Alla Biennale di Venezia, intitolata a Il latte dei sogni, in omaggio a Leonora Carrington, per la prima volta ha avuto un largo spazio in Italia l’opera di Ovartaci, al secolo Louis Marcussen (1894-1985), artista della trasformazione e della metamorfosi. Nella natìa cittadina di Ebeltoft, in Danimarca, si era fatto notare per l’irrequietezza all’interno della sua facoltosa famiglia. Passava dallo yoga, alla letteratura, all’arte, sviluppando un talento notevole come pittore naturalista. Poi, a 19 anni la scelta di andare dall’altra parte del mondo, in Argentina, dove si trova alla fame, sperduto nelle strade della pampa, continuando a disegnare il paesaggio intorno, incontrando gli indigeni e provando tutte le droghe possibili, per uscire da se stesso e frequentare altre dimensioni. Al ritorno, in pessime condizioni, la famiglia lo mette nel manicomio di Risskov. Presto gli viene diagnosticata la schizofrenia: per 56 anni le mura della sua stanza saranno quelle di un carcere da cui sogna, nei suoi dipinti, di fuggire.
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