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Home » Spettacolo » Il compositore Gabriel Prokofiev: “Nella mia musica anche i cambiamenti del rapporto tra uomo e natura”

Il compositore Gabriel Prokofiev: “Nella mia musica anche i cambiamenti del rapporto tra uomo e natura”

Il nipote del celeberrimo Sergej ospite dell'Emilia-Romagna Festival. E con il suo "Breaking Screens" abbatte le barriere tra classica ed elettronica

Lorella Bolelli
7 Settembre 2022
Gabriel Prokofiev è un compositore, produttore, Dj e direttore artistico russo-britannico (Facebook)

Gabriel Prokofiev è un compositore, produttore, Dj e direttore artistico russo-britannico (Facebook)

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Non sempre essere figlio o nipote d’arte può agevolare l’approccio con la carriera o essere elemento facilitatore per farsi conoscere. Anzi, può anche succedere che si tema possa essere un ostacolo e scegliere un nome d’arte o semplicemente di omettere il cognome per non rischiare confronti a distanza, commenti influenzati dalla parentela o imbarazzanti aspettative poi vanificate magari da risultati non all’altezza. È quanto successo alla famiglia Prokofiev. Oleg, il figlio del grande Sergej, scultore e pittore, negli ultimi anni della sua vita cominciò a firmare i suoi quadri solo col nome di battesimo, adducendo che ciò gli trasmetteva un rinnovato senso di libertà. Il nipote Gabriel che quel nonno, grande compositore del ‘900, non l’ha nemmeno mai conosciuto essendo nato a Londra nel 1975, ovvero 22 anni dopo la scomparsa dell’avo, morto il 5 marzo 1953, ha fatto lo stesso. “Quel cognome mi crea apprensione avendo io stesso intrapreso una carriera nella musica. Infatti quando iniziai l’università, conscio delle aspettative che avrebbe creato il mio cognome, scelsi Filosofia. E una volta finiti gli studi cominciai con lo pseudonimo di ‘Olegavich’ per liberarmi dalle pressioni del mio vero cognome. Però poi quando mi resi conto che avevo raggiunto una certa reputazione come compositore, decisi di non nascondere più la mia identità. Perché del mio albero genealogico sono orgoglioso, anzi ho tratto un sacco di ispirazione e di incoraggiamenti dal lavoro di mio nonno e dalle sue vicende di vita”. Ed è col suo nome e cognome vero che si presenta mercoledì 7 a Forlì al cospetto del pubblico italiano con le sue imprevedibili tracce e rotte musicali che confluiscono nella prima esecuzione integrale italiana di “Breaking Screens”, il suo nuovo progetto musicale che tiene insieme pop, dance, classica ed elettronica.

Gabriel Prokofiev (nato il 6 gennaio 1975) è un compositore, produttore, DJ e direttore artistico russo-britannico (PH: Malihe Norouzi)

Come mai un nipote di Prokofiev ha deciso di rivoluzionare il vocabolario di famiglia buttandosi sulla musica elettronica?
“Sono stato bambino e ragazzo negli anni Ottanta e sono cresciuto ascoltando l’electro-pop. Suonavo anche in una band e all’università di Birmingham sono venuto a contatto con la musica elettroacustica, l’approccio del classico contemporaneo con la musica elettronica. Ciò ha determinato un’apertura personale verso un universo del tutto nuovo che mi ha consentito di capire che con l’elettronica potevo potenzialmente creare qualsiasi tipo di suono avessi immaginato. Penso che ogni musicista possa trovare ispirazione e sollecitazioni nella musica elettronica. Comunque dopo alcuni anni di questo studio, l’ho completamente rigettato per la frustrazione e la depressione di passare intere ore di solitudine in studio senza possibilità di esibizioni dal vivo. E mi sono buttato nella composizione per orchestra, rendendomi conto dell’ampiezza e della ricchezza del suono che può esprimere, relegando l’elettronica alla stretta necessità, sapendo comunque che se ben usata, può arricchire d’immaginazione la palette dei suoni”.

Pur essendo cresciuto senza il culto del nonno, ha comunque ricevuto da suo padre un’infarinatura della grandezza dell’avo?
“Come detto, quando mio padre ha cercato di crearsi una carriera autonoma togliendosi di dosso l’ombra del famoso genitore, non mi ha parlato granché di lui, ma mi ha fatto conoscere concerti, balletti e opere, così ne ho conosciuto piuttosto bene la dimensione musicale che è divenuta parte integrante della mia formazione musicale. All’apparenza mio padre aveva un’indole totalmente diversa dal nonno: era piuttosto timido e schivo, gentile e per nulla sarcastico e tagliente come’era, invece, Sergej. Però dal punto di vista professionale c’erano tanti punti in comune a cominciare dalla produttività, dall’etica. E pur andando ogni giorno nel suo studio per dipingere o scolpire, tornava a casa per l’ora del tè, esattamente come il nonno. Come pure l’uso del colore e uno spiccato senso del ritmo avvicinano l’arte visuale di mio padre a quella musicale di Sergej”.

Gabriel Prokofiev è ospite dell'Emilia-Romagna Festival
Gabriel Prokofiev è ospite dell’Emilia-Romagna Festival

Nella sua identità musicale c’è qualche traccia del suo illustre antenato?
“La gente commenta spesso che tra me e il nonno c’è una profonda differenza. Ma io in realtà ci vedo alcune similitudini. Come lui amo il senso del ritmo come pure la melodia, un aspetto che non manca mai nelle mie composizioni e ci sono momenti in cui credo si possano rintracciare elementi del suo stile. Tendo però a censurarli volutamente durante il processo creativo perché voglio esaltare l’autenticità della mia voce” .

Quali composizioni ama di più del nonno?
“La sua musica è il suono per me più familiare e quando lo ascolto mi sento proprio a casa. Mi piace l’energia che prorompe dalle sue note, mi piacciono le sue brillanti melodie e quando sono piazzate in contrasto con inaspettati cambi armonici”.

Da quali elementi è nutrito il suo immaginario musicale?
“Ritmo, energia, le deviazioni sincopate, i colori ricchi e contrastanti, un senso drammaturgico che alterni momenti di intimità e malinconia”.

Con quali musicisti si sente più in sintonia?
“Shostakovich, Schnittke, Messiaen, Raymond Scott, Wendy Carlos, Herbie Hancock, Captain Beefheart, Boosty Collins, Laurie Anderson, Jonty Harrison, Javier Alvarez, Bobby Digital, Aphex Twin, Acen, Mr. Oizo, Jeff Mills, Dr. Dre, Dj Zinc. E ovviamente mio nonno”.

Gabriel Prokofiev è il nipote del celeberrimo compositore russo Sergej

Cita un dj tra i suoi miti, anche lei lo è. Cosa guida la sua mano alla console?
“Non la consideravo una professione importante perché vedevo i dj come gente che suonava musica di altri. Poi nel 2004 decisi di fare un concerto classico in un night-club perché desideravo portare la musica classica in un contesto informale, quotidiano, per raggiungere nuovo pubblico. Avevo però bisogno di un dj che mettesse musica tra un set classico e l’altro ma non ne ho trovato nessuno e così l’ho fatto io. Negli anni l’ho ripetuto in diverse circostanze e mi serve spesso per creare un’atmosfera, per condurre la sala a muoversi su suoni inusuali e non convenzionali, per rompere con l’ordinario”.

Qual è il suo background di formazione musicale?
“I miei genitori sono stati entrambi dediti all’arte visuale per cui non ho ricevuto da loro alcun input in questo senso, però ho cominciato le lezioni di piano a 5 anni e ho suonato dai dieci anni in poi il corno in orchestra. Ma i miei inizi come compositore datano sempre dai dieci anni quando con un compagno di classe scrivevo canzoni pop. Ci incontravamo tutte le settimane per scrivere a mo’ di divertimento e a 12 anni formammo una band con altri tre amici con cui ci esibivamo nei locali dei dintorni di Londra. Fu quest’esperienza a convincermi di voler fare il compositore ma completamente indipendente dal mio predecessore e dalla tradizione di famiglia. Contemporaneamente ho studiato musica classica, mi sono laureato e ho preso un master in musica alle università di Birmingham e York, con specializzazione nella Elettroacustica”.

Quando compone pensa alla presa che avrà sul pubblico o è totalmente concentrato sulla dimensione creativa?
“Se la musica è onesta, ispirata e ha integrità si connette automaticamente col pubblico. È pericoloso e dannoso comporre pensando al successo. Ma una volta che la creazione è compiuta, ovviamente il tuo lavoro deve raggiungere il pubblico solo che in un pianeta popolato da 8 miliardi di persone è una bella lotta raggiungere l’audience. Così benché io ami spendere tutte le mie energie per comporre, mi sono reso conto che devo impiegarne altrettante per portare la mia musica dallo studio alla gente, al mondo reale. Mi ispiro molto a musicisti come Beethoven che non era solo un compositore ma un produttore che portava tutti i musicisti che conosceva a eventi in cui far conoscere il suo lavoro”.

Per Prokofiev “Se la musica è onesta si connette automaticamente col pubblico”

La sua musica è un linguaggio d’elite o solo per iniziati?
“Assolutamente no. Il meraviglioso potere della musica sta proprio nel poter raggiungere tutti senza richiedere conoscenze particolari, né badare alle lingue parlate o ai luoghi di provenienza. In ogni caso se tutti ricevessero un’educazione musicale, ogni tipo di elitarismo sparirebbe e la musica sarebbe giudicata per la sua qualità”.

È una delle battaglie sociali in cui s’impegna?
“I temi sociali che più mi coinvolgono fin da giovane sono il traffico d’armi, il disarmo nucleare e l’energia pulita. Ho sempre usato la bicicletta come mezzo di locomozione privilegiato, porto i miei figli a scuola su una cargo bike e quattro anni fa ho cambiato l’auto con una elettrica. Nel 2020 composi, in risposta alla Pastorale di Beethoven, ‘Pastoral Reflections’ dove esploravo i cambiamenti intervenuti nel nostro rapporto con la natura rispetto all’epoca di Beethoven. E due movimenti di quella composizione entrano anche nel concerto per Emilia Romagna Festival”.

Secondo i suoi criteri di giudizio cosa rende un uomo fortunato?
“Per costruire una carriera nel campo della musica, la passione è fondamentale perché serve una forte motivazione per superare i vari ostacoli. Altrettanto importante è l’ottimismo per focalizzarsi sugli eventi positivi e aprire la mente, rendendola pronta ad accogliere Lady Fortuna quando appare. Invecchiando mi accorgo anche dell’importanza dell’esperienza: ogni anno che passa, vediamo e sentiamo il mondo e l’arte con maggiore profondità e consapevolezza”.

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«Gli squali che si aggirano nella vasca di cui parlo sono le mie insicurezze e le mie ansie. Il peso delle aspettative, anche se non provo sensi di inadeguatezza verso quel che faccio. I pescecani basta conoscerli per sapere che non sono tutti pericolosi.»

 Intervista a cura di Andrea Spinelli ✍

#lucenews #qn #ariete #sanremo2023
  • Più luce, meno stelle. Un paradosso, se ci pensate. Più illuminiamo le nostre città, più lampioni, fari, led, laser puntiamo sulla terra, meno stelle e porzioni di cielo vediamo. 

Accade perché, quasi senza accorgercene, di anno in anno, cancelliamo dalla nostra vista qualche decina di quei 4.500 puntini luminosi che in condizioni ottimali dovremmo riuscire a vedere la notte, considerato che il cielo risulta popolato da circa 9.000 stelle, di cui ciascuno di noi può osservare solo la metà per volta, ovvero quelle del proprio emisfero. 

In realtà, già oggi, proprio per colpa dell’inquinamento luminoso, ne vediamo solo poche centinaia. E tutto lascia pensare che questa cifra si ridurrà ulteriormente, con un ritmo molto rapido. Al punto tale che, in pochi anni, la costellazione di Orione, potrebbe perdere la sua caratteristica ‘cintura’.

Secondo quanto risulta da uno studio pubblicato su “Science”, basato sulle osservazioni di oltre 50mila citizen scientist, solo tra il 2011 e il 2022, ogni anno il cielo in tutto il Pianeta è diventato in media il 9,6% più luminoso, con una forchetta di valori che non supera il 10% ma non scende mai sotto il 7%. Più di quanto percepito finora dai satelliti preposti a monitorare la quantità di luce nel cielo notturno. Secondo le misurazioni effettuate da questi ultimi infatti, tra 1992 e 2017 il cielo notturno è diventato più luminoso di meno dell’1,6% annuo.

“In un periodo di 18 anni, questo tasso di cambiamento aumenterebbe la luminosità del cielo di oltre un fattore 4”, scrivono i ricercatori del Deutsches GeoForschungs Zentrum di Potsdam, in Germania, e del National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory di Tucson, negli Stati Uniti. Una località con 250 stelle visibili, quindi, vedrebbe ridursi il numero a 100 stelle visibili. 

Il pericolo più che fondato, a questo punto, è che di questo passo inizieranno a scomparire dalla nostra vista anche le costellazioni più luminose, comprese quelle che tuti sono in grado di individuare con estrema facilità.

L
  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
Non sempre essere figlio o nipote d'arte può agevolare l'approccio con la carriera o essere elemento facilitatore per farsi conoscere. Anzi, può anche succedere che si tema possa essere un ostacolo e scegliere un nome d'arte o semplicemente di omettere il cognome per non rischiare confronti a distanza, commenti influenzati dalla parentela o imbarazzanti aspettative poi vanificate magari da risultati non all'altezza. È quanto successo alla famiglia Prokofiev. Oleg, il figlio del grande Sergej, scultore e pittore, negli ultimi anni della sua vita cominciò a firmare i suoi quadri solo col nome di battesimo, adducendo che ciò gli trasmetteva un rinnovato senso di libertà. Il nipote Gabriel che quel nonno, grande compositore del '900, non l'ha nemmeno mai conosciuto essendo nato a Londra nel 1975, ovvero 22 anni dopo la scomparsa dell'avo, morto il 5 marzo 1953, ha fatto lo stesso. “Quel cognome mi crea apprensione avendo io stesso intrapreso una carriera nella musica. Infatti quando iniziai l'università, conscio delle aspettative che avrebbe creato il mio cognome, scelsi Filosofia. E una volta finiti gli studi cominciai con lo pseudonimo di 'Olegavich' per liberarmi dalle pressioni del mio vero cognome. Però poi quando mi resi conto che avevo raggiunto una certa reputazione come compositore, decisi di non nascondere più la mia identità. Perché del mio albero genealogico sono orgoglioso, anzi ho tratto un sacco di ispirazione e di incoraggiamenti dal lavoro di mio nonno e dalle sue vicende di vita”. Ed è col suo nome e cognome vero che si presenta mercoledì 7 a Forlì al cospetto del pubblico italiano con le sue imprevedibili tracce e rotte musicali che confluiscono nella prima esecuzione integrale italiana di “Breaking Screens”, il suo nuovo progetto musicale che tiene insieme pop, dance, classica ed elettronica.
Gabriel Prokofiev (nato il 6 gennaio 1975) è un compositore, produttore, DJ e direttore artistico russo-britannico (PH: Malihe Norouzi)
Come mai un nipote di Prokofiev ha deciso di rivoluzionare il vocabolario di famiglia buttandosi sulla musica elettronica? “Sono stato bambino e ragazzo negli anni Ottanta e sono cresciuto ascoltando l'electro-pop. Suonavo anche in una band e all'università di Birmingham sono venuto a contatto con la musica elettroacustica, l'approccio del classico contemporaneo con la musica elettronica. Ciò ha determinato un'apertura personale verso un universo del tutto nuovo che mi ha consentito di capire che con l'elettronica potevo potenzialmente creare qualsiasi tipo di suono avessi immaginato. Penso che ogni musicista possa trovare ispirazione e sollecitazioni nella musica elettronica. Comunque dopo alcuni anni di questo studio, l'ho completamente rigettato per la frustrazione e la depressione di passare intere ore di solitudine in studio senza possibilità di esibizioni dal vivo. E mi sono buttato nella composizione per orchestra, rendendomi conto dell'ampiezza e della ricchezza del suono che può esprimere, relegando l'elettronica alla stretta necessità, sapendo comunque che se ben usata, può arricchire d'immaginazione la palette dei suoni”. Pur essendo cresciuto senza il culto del nonno, ha comunque ricevuto da suo padre un'infarinatura della grandezza dell'avo? “Come detto, quando mio padre ha cercato di crearsi una carriera autonoma togliendosi di dosso l'ombra del famoso genitore, non mi ha parlato granché di lui, ma mi ha fatto conoscere concerti, balletti e opere, così ne ho conosciuto piuttosto bene la dimensione musicale che è divenuta parte integrante della mia formazione musicale. All'apparenza mio padre aveva un'indole totalmente diversa dal nonno: era piuttosto timido e schivo, gentile e per nulla sarcastico e tagliente come'era, invece, Sergej. Però dal punto di vista professionale c'erano tanti punti in comune a cominciare dalla produttività, dall'etica. E pur andando ogni giorno nel suo studio per dipingere o scolpire, tornava a casa per l'ora del tè, esattamente come il nonno. Come pure l'uso del colore e uno spiccato senso del ritmo avvicinano l'arte visuale di mio padre a quella musicale di Sergej”.
Gabriel Prokofiev è ospite dell'Emilia-Romagna Festival
Gabriel Prokofiev è ospite dell'Emilia-Romagna Festival
Nella sua identità musicale c'è qualche traccia del suo illustre antenato? “La gente commenta spesso che tra me e il nonno c'è una profonda differenza. Ma io in realtà ci vedo alcune similitudini. Come lui amo il senso del ritmo come pure la melodia, un aspetto che non manca mai nelle mie composizioni e ci sono momenti in cui credo si possano rintracciare elementi del suo stile. Tendo però a censurarli volutamente durante il processo creativo perché voglio esaltare l'autenticità della mia voce” . Quali composizioni ama di più del nonno? “La sua musica è il suono per me più familiare e quando lo ascolto mi sento proprio a casa. Mi piace l'energia che prorompe dalle sue note, mi piacciono le sue brillanti melodie e quando sono piazzate in contrasto con inaspettati cambi armonici”. Da quali elementi è nutrito il suo immaginario musicale? “Ritmo, energia, le deviazioni sincopate, i colori ricchi e contrastanti, un senso drammaturgico che alterni momenti di intimità e malinconia”. Con quali musicisti si sente più in sintonia? “Shostakovich, Schnittke, Messiaen, Raymond Scott, Wendy Carlos, Herbie Hancock, Captain Beefheart, Boosty Collins, Laurie Anderson, Jonty Harrison, Javier Alvarez, Bobby Digital, Aphex Twin, Acen, Mr. Oizo, Jeff Mills, Dr. Dre, Dj Zinc. E ovviamente mio nonno”.
Gabriel Prokofiev è il nipote del celeberrimo compositore russo Sergej
Cita un dj tra i suoi miti, anche lei lo è. Cosa guida la sua mano alla console? “Non la consideravo una professione importante perché vedevo i dj come gente che suonava musica di altri. Poi nel 2004 decisi di fare un concerto classico in un night-club perché desideravo portare la musica classica in un contesto informale, quotidiano, per raggiungere nuovo pubblico. Avevo però bisogno di un dj che mettesse musica tra un set classico e l'altro ma non ne ho trovato nessuno e così l'ho fatto io. Negli anni l'ho ripetuto in diverse circostanze e mi serve spesso per creare un'atmosfera, per condurre la sala a muoversi su suoni inusuali e non convenzionali, per rompere con l'ordinario”. Qual è il suo background di formazione musicale? “I miei genitori sono stati entrambi dediti all'arte visuale per cui non ho ricevuto da loro alcun input in questo senso, però ho cominciato le lezioni di piano a 5 anni e ho suonato dai dieci anni in poi il corno in orchestra. Ma i miei inizi come compositore datano sempre dai dieci anni quando con un compagno di classe scrivevo canzoni pop. Ci incontravamo tutte le settimane per scrivere a mo' di divertimento e a 12 anni formammo una band con altri tre amici con cui ci esibivamo nei locali dei dintorni di Londra. Fu quest'esperienza a convincermi di voler fare il compositore ma completamente indipendente dal mio predecessore e dalla tradizione di famiglia. Contemporaneamente ho studiato musica classica, mi sono laureato e ho preso un master in musica alle università di Birmingham e York, con specializzazione nella Elettroacustica”. Quando compone pensa alla presa che avrà sul pubblico o è totalmente concentrato sulla dimensione creativa? “Se la musica è onesta, ispirata e ha integrità si connette automaticamente col pubblico. È pericoloso e dannoso comporre pensando al successo. Ma una volta che la creazione è compiuta, ovviamente il tuo lavoro deve raggiungere il pubblico solo che in un pianeta popolato da 8 miliardi di persone è una bella lotta raggiungere l'audience. Così benché io ami spendere tutte le mie energie per comporre, mi sono reso conto che devo impiegarne altrettante per portare la mia musica dallo studio alla gente, al mondo reale. Mi ispiro molto a musicisti come Beethoven che non era solo un compositore ma un produttore che portava tutti i musicisti che conosceva a eventi in cui far conoscere il suo lavoro”.
Per Prokofiev "Se la musica è onesta si connette automaticamente col pubblico"
La sua musica è un linguaggio d'elite o solo per iniziati? “Assolutamente no. Il meraviglioso potere della musica sta proprio nel poter raggiungere tutti senza richiedere conoscenze particolari, né badare alle lingue parlate o ai luoghi di provenienza. In ogni caso se tutti ricevessero un'educazione musicale, ogni tipo di elitarismo sparirebbe e la musica sarebbe giudicata per la sua qualità”. È una delle battaglie sociali in cui s'impegna? “I temi sociali che più mi coinvolgono fin da giovane sono il traffico d'armi, il disarmo nucleare e l'energia pulita. Ho sempre usato la bicicletta come mezzo di locomozione privilegiato, porto i miei figli a scuola su una cargo bike e quattro anni fa ho cambiato l'auto con una elettrica. Nel 2020 composi, in risposta alla Pastorale di Beethoven, ‘Pastoral Reflections’ dove esploravo i cambiamenti intervenuti nel nostro rapporto con la natura rispetto all'epoca di Beethoven. E due movimenti di quella composizione entrano anche nel concerto per Emilia Romagna Festival”. Secondo i suoi criteri di giudizio cosa rende un uomo fortunato? “Per costruire una carriera nel campo della musica, la passione è fondamentale perché serve una forte motivazione per superare i vari ostacoli. Altrettanto importante è l'ottimismo per focalizzarsi sugli eventi positivi e aprire la mente, rendendola pronta ad accogliere Lady Fortuna quando appare. Invecchiando mi accorgo anche dell'importanza dell'esperienza: ogni anno che passa, vediamo e sentiamo il mondo e l'arte con maggiore profondità e consapevolezza”.
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