sapevamo che altro nome darle. C’è da piangere tantissimo. Ma noi a un certo punto abbiamo scelto di scuoterci”. Chi si rivolge a voi? “Le associazioni, chi ha un buon progetto e cerca fondi. Ma soprattutto dovrebbero rivolgersi a noi tutti quegli imprenditori che desiderano fare qualcosa nel sociale. Bello, trasparente, concreto. E tutte quelle persone che hanno un’esperienza commerciale e vogliono trasformare questo lavoro, come ho fatto io”.
Andrea Antonello
Di cosa si occupava nella vita di prima? “Avevo un’agenzia di comunicazione. Facevo riviste pubblicitarie, vendevo pubblicità alle aziende. Ora l’80% di quello che viene raccolto va al sociale”. Quest’anno avete distribuito più di 3 milioni di euro in tutta Italia. “Grazie a 800 imprenditori, mille attività commerciali e tremila privati. Ci versano una cifra mensile, costante e continuativa, come nelle adozioni a distanza. Con questo sostegno abbiamo raccolto un importo che ci ha permesso di sostenere 81 associazioni. Nel 2005 siamo partiti con un progetto...”. Restando al viaggio: la strada ancora da percorrere? “Siamo solo all'inizio. Perché il nostro impegno nel sociale è contrario a quello che è stato fatto finora. Non accettiamo donazioni, non accettiamo il 5 per mille, non vogliamo fondi pubblici, non protestiamo con le istituzioni”. Intanto voi due insieme, belli e solari, avete ispirato libri e film. Franco provoca Andrea: "Sì perché siamo...". Lui completa la gag: "Numeri uni”. S’intuisce quasi la regia di un pubblicitario. Che nell’immagine toglie la patina negativa alla sindrome. È così? “Quando parliamo di una cosa da mangiare, mostriamo quanto è buona, non quanti conservanti ha. Nell’autismo invece si racconta sempre quanto è triste, quanto è difficile. Questo è molto negativo. Proprio perché mi occupo di comunicazione, è stata una scelta. Non voglio far vedere l’autistico in tuta da ginnastica, che mangia la minestrina e alle nove di sera è a letto. Che poi è la realtà. Ma per farlo diventare protagonista c’è bisogno di mostrare due capelloni in Harley Davidson che attraversano l’America e conoscono un sacco di donne”. Sintesi molto rock. “Io questi ragazzi non li voglio più chiusi nei centri, non li voglio più da soli. Li voglio in mezzo alla gente, voglio vedere che ridiamo assieme. Quindi proviamo a dare quell’immagine. Cominciamo da lì e poi vediamo il resto”.
Andrea e Franco Antonello con il simbolo dell'associazione "I bambini delle fate" che si batte per l'autonomia delle persone affette da autismo
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