Main Partner

main partnermain partnermain partner

Partner

main partner

I nativi criticano "Avatar. La via dell'acqua": sullo schermo i soliti stereotipi razzisti

Dopo il primo capitolo della saga diretta da James Cameron la nuova pellicola, secondo le popolazioni indigene, presenta ancora gli stessi luoghi comuni

di MARIANNA GRAZI -
22 dicembre 2022
"Avatar. La via dell'acqua"

"Avatar. La via dell'acqua"

Se in sala, come ci si aspettava, il nuovo film di James Cameron, sta sbancando per incassi e successo tra gli spettatori, l'uscita di "Avatar: La via dell'acqua" ha messo ancora una volta in difficoltà i produttori, come accaduto per il primo film della serie, per le critiche avanzate dalle tribù indigene verso quella che definiscono la glorificazione del colonialismo e la rappresentazione razzista del popolo e della cultura nativi. Quando l'originale uscì nelle sale, nel 2009, i potenti effetti 3D e la splendida grafica di questa saga fantascientifica lo portarono a diventare la pellicola di maggior incasso di tutti i tempi. Inevitabili le altissime aspettative che hanno accompagnato il secondo capitolo realizzato dal famoso regista e produttore canadese con un budget stimato di 250 milioni di dollari, che ha debuttato venerdì nei cinema di tutto il mondo.

La romanticizzazione del colonialismo

"Avatar. La via dell'acqua" in sala da venerdì 16 dicembre

Un interesse condiviso –per altri motivi– anche dagli spettatori indigeni, che speravano in una versione più coerente ed equa nei loro confronti, ma che ora affermano delusi che le imprecisioni di "Avatar" ricompaiono anche nel sequel, in particolare nella rappresentazione dei Na'vi, la specie aliena del film ispirata a diverse tribù di nativi di tutto il mondo. Nello specifico il clan oceanico al centro della pellicola più recente, è stato fortemente influenzato dai Maori, la popolazione polinesiana della Nuova Zelanda. La 27enne neozelandese Cheney Poole ha commentato al Whashington Post "La via dell'acqua", che secondo lei è "solo un altro esempio della stessa evidente romanticizzazione del colonialismo", già vista nella prima sceneggiatura. "Il film rende molto romanzata l'idea di ciò che stanno vivendo non solo i Maori ma anche molte culture indigene in tutto il mondo, e quasi minimizza le sofferenze", sia del passato che del presente. Cameron, in una recente intervista con Unilad, ha dichiarato di aver ascoltato i gruppi emarginati e di aver cercato di apportare miglioramenti per il secondo film. "Le persone che sono state vittime della storia hanno sempre ragione. Non spetta a me, che parlo da una prospettiva di bianco privilegiato, dire loro che hanno torto", ha spiegato.

I tema dell'uomo bianco salvatore

La trama di "Avatar" del 2009, in cui l'outsider umano bianco Jake Sully si infiltra tra i Na'vi per salvarli da una multinazionale che cerca di sfruttare le risorse ambientali della loro terra, Pandora, aveva suscitato molta preoccupazione nei gruppi indigeni. Il regista, però, ha dichiarato di essere certo che il nuovo film sia stato in grado di "aggirare" il " tema del salvatore bianco". Lailatul Fitriyah, che svolge ricerche sulla decolonizzazione come assistente alla Claremont School of Theology, parlando al quotidiano statunitense ha detto di non essere interessata a guardare il sequel, dopo aver visto recentemente per la prima volta di recente il primo film. Fitriyah ha detto di essere rimasta sconcertata dal fatto che Jake sia diventato un Na'vi in quel film, facendo leva su quello che ha definito un luogo comune colonialista, secondo il quale uno straniero può facilmente "diventare nativo" grazie al suo aspetto e all'apprendimento di quella che è –implicitamente– considerata una cultura primitiva.

Il regista e produttore James Cameron

"Vogliamo raccontare noi le storie dei nativi"

Il secondo capitolo non è affatto meglio anche secondo Mana Tyne, 19enne del Queensland di etnia Maori. Nella pellicola, Jake è diventati un capo clan e la ragazza si è sentita offesa dal modo in cui il film riduce il ta moko, un tipo di tatuaggio culturalmente significativo e leggibile per i Maori, a "forme astratte e prive di significato" che "servono più che altro come estetica" sui volti e sui corpi dei personaggi. "Mi piacerebbe vedere più persone di cultura Maori rappresentate sul grande schermo, ma voglio che persone Maori le interpretano", ha aggiunto Tyne. "Non è giusto veder sacrificare il significato delle nostre tradizioni, che hanno già perso molto a causa del colonialismo". Secondo Autumn Asher BlackDeer, assistente professore presso l'Università di Denver, i film di "Avatar" si inseriscono nel filone delle rappresentazioni stereotipate dei nativi, comunemente utilizzate dai media. Secondo la docente poiché gli sceneggiatori attingono esempi da più tribù indigene, possono far pensare che tutti i nativi siano uguali. "Sono stanca di sentire e vedere storie di indigeni narrate da una prospettiva bianca", ha concludo BlackDeer. "Non abbiamo bisogno di film hollywoodiani a budget elevatissimi: potremmo raccontare noi stessi le nostre storie".