
Alexis Manenti in una scena del film
Parte da Firenze, oggi 6 maggio, all’Istituto francese alle 19, il tour italiano di presentazioni del film “Il Mohicano”. Un film di resistenza, di ostinata opposizione al potere, alla mafia, alla cementificazione selvaggia, alle ragioni del capitale contro quelle della vita, dell’ambiente, delle tradizioni. All’Istituto francese di piazza Ognissanti a Firenze ci saranno il regista Fréderic Farucci e il protagonista Alexis Manenti. È girato tutto in Corsica, fra pastori di capre, montagne aspre, fra gente che parla una lingua tutta sua, a mezza strada fra il sardo, il francese, l’occitano. È girato con un’attenzione da documentarista alla verità dei luoghi, dei gesti, delle parole. E non è un caso: il regista, Frédéric Farucci, aveva diretto un documentario, otto anni fa, sulla vicenda di un allevatore di capre che non voleva arrendersi, non voleva lasciarsi espropriare delle sue terre. E rimaneva lì, come l’ultimo dei Mohicani. Da quella vicenda vera, Farucci ha tratto una storia violenta, cruda, forte. La storia di un uomo – interpretato da Alexis Manenti, già premio César per “Les misérables” – che si mette di traverso ai disegni degli imprenditori edili. Lo fa senza una coscienza politica, lo fa per istinto, perché la sua vita è quel luogo, quegli animali. Non ne sa immaginare un’altra. E diviene, così, un eroe per caso, quasi una leggenda. Raggiungiamo al telefono, a Parigi, il regista Frédéric Farucci, poco prima che prenda l’aereo per l’Italia.
Il film è impressionante, per il senso di realtà, per come dà la sensazione che lei conosca bene il mondo che racconta. Che tipo di ricerche ha fatto?
“In realtà ho attinto soprattutto alla memoria. Conosco a memoria questo ambiente: ho solo messo insieme quello che sapevo, ho chiamato a raccolta la memoria, e il lavoro che avevo fatto nel documentario su Joseph Terrazzoni, l’allevatore che ispira il mio personaggio di finzione, mi ha aiutato molto”.
“Il Mohicano” è la storia di una leggenda che nasce, e di una resistenza che unisce i vecchi e i ragazzi. Una sorta di resistenza che unisce due generazioni lontane.
“Effettivamente, è la cosa che mi dà più speranza: pensare a una forma di resistenza che attraversi le generazioni. E per evocarla, era essenziale la scena che abbiamo girato all’interno di un locale. Quando la storia del ‘Mohicano’ diventa una canzone, cantata da un gruppo rock còrso. Quando la storia di un uomo diventa una canzone, prende subito un’altra dimensione”.
Il gruppo rock còrso come la versione contemporanea della Chanson de geste medievale?
“Esattamente. In un certo senso, è proprio così”.
La situazione della cementificazione selvaggia, dei gruppi di potere e di mafia che le stanno dietro, è così come lei la racconta ancora oggi in Corsica?
“Sì. Ci sono delle leggi che proibiscono ad esempio di edificare a meno di trecento metri dalla costa. Ma queste leggi vengono aggirate in mille modi. I divieti non vengono rispettati. Ci sono delle associazioni di cittadini che si sono formate, ma si scontrano con forze enormemente più potenti”.
Parliamo del cast. Alexis Manenti è straordinario, nell’interpretare un “eroe” che non ha i tratti caratteristici dell’eroe: è un po’ sovrappeso, a volte maldestro…
“Era così che gli avevo chiesto di entrare nel personaggio. Mi ha chiesto se avrebbe dovuto fare palestra, per le corse che deve fare, durante la sua fuga, e io gli ho detto: assolutamente no! Alexis è molto intelligente, ed è entrato perfettamente in questo personaggio”.
I personaggi del villaggio sembrano tutti molto credibili, molto veri. Sono degli attori o provengono da quel villaggio?
“Nessuno di loro è un professionista. I pastori sono veri pastori, e il veterinario è un vero veterinario. Ho girato una sorta di documentario, all’interno di un film che, per certi versi, potrebbe quasi essere definito un film di genere”.
Genere western: ricorda, a tratti, John Ford.
“E infatti avevo in mente uno dei suoi film più belli, ‘L’uomo che uccide Liberty Valance’”.
“Il Mohicano” è un film che racconta qualcuno che dice di no. No alla speculazione, no alla cementificazione delle coste, no alla mafia. Racconta un personaggio che verrebbe dimenticato in fretta, se la sua storia non si trasformasse in leggenda. È, in fondo, un frammento del vasto racconto delle lotte di classe. Qui si scontrano il proletariato rurale e un capitalismo che spazza tutto al suo passaggio. Il film sarà presentato dal regista il 7 maggio a Bologna al Galliera, l’8 a Roma al Farnese, il 9 a Milano all’Alcatraz, e sarà nelle sale italiane da giovedì.