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Ovartaci, l'artista della metamorfosi, nella mostra da outsider alla Biennale di Venezia

Danese, è nato uomo, ha scelto di diventare donna e firmare così i suoi lavori più famosi. Poi ha cambiato di nuovo sesso, tornando uomo

di LUCA SCARLINI -
6 agosto 2022
Ovartaci (museo di Aarhus)

Ovartaci (museo di Aarhus)

Alla Biennale di Venezia, intitolata a Il latte dei sogni, in omaggio a Leonora Carrington, per la prima volta ha avuto un largo spazio in Italia l’opera di Ovartaci, al secolo Louis Marcussen (1894-1985), artista della trasformazione e della metamorfosi. Nella natìa cittadina di Ebeltoft, in Danimarca, si era fatto notare per l’irrequietezza all’interno della sua facoltosa famiglia. Passava dallo yoga, alla letteratura, all’arte, sviluppando un talento notevole come pittore naturalista. Poi, a 19 anni la scelta di andare dall’altra parte del mondo, in Argentina, dove si trova alla fame, sperduto nelle strade della pampa, continuando a disegnare il paesaggio intorno, incontrando gli indigeni e provando tutte le droghe possibili, per uscire da se stesso e frequentare altre dimensioni. Al ritorno, in pessime condizioni, la famiglia lo mette nel manicomio di Risskov. Presto gli viene diagnosticata la schizofrenia: per 56 anni le mura della sua stanza saranno quelle di un carcere da cui sogna, nei suoi dipinti, di fuggire.
Il vecchio edificio principale dell'ospedale di Risskov, senza data, stampa a colori da foto dell'originale, Collezione privata © Museum Ovartaci, Århus

Il vecchio edificio principale dell'ospedale di Risskov, senza data, stampa a colori da foto dell'originale, Collezione privata © Museum Ovartaci, Århus

Capo matto: da uomo a donna e di nuovo uomo

Ovartaci è il nome che sceglie, dal significato di “capo matto”, con un gioco di parole che prende anche in giro i medici che non sanno come prenderlo. Vuole a tutti i costi una riassegnazione di genere, si definisce al femminile. Ottiene di essere castrato, ma poiché il primario rifiuta di amputargli il pene, cerca di provvedere da sé, con un'azione violenta, che infine ottiene il riconoscimento del suo desiderio. La fluidità però era il suo destino: dopo avere ottenuto l’identità che desiderava, afferma negli ultimi anni la necessità per lui assoluta di tornare al suo sé maschile, cambiando di nuovo, mettendo in crisi tutte le categorie dell’identità. 

La sua opera inquietante nei musei

Ovartaci con le sue bambole giganti

Ovartaci con le sue bambole giganti (Museo Ovartaci, Århus)

Nel frattempo, continue, si presentano le visioni, in cui appaiono creature antiche, che potevano provenire dall’antico Egitto, tra essere umano e creatura felina, che comparivano nelle più diverse ambientazioni. Talvolta sentiva il bisogno di dare a quelle fattezze una maggiore tridimensionalità: per questo creava bambole di grandi dimensioni, di cui cuciva gli abiti. Spesso gli ospiti della sua immaginazione erano collocati in antichi scenari pagani, in lontane memorie di civiltà dimenticate. Il manicomio con i suoi medici è stato oggetto di molti suoi dipinti: in uno compariva un elicottero, mezzo perfetto di fuga verso altre dimensioni. Nel 1979 la sua opera, per la prima volta, venne portata in un museo: nella importante mostra Outsider, che dava spazio a figure non prevedibili del panorama artistico, nel museo Lousiana di Humlebaek, vicino a Copenaghen. Quella presentazione, che ebbe una notevole forza, sembra aver messo a tacere le sue visioni, lasciando infine Ovartaci, dopo una intera vita di agitazione, nelle braccia della quiete. Alla sua opera inquietante è dedicato un museo a Aarhus, città della Danimarca, in cui spicca la sua fotografia più nota: in vestaglia, con i capelli a caschetto, e un bel sorriso.