Secondo una millenaria tradizione ermetica, questo che stiamo vivendo è il momento stagionale legato per antonomasia alla Luce e al Fuoco. Siamo infatti al culmine dell’epoca solstiziale, ovvero quella fase in cui il sole raggiunge il punto di afelio e l’estate può dirsi nella sua pienezza.
È il tempo del raccolto, dei frutti maturi e dell’esultanza della natura che sembra gioire, regalando esplosioni uniche di colori, di canti di uccelli, di profumi intensi.
In onore alla madre terra, vivificata dall’energia solare, si moltiplicano feste e commemorazioni rituali, come nel caso di Stonehenge, famosa per richiamare migliaia di persone attratte dal prodigioso sorgere del sole all’alba del solstizio, in perfetta simmetria con la Heel Stone, sulla linea dell’orizzonte nord orientale.
Lo spettacolo dei giocolieri del fuoco
A rendere tutto ancora più suggestivo, non si contano le esibizioni di giocolieri del fuoco che, in giro per il mondo, animano borghi e città con spettacoli degni di una corte regale. Sono artisti di grande valore, che spesso coniugano la bellezza estetica delle loro rappresentazioni a una ricerca interiore di alto spessore spirituale.
È il caso di Emiliano Fantechi, 44enne toscano di nascita che, nonostante una laurea in antropologia in tasca ha fatto della libertà e di una speciale creatività espressiva una scelta di vita. Sulla scena è conosciuto come Vassago, nome d’arte di una intelligenza metafisica non a caso legata all’elemento fuoco, con cui da decenni si dà del tu.
Il Re delle Sfere di Fuoco oltre ad essere artista di strada si è esibito anche in ambito teatrale, mentre ultimamente gli è stato affidato il ruolo di bibliotecario in una fiction prodotta dalla piattaforma Serially.
Emiliano sembra danzare con apparente disinvoltura, mentre le fiamme lo lambiscono, ed è incredibile constatare come sfere di fuoco incandescenti scivolino lievi sulle sue braccia senza lasciare il minimo segno.
Il segreto di tutto questo c’è, evidentemente, ma è ben custodito dall’artista: ed è forse proprio nel mistero in cui si celebra ogni sua performance che si nasconde l’anima dell’uomo in progresso capace di far apparire meraviglioso ciò che è soprattutto impegno costante.
È bello ammirare la sottile figura dell’antropologo-artista mentre sembra fondersi con le colonne di fuoco, che lui stesso genera lanciando in aria le sue torce, in un danzare di fiamme dalla suggestione immensa.
Possono apparire come immagini scaturite da un medioevo idilliaco e invece sono espressione di un lavoro meticoloso che non ammette errori. E questo Emiliano lo sa, perché la lezione del fuoco è severa e non finisce mai.
Emiliano, cosa sarebbe l’estate senza il cocente occhio di fuoco del sole… È questo il momento in cui un ‘Signore del fuoco’ come lei si sente più a suo agio?
“È questo il periodo in cui si concentra la maggior parte dei festeggiamenti legati al principio solare, quindi decisamente sì! Ma al di là delle piacevoli contingenze stagionali, è proprio questa la natura del fuoco a cui mi riferisco all’interno di un percorso di creazione e che esprimo anche nel mio spettacolo B.I.O.S. – Burning Idols Over the Stars-.
L’approccio con il fuoco è qualcosa che riconosciamo immediatamente come ‘altro’ da noi, ma che al contempo genera un legame indissolubile. Credo che, in qualche modo, si possa così sperimentare un gioco dei ruoli tanto sul piano individuale che collettivo: una sorta di processo dialettico tra ordine e caos.
Si tratta di una esperienza destinata a restare incompiuta per definizione, ma grazie alla quale si possono apprendere cose molto interessanti”.
Giocare con il fuoco è entusiasmante ma anche pericoloso. Si nasconde una allegoria dietro questa sua affascinante professione?
“Ho sempre immaginato questa mia forma d’arte alla stregua di una incursione piratesca nei regni dell’ignoto. È l’inizio di un lavoro basato su processi dai significati coinvolgenti: la continua costruzione di segni in senso allegorico, ma anche una specie di destrutturazione delle categorie di pensiero alla ricerca di un senso all’interno di un sistema coerente.
In questo contesto si fa strada talvolta una sorta di panico, dove qualsiasi strumento finora utilizzato si rivela inutile, irrilevante, dimenticabile. Ecco perché quello che porto in scena, spesso a carattere ‘esplosivo’, ha lo scopo di esprimere tutta la cifra emotiva che questa mia ricerca comporta”.
Un antropologo che decide di proseguire nella sua passione di sempre: lo spettacolo itinerante. Che cosa la spinge a non intraprendere un lavoro più convenzionale?
“L’intreccio delle passioni per l’arte di strada e per l’antropologia affonda le radici in qualche modo nell’identico ordine di interesse che equivale ad abbracciare una pluralità di punti di vista sul mondo. In realtà la prospettiva dell’antropologo è spesso improntata a un certo tipo di originalità nello stile di vita.
La passione per questi due tipi di discipline, strumenti analitici e idee connesse, si traducono in un gioco di riflessioni non prive di interesse. Per adesso sto investendo le energie più nella parte della mia vita legata a questa dimensione professionale, ma tornare a reinserirmi nel percorso accademico, magari mettendomi in gioco nell’ambito della ricerca, continua ad essere una prospettiva piena di fascino”.
Quanto desiderio di libertà si nasconde in questa sua scelta?
“Diciamo tanto, senz’altro. La mia è per certi versi una vita piuttosto stressante, scandita da impegni improrogabili e costretto a coprire distanze spesso impegnative. Un guasto meccanico può trasformarsi in una tragedia, senza contare l’altalena dei successi e dei flop a cui si unisce l’immancabile ansia da prestazione.
Poi c’è la dimensione più picaresca: quella del fare cappello al di fuori degli eventi programmati, ma che di rado pratico. Tuttavia quella del ‘cappello’ resta un’attività in grado di regalare in qualche modo soddisfazioni anche maggiori, per quella sorta di complicità che si stabilisce tra perfetti sconosciuti.
Allora magicamente si apre un spazio nel quale è possibile ogni dialogo, in una dimensione non solo di societas ma anche di communitas. È come dare vita a una specie di danza nel cuore delle città che, sì, somiglia abbastanza alla sensazione di libertà“.
Si potevano indovinare in Emiliano bambino segni per così dire premonitori dell’uomo di oggi?
“Certo: curiosità, cocciutaggine e smodata passione per la polemica! Credo dunque che valga come un ‘sì’. Sono infatti certe costanti a determinare la maggior parte delle mia scelte durante tutta la vita.
A partire dall’età di tre anni circa, praticamente da quando ne ho memoria, sono rimasto sempre abbastanza coerente alla mia natura. All’epoca ero già ‘pirotecnico’ ma in altri modi: decisamente creativo nel mettermi nei guai.
Solo in seguito ho compreso l’importanza della sicurezza, ma l’attitudine al rischio è rimasta la stessa. Il mio è stato da sempre un carattere individualista, forse per questo ho sviluppato col tempo un particolare interesse per le dinamiche di coesione, con particolare riferimento ai temi sociali dell’inclusione e dell’esclusione”.
Quali sono gli ambiti che attirano maggiormente il suo interesse proprio in ottica sociale?
“Credo che l’aspetto più importante sia confrontarsi e interagire con l’altro, con curiosità e apertura. Devo perciò tantissimo ai miei studi di antropologia, che per loro natura avvicinano fatalmente alle più diverse tematiche sociali.
Allo stesso tempo, anche la pratica dell’arte di strada si è rivelata uno straordinario strumento di comunicazione con il coinvolgimento di tante persone, a prescindere dalle diverse estrazioni e condizioni.
Certi spettacoli, e non solo i miei, sono linfa per la cultura in genere, perché riescono a portare anche nei piccoli centri quel tipo di ricchezza e fermento, di visioni e racconti che spesso si rivelano l’arma migliore per superare pregiudizi, indifferenza, diffidenza o addirittura ostilità”.
È stato mai discriminato per il suo strano mestiere?
“Discriminazione è forse un termine che rimanda a un certo tipo di asimmetricità relazionale che per fortuna ho poco incontrato. Piuttosto noto grande difficoltà da parte di molte persone a immaginare che si tratti in effetti di un vero lavoro.
Per molti essere artista di strada equivale a una non professione, quando al contrario per svolgerla sono richiesti anni di esercizio, studio e pratica. Inoltre è un lavoro che, come pochi altri, permette di relazionarti con l’altro: una ricchezza impagabile”.
Il mangiafuoco di Fellini Zampanò è il simbolo dell’uomo forzuto e rude. Lei, al contrario, è espressione di delicatezza e sensibilità. Quindi i ‘padroni del fuoco’ hanno due anime?
“Una, nessuna e centomila come minimo, direi! Quello che oggi intendiamo come ‘mangiafuoco’ racchiude nella sua immagine il risultato di secoli di contaminazioni e rielaborazioni culturali.
La figura del mangiafuoco si costruisce attraverso le mille vicissitudini culturali che incontra nel suo percorso, nell’essere continuamente mutevole, sfuggente, quasi indefinibile, eppure sempre in scena.
A proposito del mio rapporto con l’elemento fuoco, se da una parte sono molto affascinato dalla sua natura stellare, dall’altra c’è un momento in cui, mentre lancio in aria la brace che si trasforma in una colonna di lapilli, mi trovo al cospetto di questa alta, cangiante e meravigliosa figura, e in essa mi immedesimo”.
Ha mai avuto paura? È mai capitato che qualcosa andasse storto?
“La prossimità col fuoco è legata a processi automatici di evitamento ben radicati anche in senso evolutivo: la paura che l’animale uomo ha del fuoco si unisce però nel contempo al fascino che esso esercita sul suo pensiero. Tra noi e la fiamma si crea una sorta di relazione, come se dovessimo attraversare una soglia ancestrale.
Ed è lì che inizia il gioco, ma anche il rischio. Confesso che un paio di bruciature mi hanno tenuto compagnia per qualche tempo e le ricordo bene, quasi con affetto. In ogni caso nel fare spettacoli di fuoco all’aperto la maggior parte degli imprevisti sono di natura ambientale, legati al tipo di spazi o a condizioni meteo.
Non ultima variabile è quella dell’autodisciplina del pubblico, che ogni volta è parte attiva nella creazione e nel mantenimento di questo spazio protetto”.
Ha mai pensato di smettere?
“Non come prospettiva immediata, mi diverto troppo! Ancora non so in che modo muterà la maschera che finora mi sta tenendo legato alla scena: è una storia che anche io vivo con grande curiosità”.
Quale sarà il futuro di Emiliano? Ancora di fuoco o legato al dominio di altri elementi?
“In tutti questi anni ho avuto il privilegio di poter investire le mie energie in una professione che stimola la creatività, la ricerca e offre talvolta la possibilità di relazioni con persone eccezionali per talento e visione.
Quello che voglio è riuscire a mantenere tale opportunità in qualsiasi forma essa si possa manifestare. La scrittura e il giocare con essa sono sempre state una passione e una ragione di riflessione che hanno nutrito i miei momenti privati, percorso a cui mi piacerebbe dare seguito”.
Lei ha un figlio. Lo lascerebbe fare la sua stessa scelta?
“Lui vuole intraprendere la carriera di commercialista, una volta finita la scuola. Perciò non credo che questo rischio si ponga, a meno di clamorosi colpi di scena. Personalmente sono più spaventato dalla burocrazia e dai conti che dal fuoco. Quindi credo che per tutti e due vada bene così!”.