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Home » Spettacolo » Dai reparti di psichiatria ai palcoscenici di mezza Italia: la rivoluzione della compagnia teatrale Sognando

Dai reparti di psichiatria ai palcoscenici di mezza Italia: la rivoluzione della compagnia teatrale Sognando

L'obiettivo dell'iniziativa, nata agli albori del XXI secolo, era avvicinare il pubblico, la gente comune, alla questione dei disagi mentali, abbattendo stereotipi e pregiudizi attraverso la bravura dei pazienti – pardon attori! – che sul palco regalano performance incredibili, da professionisti

Maria Nudi
24 Maggio 2022
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Ogni giorno vivono il disagio mentale, ma quando salgono sul palco sono attori che strappano al pubblico applausi, consensi e sorrisi. È la magia del teatro che da anni, oltre 20 anni, vivono i protagonisti della Compagnia Teatrale Sognando. Giocando con le parole, la compagnia stessa è un sogno diventato realtà. Era la primavera dell’ormai lontano 1999, Anna Maria Glavina era caposala di psichiatria del Noa (l’ospedale civile apuane, ndr) a Massa e il suo incarico delicato e complesso era esteso anche al servizio territoriale. Lei stava a diretto contatto con i pazienti psichiatrici, pazienti che allora era considerati persone difficili, problematiche, la cui mente era ben lontano dagli standard di quella che era considerata la “normalità”. Persone delle quali spesso si dimenticano sentimenti ed emozioni, per considerare solo la patologia con la quale dovevano convivere.

La compagnia teatrale sognando è composta da 18 attori che sono anche pazienti psichiatrici

Creare un ponte attraverso il teatro

Anna Maria Glavina
Anna Maria Glavina è stata l’ideatrice della compagnia e dell’associazione omonima quando lavorava all’ospedale Noa di Massa

Ad Anna Maria e al primario Remigio Raimondi, scomparso da alcuni anni, con la collaborazione di alcuni operatori e volontari, venne un’intuizione che, negli anni seguenti, si è rivelata un’autentica scommessa: utilizzare il teatro per avvicinare la gente comune alla questione del disagio mentale, per creare un ponte di collegamento con quei pazienti. Una rivoluzione copernicana, allora, che da Massa ha segnato un gol e continua a essere ancora oggi modalità di cura dai risultati enormi. Il teatro e il palcoscenico come mezzo per valorizzare quelle persone “speciali” nei confronti delle quali il muro del pregiudizio era altissimo e sembrava insormontabile. È nato così il progetto innovativo che è al Compagnia Teatrale “Sognando”e l’associazione omonima. Compagnia e associazione che oggi sono una realtà feconda che è riuscita cancellare pregiudizi e preconcetti verso quei pazienti che quando calcano le scene sono solo attori. Protagonisti di piece teatrali degli autori più ostici e significativi del panorama teatrale italiano.

Remigio Raimondi
Tra gli ‘autori’ della rivoluzione della Compagnia Sognando anche il primario Remigio Raimondi scomparso alcuni anni fa

La tournee e i prossimi sogni nel cassetto

Oggi la madrina di questa rivoluzione battezzata a Massa Carrara è in pensione, il primario non c’è più, ma da dovunque sia sorride felice di questo progetto. Ma restano la Compagnia e la Associazione, composta dai pazienti, dai familiari, dai volontari, un centinaio di persone. Ma soprattutto ci sono loro, gli attori. Un gruppo di circa 18 malati, pardon attori, dei quali il più giovane ha 19 anni, mentre alcuni sono gli stessi del progetto originario. L’ultima esibizione è stata al Teatro dei Servi, a Massa, dove hanno portato in scena ‘Sogno di una notte di mezza sbornia‘, di Eduardo De Filippo, che tornerà sul palco massese i primi di luglio. Ma che avrà repliche anche in altri palcoscenici, non escluso anche a Firenze. “Siamo stati nei teatri di mezza Italia – racconta con un pizzico di comprensibile orgoglio Anna Maria Glavina – ci ha fermato solo la pandemia. Per il resto saremo nelle prossime settimane in altre località. Abbiamo una convenzione con l’Asl e i nostri attori percepiscono una borsa lavoro“. È stato un percorso difficile e impegnativo che ha tagliato però un traguardo importante. “Il sogno nel cassetto? Una sede. Che oggi è a casa mia”, racconta Glavina. “Abbiamo scelto come nome della compagnia la canzone di Don Backy che trattava, in un modo delicato, il disagio mentale”. E “Sognando” non è più un sogno. È teatro ed è il sorriso che regalano questi attori speciali al loro pubblico.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Ogni giorno vivono il disagio mentale, ma quando salgono sul palco sono attori che strappano al pubblico applausi, consensi e sorrisi. È la magia del teatro che da anni, oltre 20 anni, vivono i protagonisti della Compagnia Teatrale Sognando. Giocando con le parole, la compagnia stessa è un sogno diventato realtà. Era la primavera dell'ormai lontano 1999, Anna Maria Glavina era caposala di psichiatria del Noa (l'ospedale civile apuane, ndr) a Massa e il suo incarico delicato e complesso era esteso anche al servizio territoriale. Lei stava a diretto contatto con i pazienti psichiatrici, pazienti che allora era considerati persone difficili, problematiche, la cui mente era ben lontano dagli standard di quella che era considerata la "normalità". Persone delle quali spesso si dimenticano sentimenti ed emozioni, per considerare solo la patologia con la quale dovevano convivere.
La compagnia teatrale sognando è composta da 18 attori che sono anche pazienti psichiatrici

Creare un ponte attraverso il teatro

Anna Maria Glavina
Anna Maria Glavina è stata l'ideatrice della compagnia e dell'associazione omonima quando lavorava all'ospedale Noa di Massa
Ad Anna Maria e al primario Remigio Raimondi, scomparso da alcuni anni, con la collaborazione di alcuni operatori e volontari, venne un'intuizione che, negli anni seguenti, si è rivelata un'autentica scommessa: utilizzare il teatro per avvicinare la gente comune alla questione del disagio mentale, per creare un ponte di collegamento con quei pazienti. Una rivoluzione copernicana, allora, che da Massa ha segnato un gol e continua a essere ancora oggi modalità di cura dai risultati enormi. Il teatro e il palcoscenico come mezzo per valorizzare quelle persone "speciali" nei confronti delle quali il muro del pregiudizio era altissimo e sembrava insormontabile. È nato così il progetto innovativo che è al Compagnia Teatrale "Sognando"e l'associazione omonima. Compagnia e associazione che oggi sono una realtà feconda che è riuscita cancellare pregiudizi e preconcetti verso quei pazienti che quando calcano le scene sono solo attori. Protagonisti di piece teatrali degli autori più ostici e significativi del panorama teatrale italiano.
Remigio Raimondi
Tra gli 'autori' della rivoluzione della Compagnia Sognando anche il primario Remigio Raimondi scomparso alcuni anni fa

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Oggi la madrina di questa rivoluzione battezzata a Massa Carrara è in pensione, il primario non c'è più, ma da dovunque sia sorride felice di questo progetto. Ma restano la Compagnia e la Associazione, composta dai pazienti, dai familiari, dai volontari, un centinaio di persone. Ma soprattutto ci sono loro, gli attori. Un gruppo di circa 18 malati, pardon attori, dei quali il più giovane ha 19 anni, mentre alcuni sono gli stessi del progetto originario. L'ultima esibizione è stata al Teatro dei Servi, a Massa, dove hanno portato in scena 'Sogno di una notte di mezza sbornia', di Eduardo De Filippo, che tornerà sul palco massese i primi di luglio. Ma che avrà repliche anche in altri palcoscenici, non escluso anche a Firenze. "Siamo stati nei teatri di mezza Italia – racconta con un pizzico di comprensibile orgoglio Anna Maria Glavina – ci ha fermato solo la pandemia. Per il resto saremo nelle prossime settimane in altre località. Abbiamo una convenzione con l'Asl e i nostri attori percepiscono una borsa lavoro". È stato un percorso difficile e impegnativo che ha tagliato però un traguardo importante. "Il sogno nel cassetto? Una sede. Che oggi è a casa mia", racconta Glavina. "Abbiamo scelto come nome della compagnia la canzone di Don Backy che trattava, in un modo delicato, il disagio mentale". E "Sognando" non è più un sogno. È teatro ed è il sorriso che regalano questi attori speciali al loro pubblico.
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