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Home » Spettacolo » Jennifer Lopez introduce la figlia con il pronome neutro: “Sono il mio partner di duetti preferiti”

Jennifer Lopez introduce la figlia con il pronome neutro: “Sono il mio partner di duetti preferiti”

Al gala organizzato in onore dei Los Angeles Dodgers, la cantante ha presentato Emme Maribel Muniz usando il pronome "they/them", ovvero "loro" per non identificare il genere maschile o femminile

Edoardo Martini
21 Giugno 2022
Jennifer Lopez

Jennifer Lopez

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Jennifer Lopez insieme alla sua figlia Emme Maribel Muniz hanno fatto la storia. Non tanto per il duetto eseguito insieme quanto per la presentazione che la mamma le ha riservato.

Jennifer Lopez e sua figlia Emme

“Loro sono il mio partner di duetti preferiti”

Al gala organizzato in onore dei Los Angeles Dodgers, la cantante ha presentato la figlia 14enne Emme sul palco prima di un’esibizione usando il pronome neutro “loro” them“, per non identificare il genere lui e lei.

“Chiedo sempre a loro di cantare con me ma non lo fanno mai quindi questa è un’occasione molto speciale, perché sono molto, molto impegnati e costosi”, ha detto la popstar 52enne introducendo la figlia al Blue Diamond Gala.
Lopez e la figlia, quest’ultima entrata sul palco portando con sé un microfono arcobaleno, si sono poi esibite in una versione del pezzo ‘Thousand years’ di Christina Perri. “Valgono ogni singolo penny, loro sono il mio partner di duetti preferiti”, ha proseguito la star di ‘Let’s get loud’.
L’uso del pronome non identificativo del genere si sta diffondendo tra i giovani, che non vogliono essere riferiti come maschio o femmina, una scelta che sta spaccando l’America.
Jennifer Lopez durante un suo concerto

Come rivolgersi a una persona di genere non binario?

Se il rispetto e le pari opportunità passano per il linguaggio, è importante affrontare al più presto la questione dei pronomi da usare quando ci si rivolge o ci si riferisce a persone di genere non-binario. Negli ultimi anni, grazie a battaglie come quella di Laura Boldrini sul linguaggio sessista, si sta molto discutendo su questioni riguardanti l’uso del femminile per le cariche pubbliche e alcune professioni contemplate come “maschili” fino a qualche anno fa. Ma, mentre negli USA, nel Regno Unito e in Germania il dibattito pubblico sul binarismo di genere è molto acceso, in Italia è pressoché assente.

Con binarismo di genere si intende la classificazione delle persone in due forme mutuamente esclusive: il genere femminile e quello maschile. Ciò rappresenta una frontiera sociale per tutti coloro che intendono compiere una transizione da un genere verso l’altro o, sempre più frequentemente, si identificano in entrambi i generi o in nessuno dei due, venendo così indicati come persone di genere non-binario, non-binary o genderqueer. Questo porta, in una società non ancora preparata in materia, a dubbi o errori linguistici quando ci si approccia a una persona o a un gruppo di persone di genere non-binario.

Se non sappiamo il genere della persona con cui ci interfacciamo o se non ci è dato saperlo, dobbiamo necessariamente utilizzare i pronomi indefiniti e i verbi impersonali. Anziché chiedere “Ieri ti sei divertito?” o “ieri ti sei divertita?”, chiederemo “ieri è stato divertente?”, così da indicare qualcuno o qualcosa in modo generico ed evitare di urtare la sensibilità e di invadere la privacy altrui.

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Instagram

  • Stando a quanto dicono gli studiosi, i social network sono portatori malati di ansia e depressione. E, diciamocelo, non servivano studi e numeri per capirlo. I più attrezzati di noi a comprendere le dinamiche social e sociali che si nascondono dietro l’algoritmo di Meta già da tempo avevano compreso che “social sì, ma a piccole dosi”.

Eppure la deriva c’è stata e adesso distinguere il virtuale dal reale, l’immagine dallo schermo, il like dall’affetto sembra essere diventata un’operazione assai difficile.

Il senso di inadeguatezza delle persone di ogni età sta dilagando. Pare che il meccanismo sia più o meno questo: l’erba del vicino – di account – è sempre più verde. 

Che poi nella realtà non è così poco importante. A importare è ciò che appare, non ciò che è, tanto da ridurre il dilemma “essere o non essere” a coltissimo equivoco elitario. Cogito ergo sum un po’ poco, verrebbe da dire, se non fosse che la faccenda è seria e grave. 

Lo stress da social è reale e affligge grandi e piccini, senza distinzione di ceto. Una vera e propria sofferenza psicologica che tende a minare le fondamenta dell’intera società. Tra il 2003 e il 2018, i casi di ansia hanno registrato numeri da record, così come quelli di depressione, autolesionismo e problemi di alimentazione. Questo basti per capire che limitarsi a catalogare il problema come questione minore è sbagliato e pericoloso.

Complice il recente lockdown, la corsa verso la psicosocialpatologia ha accelerato il passo. L’unica soluzione a portata di mano, seppur temporanea, è prendersi una pausa dai social e uscire dalla bolla, come Selena Gomez insegna. 

Vivere la vita vera, in Logout, fatta di persone in carne e ossa che di perfetto hanno poco o nulla e che combattono ogni giorno per cercare di assomigliare a ciò che vorrebbero essere. 

E tu quanto tempo passi sui social? 📲

Di Margherita Ambrogetti Damiani ✍

#lucenews #lucelanazione #socialout #viverelavita #nofilter #autoconsapevolezza #stressdasocial #socialdetox
  • Ad appena 3 anni e mezzo, Vincenzo comunica ai genitori il desiderio di indossare vestiti e gonne. Alla richiesta viene inizialmente, quanto inevitabilmente, dato poco peso, come se fosse un gioco… 

Ma 6 anni e mezzo dopo Vincenzo fa un coming out più deciso, chiede di potersi chiamare Emma e di indossare un costume femminile alle lezioni di danza, che condivide con le due sorelle maggiori. Pochi giorni fa, grazie anche alla comprensione e disponibilità della sua insegnante di danza, ha vissuto il suo momento di gloria, esibendosi in un saggio-spettacolo di fine anno costruito su misura, con una coreografia che racconta la sua storia.

La danza, si sa, può essere di grande aiuto per costruire la propria identità, perché è prima di tutto libertà di espressione. 

“Gli anni di pandemia sono stati decisivi per mia figlia. La riflessione è diventata sempre più profonda e, con sofferenza, lo scorso ottobre, è riuscita a parlarci di ciò che davvero le stava a cuore. Le prime sostenitrici sono state proprio le sorelle, più aperte e predisposte mentalmente su questa tematica. Noi genitori ancora pensavano a una latente omosessualità, ma non era così: per nostra figlia la propria identità di genere non coincideva con il sesso assegnatole alla nascita”.

I primi tempi non sono stati facili, per certi aspetti è stato come elaborare un lutto perché Emma volava cancellare tutto il suo passato, buttando via foto e vestiti. La sua è stata una rinascita vera e propria, il suo “no" al nome, al genere maschile, è ormai definitivo. 

A scuola, ha chiesto e ottenuto di potersi chiamare Emma, così come in società. Fondamentale è stato il supporto della famiglia che, a un certo punto, ha capito che non si trattava di un gioco, malgrado la giovanissima età.

“A chi tuttora continua a ripeterci che avremmo dovuto insistere e iscriverla a calcio, dico con fermezza: i figli vanno ascoltati, è giusto che vivano la loro vita, quella più congeniale al loro sentire, perché tutti meritiamo di essere felici”.

Di Roberta Bezzi ✍

#lucenews #lucelanazione #bologna #emma #transgender #transrights
  • “Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. 

Ma se Andrea Pinna, apprezzato per i suoi aforismi taglienti, “né bello né ricco” come dice lui, è diventato uno degli influencer più originali del web, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e ha intrapreso un percorso di cura.

Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. 

"Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che a distanza di anni gli verrà diagnosticato come bipolarismo. 

"Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. Avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi”.

Sul suo profilo Instagram @leperledipinna ha deciso di portare avanti due battaglie: quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E attraverso le dirette Instagram di psicoterapinna "racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

La storia di chi ha trovato il coraggio di affrontare il bipolarismo e ha saputo rendere i social un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

L
  • "L’autismo è un fenomeno che riguarda sì, in primo luogo gli autistici e le loro famiglie, ma anche la società in generale. Un nato o nata ogni 70/80 rientra nello spettro autistico ormai ed è quindi bene che anche i cosiddetti neuro tipici sappiano di cosa si parla”.

Dopo la standing ovation ricevuta lo scorso 2 aprile al Cinema La Compagnia di Firenze e il fortunato tour avviato nei cinema e nei teatri della Toscana, il documentario “I mille cancelli di Filippo” sarà nuovamente proiettato lunedì 27 giugno alle 21, nella Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Al centro della narrazione il figlio del noto autore Enrico Zoi, il giovane Filippo, colpito da spettro autistico.

Con la delicatezza e la magia tipica di uno scrittore che, prima di tutto, è un babbo amorevole, Enrico – insieme a sua moglie Raffaella Braghieri – apre una volta ancora le porte della sua casa per raccontare al mondo la realtà speciale della sua famiglia.

E il consiglio per i genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di autismo sul proprio bambino sarebbe quello di "non chiudersi, di non chiedersi perché, di guardare al mondo esterno, di aprirsi. Chiudersi non serve a niente, anzi… è un po’ come una partita di calcio: se non scendi in campo la perdi a tavolino, se invece accetti il confronto te la puoi giocare!”.

Di Caterina Ceccuti ✍

#lucenews #lucelanazione #enricozoi #imillecancellidifilippo #firenze #autismo #autismawareness
Jennifer Lopez insieme alla sua figlia Emme Maribel Muniz hanno fatto la storia. Non tanto per il duetto eseguito insieme quanto per la presentazione che la mamma le ha riservato.
Jennifer Lopez e sua figlia Emme

"Loro sono il mio partner di duetti preferiti"

Al gala organizzato in onore dei Los Angeles Dodgers, la cantante ha presentato la figlia 14enne Emme sul palco prima di un'esibizione usando il pronome neutro "loro" them", per non identificare il genere lui e lei.
"Chiedo sempre a loro di cantare con me ma non lo fanno mai quindi questa è un'occasione molto speciale, perché sono molto, molto impegnati e costosi", ha detto la popstar 52enne introducendo la figlia al Blue Diamond Gala.
Lopez e la figlia, quest'ultima entrata sul palco portando con sé un microfono arcobaleno, si sono poi esibite in una versione del pezzo 'Thousand years' di Christina Perri. "Valgono ogni singolo penny, loro sono il mio partner di duetti preferiti", ha proseguito la star di 'Let's get loud'.
L'uso del pronome non identificativo del genere si sta diffondendo tra i giovani, che non vogliono essere riferiti come maschio o femmina, una scelta che sta spaccando l'America.
Jennifer Lopez durante un suo concerto

Come rivolgersi a una persona di genere non binario?

Se il rispetto e le pari opportunità passano per il linguaggio, è importante affrontare al più presto la questione dei pronomi da usare quando ci si rivolge o ci si riferisce a persone di genere non-binario. Negli ultimi anni, grazie a battaglie come quella di Laura Boldrini sul linguaggio sessista, si sta molto discutendo su questioni riguardanti l’uso del femminile per le cariche pubbliche e alcune professioni contemplate come “maschili” fino a qualche anno fa. Ma, mentre negli USA, nel Regno Unito e in Germania il dibattito pubblico sul binarismo di genere è molto acceso, in Italia è pressoché assente. Con binarismo di genere si intende la classificazione delle persone in due forme mutuamente esclusive: il genere femminile e quello maschile. Ciò rappresenta una frontiera sociale per tutti coloro che intendono compiere una transizione da un genere verso l’altro o, sempre più frequentemente, si identificano in entrambi i generi o in nessuno dei due, venendo così indicati come persone di genere non-binario, non-binary o genderqueer. Questo porta, in una società non ancora preparata in materia, a dubbi o errori linguistici quando ci si approccia a una persona o a un gruppo di persone di genere non-binario. Se non sappiamo il genere della persona con cui ci interfacciamo o se non ci è dato saperlo, dobbiamo necessariamente utilizzare i pronomi indefiniti e i verbi impersonali. Anziché chiedere "Ieri ti sei divertito?" o "ieri ti sei divertita?", chiederemo "ieri è stato divertente?", così da indicare qualcuno o qualcosa in modo generico ed evitare di urtare la sensibilità e di invadere la privacy altrui.
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