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Home » Spettacolo » Nei panni di Noell Maggini: “Io, stilista. Dal campo nomadi alle passerelle”

Nei panni di Noell Maggini: “Io, stilista. Dal campo nomadi alle passerelle”

Ha 26 anni e da da sempre convive con l’orgoglio e le difficoltà di un’identità complicata: è un sinto, e ancora oggi Noell vive nel campo con la famiglia. Che per lui, afferma, è una costante fonte di ispirazione. Ora più che mai. "Ai miei amici dico: realizzate i vostri sogni, abbattete la discriminazione e non sentitevi confinati in un campo"

Domenico Guarino
12 Aprile 2021
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Noell Maggini, 26 anni, stilista con un negozio a Prato, è un sinto: “Manifestare senza remore quello che si è, portarlo fuori, nella creatività, nell’arte, secondo me ci rende ancora più credibili, e dunque maggiormente in grado di trasmettere qualcosa attraverso il nostro lavoro”

“La pandemia mi ha fatto riscoprire i valori veri della vita. Lo stare insieme, la famiglia, l’importanza di un abbraccio, usare il tempo a disposizione nella maniera giusta. Ma ora sento il bisogno e di guardare al futuro. Non a caso la mia nuova collezione si chiama ‘night vibes’ e parla proprio della voglia di lasciarsi alle spalle questo periodo tremendo, di recuperare la vita, il gusto di divertirsi, lo stare insieme senza costrizioni”.

Noell Maggini è uno stilista di 26 anni con base a Prato, che si sta facendo strada nel complicato ed effervescente mondo della moda.  Da poco ha aperto un proprio negozio nella città patria del tessile italiano. Da sempre invece deve convivere con l’orgoglio e le difficoltà di portarsi dietro un’identità complicata. Noel infatti è figlio del popolo sinti.

“Questo periodo della pandemia, a livello personale è stato sicuramente difficile”, racconta. “Io non sto mai fermo, sono sempre in movimento.  E trovare all’improvviso così tanto tempo a disposizione è stato strano. A livello lavorativo è stato addirittura traumatico. Perché come sai il mondo della moda è sempre così veloce, e c’è sempre da seguire questi tempi super stretti e stringati. Ed invece ognuno di noi ha avuto sicuramente più tempo per dedicarsi alla riflessione sulla propria linea stilistica. Quindi alla fine è stato comunque un periodo importante perché io mi sono preso questo tempo per studiare, per approfondire, per capire ancora meglio quello che sono come stilista e dove voglio arrivare, cosa voglio esprimere con le mie creazioni”.

Molti dicevano ne usciremo migliori, secondo te sarà così? Che eredità ci lascia questo periodo?

“La collezione che ho presentato a settembre si intitolava ‘essential’. La riflessione più importante che mi ha lasciato è proprio quella di rivalutare cosa è essenziale nella nostra vita. Cosa è veramente importante. Nella collezione ho cercato di trasformare in abiti quello che per me era una riflessione su ciò che serve veramente per trovare un giusto equilibrio nella nostra vita”.

Una modella indossa una creazione di Noell Maggini: “Il mio lavoro in passato mi ha portato spesso a vivere in un modo diverso. In questo periodo invece, a causa delle difficoltà che hanno avuto persone della mia comunità, sono tornato ad essere molto più in contatto con loro. A capire e a riflettere su cosa incida negativamente sulla loro esistenza. Ho cercato di aiutare, nel mio piccolo”

Ovvero?

“Oggi siamo abituati ad avere tante cose, a stare sempre collegati a qualcosa, per sentirci, come si dice, ‘sempre sul pezzo’, sempre aggiornati. Questo periodo invece di tempo ‘sospeso’ mi ha permesso di riscoprire l’importanza di avere dei rapporti al di là di una tastiera. Ho riscoperto i rapporti familiari. Essere felici con poco. Ho avuto il coronavirus, purtroppo, e dunque ne ho sperimentato sulla mia pelle gli effetti. Dunque l’importanza di abbracciare le persone, il contatto fisico, con i propri amici, i propri familiari. Dire ‘per me sei importante’. E sicuramente ho capito cosa è veramente importante: l’amore fraterno, l’amore familiare.  E dire veramente quello che si pensa. Se ci rifletti, noi siamo molto pronti e molto disposti a dire degli altri tutto il male possibile. Di esternare i pensieri negativi. Non ci pensiamo nemmeno un attimo e lo diciamo spesso lasciando senza parole chi abbiamo di fronte. Quando si tratta invece di dire cose belle, di manifestare i nostri sentimenti positivi, ci pensiamo sempre su, quasi che esternarli metta in luce la nostra sensibilità e dunque ci indebolisca.  E questo pensiero è passato per la mia testa tante volte, in questi mesi. Così ho deciso che è arrivato il momento di spogliarsi dalle paure e cominciare a dire alle persone che amo quello che sento, tranquillamente senza rifletterci. E senza temere che questo mi renda meno forte”.

In questa riscoperta degli affetti familiari immagino ci sia anche il rapporto con le tue radici sinti, che comunque per te sono state sempre importanti. Ma forse ora ancora di più?

“Si assolutamente. Qui ritorniamo al concetto di ‘essenziale’. La mia appartenenza è sempre viva. Ho lasciato che le mie origini uscissero anche nella parte creativa, non ho mai nascosto la mia identità ed anzi gli ho fato libero sfogo. Ma il mio lavoro in passato mi ha portato spesso a vivere in un modo diverso. In questo periodo invece, a causa delle difficoltà che hanno avuto persone della mia comunità, sono tornato ad essere molto più in contatto con loro. A capire e a riflettere su cosa incida negativamente sulla loro esistenza. Ho cercato di aiutare, nel mio piccolo. Di entrare ancora più in comunione con loro. E soprattutto ho riscoperto quanto è forte il concetto di condivisione tra noi. Nonostante ci sia questa cosa di non poter stare insieme, che per noi sinti, per il popolo rom, è un po’ come la kriptonite, però in ogni modo riescono e riusciamo a stare in contatto, a condividere il poco magari che abbiamo”.

C’è nel mondo dell’arte e della creatività il dibattito sul dover lasciare i messaggi politici e sociali fuori dalla propria attività. Tu cosa ne pensi?

Noell ha dovuto fare i conti con le sue origini anche sul lavoro: “All’inizio non volevo esser visto come un fenomeno sociale, perché volevo che emergesse la mia parte creativa. Poi però mi sono reso conto che alla fine, così facendo, negavo di essere me stesso”

“Inizialmente anch’io avvertivo la paura che esprimersi apertamente potesse snaturare o sminuire il mio lavoro. Dicevo sempre: non voglio esser visto come un fenomeno sociale, perché volevo che emergesse la mia parte creativa. Poi però mi sono reso conto che alla fine, così facendo, negavo di essere me stesso. E quando si interiorizza la ‘negazione’ consapevole o meno della propria identità, si finisce col non essere più autentici. E invece, manifestare senza remore quello che si è, portarlo fuori, nella creatività, nell’arte, secondo me ci rende ancora più credibili, e dunque maggiormente in grado di trasmettere qualcosa attraverso il nostro lavoro. E così ho visto che questo equilibrio negli anni non andava a sacrificare nulla delle mie creazioni, anzi le valorizzava. Quando la tua persona e la tua arte sono così ben definite da mantenete un buon livello, senza contrastarsi l’una con l’altra, allora significa che stai andando nella direzione giusta. La mia appartenenza e la mia parte stilistica non si sono mai combattute. Anzi. Certo il mondo della moda è un po’ diverso, più accessibile anche su terreni delicati come quelli dell’appartenenza a culture altre. Ed in effetti io non ho mai sentito o percepito sentimenti di repulsione o discriminazione nei miei confronti. Ma è comunque importante manifestare quello che si è. Per il pubblico. Per il messaggio che puoi lanciare”.

Ti esponi in prima persona, ad esempio con l’impegno nell’associazione Kethane: perché?

“Kethane è stato il modo per raccontarmi in un modo inclusivo. Non solo per il pubblico, ma soprattutto per i ragazzi sinti e rom, per far capire loro che c’era la possibilità di diventare qualcos’altro. Che c’è la possibilità di realizzare un proprio sogno, abbattendo la discriminazione e non sentirsi confinati in un campo. Questo è quello che sto facendo e voglio fare. In Kethane ritrovo un gruppo di persone che sono vogliose di combattere e dare voce ad un popolo cui è stata da sempre negata la parola. E che è stato, e continua ad essere, il capro espiatorio per tantissime cose. Io mi sento una di queste piccole voci per far si che sinti e rom vengano conosciuti come individui, come persone al pari degli altri”.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Su cosa stai lavorando?

“Il mio ultimo progetto è uscito proprio sabato scorso, si chiama ‘night vibes’ vibrazioni notturne, e parla di spensieratezza, e voglia di uscire di riprendersi la vita notturna che il coprifuoco ci han negato. Abbiamo fatto una sfilata digitale durante la notte in una Prato deserta, è stato molto bello molto forte. A livello sociale portare avanti molte tematiche che ci stanno a cuore, A livello stilistico fuoriuscire più forte di prima. Migliorando la comunicazione e la tecnica del mio prodotto”.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Noell Maggini, 26 anni, stilista con un negozio a Prato, è un sinto: "Manifestare senza remore quello che si è, portarlo fuori, nella creatività, nell’arte, secondo me ci rende ancora più credibili, e dunque maggiormente in grado di trasmettere qualcosa attraverso il nostro lavoro"
“La pandemia mi ha fatto riscoprire i valori veri della vita. Lo stare insieme, la famiglia, l’importanza di un abbraccio, usare il tempo a disposizione nella maniera giusta. Ma ora sento il bisogno e di guardare al futuro. Non a caso la mia nuova collezione si chiama ‘night vibes’ e parla proprio della voglia di lasciarsi alle spalle questo periodo tremendo, di recuperare la vita, il gusto di divertirsi, lo stare insieme senza costrizioni”. Noell Maggini è uno stilista di 26 anni con base a Prato, che si sta facendo strada nel complicato ed effervescente mondo della moda.  Da poco ha aperto un proprio negozio nella città patria del tessile italiano. Da sempre invece deve convivere con l’orgoglio e le difficoltà di portarsi dietro un’identità complicata. Noel infatti è figlio del popolo sinti. “Questo periodo della pandemia, a livello personale è stato sicuramente difficile”, racconta. “Io non sto mai fermo, sono sempre in movimento.  E trovare all’improvviso così tanto tempo a disposizione è stato strano. A livello lavorativo è stato addirittura traumatico. Perché come sai il mondo della moda è sempre così veloce, e c’è sempre da seguire questi tempi super stretti e stringati. Ed invece ognuno di noi ha avuto sicuramente più tempo per dedicarsi alla riflessione sulla propria linea stilistica. Quindi alla fine è stato comunque un periodo importante perché io mi sono preso questo tempo per studiare, per approfondire, per capire ancora meglio quello che sono come stilista e dove voglio arrivare, cosa voglio esprimere con le mie creazioni". Molti dicevano ne usciremo migliori, secondo te sarà così? Che eredità ci lascia questo periodo? "La collezione che ho presentato a settembre si intitolava ‘essential’. La riflessione più importante che mi ha lasciato è proprio quella di rivalutare cosa è essenziale nella nostra vita. Cosa è veramente importante. Nella collezione ho cercato di trasformare in abiti quello che per me era una riflessione su ciò che serve veramente per trovare un giusto equilibrio nella nostra vita".
Una modella indossa una creazione di Noell Maggini: "Il mio lavoro in passato mi ha portato spesso a vivere in un modo diverso. In questo periodo invece, a causa delle difficoltà che hanno avuto persone della mia comunità, sono tornato ad essere molto più in contatto con loro. A capire e a riflettere su cosa incida negativamente sulla loro esistenza. Ho cercato di aiutare, nel mio piccolo"
Ovvero? "Oggi siamo abituati ad avere tante cose, a stare sempre collegati a qualcosa, per sentirci, come si dice, ‘sempre sul pezzo’, sempre aggiornati. Questo periodo invece di tempo ‘sospeso’ mi ha permesso di riscoprire l’importanza di avere dei rapporti al di là di una tastiera. Ho riscoperto i rapporti familiari. Essere felici con poco. Ho avuto il coronavirus, purtroppo, e dunque ne ho sperimentato sulla mia pelle gli effetti. Dunque l’importanza di abbracciare le persone, il contatto fisico, con i propri amici, i propri familiari. Dire ‘per me sei importante’. E sicuramente ho capito cosa è veramente importante: l’amore fraterno, l’amore familiare.  E dire veramente quello che si pensa. Se ci rifletti, noi siamo molto pronti e molto disposti a dire degli altri tutto il male possibile. Di esternare i pensieri negativi. Non ci pensiamo nemmeno un attimo e lo diciamo spesso lasciando senza parole chi abbiamo di fronte. Quando si tratta invece di dire cose belle, di manifestare i nostri sentimenti positivi, ci pensiamo sempre su, quasi che esternarli metta in luce la nostra sensibilità e dunque ci indebolisca.  E questo pensiero è passato per la mia testa tante volte, in questi mesi. Così ho deciso che è arrivato il momento di spogliarsi dalle paure e cominciare a dire alle persone che amo quello che sento, tranquillamente senza rifletterci. E senza temere che questo mi renda meno forte". In questa riscoperta degli affetti familiari immagino ci sia anche il rapporto con le tue radici sinti, che comunque per te sono state sempre importanti. Ma forse ora ancora di più? "Si assolutamente. Qui ritorniamo al concetto di ‘essenziale’. La mia appartenenza è sempre viva. Ho lasciato che le mie origini uscissero anche nella parte creativa, non ho mai nascosto la mia identità ed anzi gli ho fato libero sfogo. Ma il mio lavoro in passato mi ha portato spesso a vivere in un modo diverso. In questo periodo invece, a causa delle difficoltà che hanno avuto persone della mia comunità, sono tornato ad essere molto più in contatto con loro. A capire e a riflettere su cosa incida negativamente sulla loro esistenza. Ho cercato di aiutare, nel mio piccolo. Di entrare ancora più in comunione con loro. E soprattutto ho riscoperto quanto è forte il concetto di condivisione tra noi. Nonostante ci sia questa cosa di non poter stare insieme, che per noi sinti, per il popolo rom, è un po’ come la kriptonite, però in ogni modo riescono e riusciamo a stare in contatto, a condividere il poco magari che abbiamo". C’è nel mondo dell’arte e della creatività il dibattito sul dover lasciare i messaggi politici e sociali fuori dalla propria attività. Tu cosa ne pensi?
Noell ha dovuto fare i conti con le sue origini anche sul lavoro: "All'inizio non volevo esser visto come un fenomeno sociale, perché volevo che emergesse la mia parte creativa. Poi però mi sono reso conto che alla fine, così facendo, negavo di essere me stesso"
"Inizialmente anch'io avvertivo la paura che esprimersi apertamente potesse snaturare o sminuire il mio lavoro. Dicevo sempre: non voglio esser visto come un fenomeno sociale, perché volevo che emergesse la mia parte creativa. Poi però mi sono reso conto che alla fine, così facendo, negavo di essere me stesso. E quando si interiorizza la ‘negazione’ consapevole o meno della propria identità, si finisce col non essere più autentici. E invece, manifestare senza remore quello che si è, portarlo fuori, nella creatività, nell’arte, secondo me ci rende ancora più credibili, e dunque maggiormente in grado di trasmettere qualcosa attraverso il nostro lavoro. E così ho visto che questo equilibrio negli anni non andava a sacrificare nulla delle mie creazioni, anzi le valorizzava. Quando la tua persona e la tua arte sono così ben definite da mantenete un buon livello, senza contrastarsi l’una con l’altra, allora significa che stai andando nella direzione giusta. La mia appartenenza e la mia parte stilistica non si sono mai combattute. Anzi. Certo il mondo della moda è un po’ diverso, più accessibile anche su terreni delicati come quelli dell’appartenenza a culture altre. Ed in effetti io non ho mai sentito o percepito sentimenti di repulsione o discriminazione nei miei confronti. Ma è comunque importante manifestare quello che si è. Per il pubblico. Per il messaggio che puoi lanciare". Ti esponi in prima persona, ad esempio con l'impegno nell’associazione Kethane: perché? "Kethane è stato il modo per raccontarmi in un modo inclusivo. Non solo per il pubblico, ma soprattutto per i ragazzi sinti e rom, per far capire loro che c’era la possibilità di diventare qualcos’altro. Che c’è la possibilità di realizzare un proprio sogno, abbattendo la discriminazione e non sentirsi confinati in un campo. Questo è quello che sto facendo e voglio fare. In Kethane ritrovo un gruppo di persone che sono vogliose di combattere e dare voce ad un popolo cui è stata da sempre negata la parola. E che è stato, e continua ad essere, il capro espiatorio per tantissime cose. Io mi sento una di queste piccole voci per far si che sinti e rom vengano conosciuti come individui, come persone al pari degli altri". Quali sono i tuoi progetti futuri? Su cosa stai lavorando? "Il mio ultimo progetto è uscito proprio sabato scorso, si chiama ‘night vibes’ vibrazioni notturne, e parla di spensieratezza, e voglia di uscire di riprendersi la vita notturna che il coprifuoco ci han negato. Abbiamo fatto una sfilata digitale durante la notte in una Prato deserta, è stato molto bello molto forte. A livello sociale portare avanti molte tematiche che ci stanno a cuore, A livello stilistico fuoriuscire più forte di prima. Migliorando la comunicazione e la tecnica del mio prodotto".
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