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Home » Spettacolo » L’ingrediente perduto, una storia di emigrazione femminile dove è vietato piangersi addosso

L’ingrediente perduto, una storia di emigrazione femminile dove è vietato piangersi addosso

La regista e attrice Claudia Della Seta: "Vengo da una famiglia sterminata dall’Olocausto. Non mi sono mai lasciata abbattere dal passato"

Giovanni Bogani
21 Ottobre 2022
Una scena dello spettacolo "L'ingrediente perduto", tratto dal romanzo di Stefania Aphel Barzini

Una scena dello spettacolo "L'ingrediente perduto", tratto dal romanzo di Stefania Aphel Barzini

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Una storia di donne. Di donne che emigrano, di donne che raccontano la loro storia, i loro smarrimenti. La fatica di vivere, in un continente lontano, dove parlano una lingua che “feriva al cuore come un coltello”, come si dice in una canzone di Guccini. Una storia di donne, che va in scena venerdì 21 e sabato 22 ottobre, al Teatro Goldoni di Firenze, prodotta dal Teatro delle Donne.

È “L’ingrediente perduto“, tratto dal romanzo di Stefania Aphel Barzini, adattato per il teatro dalla stessa Barzini insieme a Claudia Della Seta, che firma la regia e interpreta una delle protagoniste. Con lei, in scena, Elena Baroglio, Sofia Diaz, Mariandrea Filpo e Maurizia Grossi. Insieme, a raccontare, a mettere in scena una storia di generazioni, di migrazioni, di lotte e di conquiste. Ne parliamo con Claudia Della Seta, regista e interprete della pièce.

L'attrice e regista Claudia Della Seta
L’attrice e regista Claudia Della Seta

Lo spettacolo inizia negli anni ’90, a San Francisco. Da lì, risale indietro nel tempo, a ritrovare i segreti di una famiglia, i vincoli e i nessi fra generazioni di donne. È così?
“Sì. È una storia di emigrazione dalla Sicilia agli Stati Uniti, attraverso varie tappe: dal 1910 si arriva fino al 1993. Le donne che emigrano si disintegrano, non ritrovano più se stesse. Ognuna ha il suo modo di disintegrarsi, di sprofondare in un abisso”.

In quali modi queste donne si disintegrano?
“Una si rifiuterà per sempre di parlare l’inglese, cosa che accade ancora oggi a molte persone che emigrano; un’altra si ritroverò alcolizzata, la terza eroinomane. E poi c’è una ragazza che cerca di mettere insieme i pezzi del mosaico, di questo disastro che è il passato della sua famiglia. E non si arrende alla sconfitta”.

Quindi, in pratica, parla con i fantasmi delle donne che la hanno preceduta?
“Esattamente: queste donne vogliono che la loro storia sia raccontata. E Sara, insieme alla sua amica Ruth – il personaggio che interpreto io – si troverà a rivedere frammenti di un secolo passato, a rivivere danze e momenti del passato, mentre la storia da Stromboli, l’isola siciliana da dove parte la prima emigrante, Rosalia, arriva fino a Hoboken, vicino a New York”.

Qual è il messaggio – parola oggi poco di moda – che lo spettacolo dà alle donne e agli uomini, oggi?
“Dice, molto semplicemente: non piangetevi addosso. Ascoltate i dolori, inabissatevi nei segreti delle persone che vi hanno preceduto. Ma lasciateveli alle spalle, non fatevi abbattere. Prendete gli ‘ingredienti’ delle storie del passato: con gli ingredienti buoni di quelle storie, costruite la vostra. Io stessa ne sono un esempio: vengo da una famiglia sterminata dall’Olocausto. Non mi sono mai lasciata abbattere dal passato, ho sempre trovato la forza di andare avanti”.

Claudia Della Seta, attrice e regista (Facebook)
Claudia Della Seta, attrice e regista (Facebook)

Anche lo spettacolo ha dovuto subire un trauma…
“Dovevamo debuttare il 6 marzo 2020: il giorno in cui tutti i teatri hanno chiuso. Due giorni dopo scattava il lockdown, e tutto il mondo del teatro si è trovato a vivere in apnea per più di un anno. Ma abbiamo tenuto duro, grazie al Teatro delle Donne che ha sostenuto questo progetto, e in particolar modo a Maria Cristina Ghelli, che ne è l’anima. E adesso, finalmente, debuttiamo, nell’ambito del festival ‘Avamposti. Scenari contemporanei’, in quel teatro Goldoni che è diventato la ‘casa’ del Teatro delle Donne”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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Claudia Della Seta, attrice e regista (Facebook)
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