“Se mi etichetti mi neghi”. Eccessivo, scomodo, rivoluzionario: Leigh Bowery nell’omaggio della Tate Modern

L’icona della controcultura londinese in mostra a Londra fino al 31 agosto. Un’occasione per ripercorrere la carriera e il pensiero anticonformista dell'artista australiano faro nel nightclubbing degli anni '80 e ’90, antesignano della cultura LGBTQ+, del movimento drag e della fashion body art

di GIOVANNI BALLERINI
12 maggio 2025
Leigh Bowery

Leigh Bowery

Ci sono artisti scomodi, eccessivi, a loro modo geniali - magari fuori dal tempo e dalle definizioni - che meriterebbero di essere ricordati per gli spunti e le provocazioni con cui hanno arricchito la cultura alternativa. In una società che celebra soprattutto le grandi star, che promuove la cultura mainstream o presunta tale, desta ancora più interesse la retrospettiva che la Tate Modern (che proprio in questi giorni festeggia i 25 anni d’attività) dedica fino al 31 agosto 2025 a Leigh Bowery.

Il celebre museo londinese d'arte moderna e contemporanea accende i fari sulla rivoluzionaria e anticonformista carriera dell'artista australiano (1961–1994) nato a Sunshine, un sobborgo di Melbourne, che nel 1980 abbandonò in patria la scuola di moda per sbarcare a Londra sull’onda della scena punk, mentre quella glam, sebbene in fase calante, grazie anche all’evoluzione new romantic era ancora in fulgore. Quel dicembre, stilò i suoi buoni propositi per il nuovo anno in Inghilterra:

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Peso a parte, Bowery riuscì a realizzare le sue aspirazioni del momento e andare oltre. Fu infatti proprio questo creativo antesignano e anticipatore della cultura LGBTQ+ e del movimento drag a dare, con il suo estro, nuovi impulsi innovatori e donare nuove chance a quello che rimaneva della scena glitter rock. Merito di una personalità brillante che, attraverso irridenti e mai scontate creazioni, illuminava con ironia, esagerazioni e iperboli a non finire l’underground made in London.

Le sue sfrenate irruzioni creative nel frattempo celebravano il corpo come strumento plasmabile in grado di sfidare le norme estetiche, sessuali e di genere. Bowery ha sempre rifiutato la classificazione, la mercificazione e il conformismo, non a caso affermava: "Se mi etichetti, mi neghi” e con caparbietà è stato un faro nel nightclubbing e della scena artistica sotterranea degli anni '80 e ’90 della città del Big Ben.

Artista, performer, modello, stilista: era un po’ di tutto e rifiutava il limite delle convenzioni

Artista, performer, modello, personaggio televisivo, promotore di club, stilista e musicista: sono tante e significative le sue stravaganti performance in gallerie e luoghi d’arte, nei teatri, in vari studi televisivi, su ribalte musicali e nelle tante esibizioni on the road che tenne in quegli anni. Rifiutandosi in ogni occasione di lasciarsi limitare dalle convenzioni, mettendo alla prova i limiti del decoro e del buon gusto. Fra le sue visioni più significative è da sottolineare la determinazione nel reinventare abiti e trucco come forme di pittura e scultura. Altro che body shaming, per Leigh il corpo era uno straordinario strumento mutevole che rivendicava il potere di sfidare le norme estetiche, sessuali e di genere. Un credo che ha sempre portato avanti, proponendosi come autentica star - antistar della sua generazione, fino al Capodanno del 1994, quando morì a 33 anni, a causa di una malattia correlata all'AIDS.

L’universo creativo e comunicativo di Bowery

Ma, torniamo al solo apparentemente strampalato e fieramente eccessivo universo creativo - comunicativo di Bowery, che viene documentato e storicizzato da questa interessante mostra organizzata dalla Tate Modern, in collaborazione con Nicola Rainbird, coniuge di Bowery e direttrice della sua Estate, puntando i fari sullo spirito controvento di questo audace performer. L’esposizione, ricca di foto, quadri, video, immagini, costumi e ricostruzioni di ambienti ha il pregio di rendere di nuovo viva e dinamica la scena creativa che Bowery e i suoi amici animavano per colmare in maniera memorabile il divario tra arte e vita, moralità e cultura, usando la diversità e l'imbarazzo come strumento per liberare le proprie inibizioni, per sbeffeggiare il conservatorismo che iniziava a manifestarsi in Inghilterra, anche se Londra continuava a essere la fucina inarrestabile di ogni moda, di ogni trend, giovanile e non.

Fra i portabandiera del London calling

Fra i portabandiera del London calling anni ’80 – ‘90 c’era per l’appunto anche l’agitatore culturale Bowery, che a quei tempi frequentò anche Firenze, collaborò alla rivista Westuff e al Pitti Trend. Ricordi, ma non solo, visto che la sua breve ma straordinaria vita, come dicevamo, ha lasciato un segno innegabile nel mondo dell'arte della moda e del clubbing. Non a caso le sue intuizioni più iconiche continuano a risuonare ancora oggi in qualche modo nelle opere di personaggi come Sue Tilley, Trojan, Princess Julia, Les Child, Andrew Logan, Lady Bunny, Scarlett Cannon, Minty e Boy George, ma anche Alexander McQueen, Jeffrey Gibson, Anohni e Lady Gaga.

La parabola creativa di Bowery parte dalla fashion. Distaccandosi progressivamente dal look Hard Times e dai suoi colori spenti Leigh lanciò nel 1984 una collezione di moda ispirata da astrologia, fantascienza, glam rock, divinità indù e abiti indossati dalla comunità bengalese di East London, con tagli e tessuti arricciati, capi dai colori vivaci realizzati in lucidi tessuti sintetici, cappelli in vinile, paillettes, tacchi alti e stivali con la zeppa.

Il video di Charles Atlas ci introduce all’atelier di queste creazioni, che poi era l’appartamento ristrutturato insieme al suo migliore amico, l'artista Trojan, in cui Bowery viveva. Un luogo costruito ad hoc per perpetuare il cattivo gusto e le esagerazioni, che si cala alla perfezione nell'era della club culture, in cui ai social media si preferiva il passaparola e come passerella il nightclubbing, un mondo sotterraneo di baldoria queer dove si riunivano creativi appartenenti a diverse sottoculture immortalate da riviste di moda come i-D, The Face e Blitz.

Look sempre più pretenziosi ed elaborati

Nel 1985, Bowery e il promoter Tony Gordon fondarono il Taboo, un club in cui si poteva fare di tutto, considerato il più camp e malizioso di Londra che rimase aperto per poco più di un anno. Nel frattempo il look di Bowery divenne sempre più pretenzioso, elaborato, specchiando il travestimento nella performance artistica. Come una sorta di super eroe della moda Leigh iniziò infatti a coprire il corpo e la testa di tessuti di grandi proporzioni con stoffe dai colori sgargianti e paillettes. Questo look umorista e autoironico veniva usato con enfasi da Bowery in discoteca, sul palco, nelle sue apparizioni televisive e performative, ma anche nella vita quotidiana. Per sottolineare il concetto il look venne via via arricchito da parrucche arruffate, maglioni blasé, tacchi alti, pantaloni larghi, zeppe. Lo stile allusivo di Bowery fece scuola e venne poi condiviso in quegli anni anche da popolari ed estrosi conduttori televisivi come Quentin Crisp, Dame Edna Everage, Kenneth Williams e Lily Savage.

Una collaborazione di Leigh sicuramente da sottolineare è quella con l’iconoclasta Michael Clark, che negli anni ’80, pur vantando una formazione classica, divenne presto il coreografo e ballerino di punta della scena post punk inglese. Clark iniettò nel mondo della danza e del balletto una scarica di energia, introducendo riferimenti al punk, all'omosessualità, alla club culture, al teatro musicale e alle Scottish Highland dancing. Ciò non poteva non trovare riscontro nel desiderio di sovvertire la normalità di Bowery, che disegnò costumi per la Michael Clark Company dal 1984 al 1992. E collaborò attivamente in quegli anni con il coreografo, come confermano varie testimonianze video riproposte dalla Tate, fra cui i film "Hail the New Puritan" di Charles Atlas del 1986, che si avvale dei look ideati da Bowery (con biancheria intima, volant, glutei e seni scoperti, elementi glam rock e tagli destrutturati) e “Because We Must”, sempre firmato da Atlas nel 1989, che vede Bowery variare una serie di look ispirati alla teatralità camp e al suo immaginario di drag queen, mentre suona il pianoforte, si esibisce con il ballerino Les Child e prende parte a queste coreografie che si sviluppano sorprendendo il pubblico, in perfetta sintonia con lo spirito anarchico di Clark, considerato dai più un autentico Nijinsky punk per la sua qualità interpretativa e coreutica e per le sue iniziative controculturali.

Lo YES Manifesto

Come risposta al No Manifesto dell'artista e coreografa Yvonne Rainer, del 1965 e alla campagna antidroga Just Say No della First Lady Nancy Reagan, del 1982, Michael Clark, coniò nel 1984 lo YES Manifesto:

Sì allo spettacolo. Sì al virtuosismo. Sì alle trasformazioni, alla magia e alla finzione. Sì al glamour e alla trascendenza dell'immagine di star. Sì all'eroico. Sì all'antieroico. Sì all'immaginario trash. Sì al coinvolgimento dell'artista o dello spettatore. Sì allo stile. Sì al kitsch. Sì alla seduzione attraverso gli inganni dell'artista. Sì all'eccentricità. Sì al commuovere o all'essere commuoversi.

La griffe Spend Spend Spend

Ma torniamo a Bowery, che fondò con Rachel Auburn anche la griffe Spend, Spend, Spend, con un look vistoso e kitsch rivolto alla scena dei club. All'inizio degli anni '90, Bowery abbandonò le paillettes per dar luogo a un look più aggressivo che utilizzava la schiuma, il tessuto elasticizzato e il lattice per dare nuove prospettive (distorte, quasi aliene) al suo corpo, che veniva fotografato e filmato da artisti in studio e per strada per creare performance sempre più scioccanti ed estreme, che strizzavano l’occhio all’arte d’avanguardia e alla scena alternativa drag e queer che imperversava a New York in club come il Jackie 60 e il Pyramid Club. In questo periodo Bowery iniziò a posare per il pittore Lucian Freud, che amava dedicargli ritratti di grandi dimensioni. In cui appare spesso anche senza trucco e vestiti.

Bowery e la musica

Altra inclinazione creativa dell’artista australiano che vale la pena di esplorare è quella musicale, soprattutto quella che vede protagonisti i Minty, la sua band, formata con l'ex stilista Richard Torry e da altri scatenati musicisti in vena di provocazioni. Fra i vari progetti vale la pena ricordare nel 1990 la realizzazione del video musicale "Generations of Love" con la band di Boy George, Jesus Loves You. Il clip, diretto da Baillie Walsh, mostra Bowery e i suoi amici nelle vesti di prostitute che corrono per le strade di Soho e irrompono in un cinema porno. Decisamente inquietanti e fuori dai canoni anche le performance dei Minty, che danno il loro meglio dal vivo, con show sempre irriverenti, come quello in cui illustrano l’esecuzione del loro brano "Useless Man" con un parto decisamente sui generis.

Questa mostra eclettica e immersiva si è insomma rivelata una rara occasione per coinvolgere anche le nuove generazioni, anche chi non aveva avuto modo di seguire all’epoca le boutade di Bowery, riproponendo l’autenticità di molte delle creazioni e dei look dell’artista australiano, rinverdendo lo spirito delle sue collaborazioni con artisti come Michael Clark, John Maybury, Baillie Walsh, Fergus Greer, Nick Knight e Lucian Freud.