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Home » Spettacolo » Pierluca Mariti lascia il posto fisso per fare l’influencer: “Etichette e stereotipi di genere sono una gabbia”

Pierluca Mariti lascia il posto fisso per fare l’influencer: “Etichette e stereotipi di genere sono una gabbia”

Il comico si racconta a Luce! e presenta il suo spettacolo 'Ho fatto il classico': "Ho lavorato per sette anni come manager in una multinazionale. Poi ho deciso di seguire la mia passione, l'intrattenimento"

Barbara Berti
19 Giugno 2022
Pierluca Mariti

Pierluca Mariti

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“Ho capito che le regole di genere non sono problemi miei, ma di altri. Ho cercato di vederne le possibilità e non i limiti e mi si è aperto un mondo di risorse infinite, esprimendo la mia personalità in tutti i modi possibili”. Parola di Pierluca Mariti aka “Piuttosto_Che“, uno dei comici più amati sul web, dove ha un seguito ben nutrito di follower (la sua pagina Instagram “Piuttosto_Che” conta 192mila follower, poi ci sono anche le community su Telegram a livello nazionale e regionale) e le sue dirette sono ormai leggendarie. Merito anche di una cifra stilistica che gli permette di citare pezzi sacri della nostra cultura smitizzandoli e rileggendoli in chiave ironica. Lo dimostra in pieno il suo spettacolo “Ho fatto il classico” che lo sta portando in giro per l’Italia. Tra le prossime tappe: il 19 giugno a Lucca al Real Collegio, il 23 giugno a Sestri Levante alle Casette Rosse, il 24 giugno al Circolo Magnolia di Milano). Il tour è prodotto dall’associazione culturale WeReading, progetto di letture non convenzionali diffuso in diverse città italiane, che per l’occasione debutta nel campo della produzione dei grandi spettacoli nazionali dal vivo.

Classe 1989, diplomato al classico e giurista pentito, Mariti ha lavorato per sette anni come manager in una multinazionale. Poco prima della pandemia ha deciso di rispolverare la sua mai sopita passione: l’intrattenimento. In breve Mariti è riuscito a creare una community fedelissima che lo segue regolarmente in tutte le sue attività, che sia un twerk sulle sigle dei telegiornali, un balletto improvvisato su una canzone di Britney Spears o un Tell Mama, la rubrica con cui risponde ai dolori d’amore dei suoi fan.

Candidato ai Diversity Media Awards come “miglior creator dell’anno”, nella sua attività sui social, Mariti offre la ricetta del buonumore per raccontare e indagare il cambiamento nella società. Partendo dalla sua prospettiva di trentenne alle prese con la vita quotidiana, @piuttosto_che indaga le relazioni, i diritti e le questioni di genere e la cultura pop attraverso un racconto leggero e ironico, all’occorrenza con la dovuta serietà.

Pierluca Mariti ha lasciato il posto fisso per fare il comico e l’influencer su Instagram

Pierluca, come è possibile lasciare il posto fisso per seguire i propri sogni?

“Non è facile, soprattutto mia mamma non ha vissuto bene questa scelta. Ma io non stavo più bene con me stesso. Già in passato avevo scelto Giurisprudenza per accontentare gli altri, io alla fine del liceo sognavo di fare l’attore: il palco, durante gli spettacoli a scuola, mi dava un grande sensazione di benessere. Stavolta ho deciso di buttarmi”.

Come è nato questo salto nel vuoto?

“Durante la pandemia mi ritrovavo chiuso in casa, a Milano, da solo. Lavoravo ancora per Ikea e i negozi erano ovviamente chiusi. Così per gestire la lontananza con i clienti decidiamo di fare delle dirette su Instagram. Però, prima di far partire questo progetto, scelgo di fare delle prove tramite il mio profilo, giusto per superare le mie paure e ansie. Racconto, con tono ironico, la quotidianità del lockdown. E ci prendo gusto. In poco tempo aumentano i follower e la mia identità online diventa ben chiara. Poi arriva la proposta di WeReading per fare una serie di letture online e io lancio la controproposta: un testo scritto da me. Oggi quel testo è diventato lo spettacolo ‘Ho fatto il classico'”.

Nel suo spettacolo “Ho fatto il classico” Pierluca Mariti combina monologhi comici con momenti di improvvisazione

Di cosa parla lo spettacolo?

“È un reading che combina monologhi comici con momenti di improvvisazione, qualche incursione didattica e fugaci passaggi emotivi. Io ho fatto il classico e in pratica ho studiato storia e personaggi di mille anni fa. Ma dai classici si può leggere l’attualità: Astolfo che recupera il senno dell’Orlando furioso ci ricorda che alla fine la bussola si può ritrovare, Orazio ci racconta come provare a gestire i ritrovati rapporti con persone che magari avremmo voluto evitare, mentre la poetica delle Cose di Montale può aiutarci ad affrontare il senso di precarietà e di smarrimento di questi tempi. E’ uno spettacolo comico, non c’è alcuna pretesa di voler trarre grandi insegnamenti di vita, ma piuttosto la voglia di ridere del presente in un viaggio attraverso le parole del passato. Ovviamente ho un testo di base ma mi piace il dialogo con il pubblico. Per esempio, la rubrica ‘Tell Mama’ la propongo nel finale di spettacolo rispondendo alle domande di cuore che il pubblico scrive sui bigliettini, proprio come si faceva alle assemblee di istituto del liceo”.

Quale è il suo rapporto con il pubblico ‘vero’ e con i fan virtuali?

“Bellissimo in entrambi i casi. Con i follower si è creata una community molto solida, direi una rapporto quasi familiare, un legame vero tanto che queste persone vogliono vedere anche dal vivo questo tizio, io, che fa le rubriche sceme”.

Pierluca Mariti ci racconta: “‘Ho fatto il classico’ è uno spettacolo comico, non c’è alcuna pretesa di voler trarre grandi insegnamenti di vita”

E con gli haters?

“Fortunatamente, finora, non ho mai avuto problemi con gli haters. Una categoria che non capisco: come è possibile aprire un computer o uno smartphone solo per diffondere odio e cattiverie? Comunque, io da questo punto di vista mi ritengo fortunato: ho ricevuto tanto affetto e tanto rispetto. Anche se mi rendo conto che, essendo io maschio, ho comunque una fortuna maggiore, perché sono meno vittima di polemiche e odio”.

La parità di genere e i diritti sono temi che affronta spesso…

“Gli stereotipi di genere possono essere una gabbia. Se questo è evidente per le donne, lo è sicuramente meno per gli uomini: serve una nuova rappresentazione che includa storie di generi alternative, esempi differenti di cosa vuol dire maschile e femminile. Col monologo ‘È da femmina!’ parlo proprio dei dogmi che fin da piccoli ci sentiamo ripetere e di cosa succede se non aderiamo spontaneamente a queste idee, non rientrando quindi nello stampo degli stereotipi di genere”.

Pierluca Mariti: “Quando dissi a mia madre che avevo lasciato il lavoro, lei si preoccupò molto. Mi chiese: ‘E ora che dico quando mi chiedono cosa fai?’. Le risposi: ‘Mamma, a chi lo devi dire, all’Fbi?'”

Parlando di etichette, si sente più influencer o comico?

“Quando mi chiedono cosa faccio rispondo entrambi. Ma credo che le etichette servano più agli altri, non a me. Comunque quando ho lasciato il posto fisso per questa attività, mia mamma, molto preoccupata, mi ha chiesto: ‘E ora che dico quando mi chiedono cosa fai? E io: ‘Mamma, a chi lo devi dire, all’Fbi?'”.

Quali sono i suoi punti di riferimento della comicità?

“Il mio modello è Gigi Proietti con la sua comicità intelligente e popolare. Mi piacciono molto le donne: Michela Giraud, Emanuela Fanelli, Paola Cortellesi, Anna Marchesini, quel tipo di comicità in cui si mescola il monologo brillante all’interpretazione dei personaggi. Ovviamente adoro tutta la famiglia Guizzanti. Attualmente come stand up comedian seguo Edoardo Ferrario, Luca Ravenna, Daniele Tinti, Stefano Rapone. E poi seguo e prendo spunti dalla scuola americana dove sono molto bravi a unire la comicità che va sul palco come stand up comedy, poi a riportarla in programma e serie tv”.

Parteciperebbe a Lol?

“Dopo sei secondi sarei già fuori perché mi farebbero ridere. Ma mai dire mai, anche se sono cresciuto con programmi ‘più classici’ come Zelig e l’ottavo nano”.

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Instagram

  • Stando a quanto dicono gli studiosi, i social network sono portatori malati di ansia e depressione. E, diciamocelo, non servivano studi e numeri per capirlo. I più attrezzati di noi a comprendere le dinamiche social e sociali che si nascondono dietro l’algoritmo di Meta già da tempo avevano compreso che “social sì, ma a piccole dosi”.

Eppure la deriva c’è stata e adesso distinguere il virtuale dal reale, l’immagine dallo schermo, il like dall’affetto sembra essere diventata un’operazione assai difficile.

Il senso di inadeguatezza delle persone di ogni età sta dilagando. Pare che il meccanismo sia più o meno questo: l’erba del vicino – di account – è sempre più verde. 

Che poi nella realtà non è così poco importante. A importare è ciò che appare, non ciò che è, tanto da ridurre il dilemma “essere o non essere” a coltissimo equivoco elitario. Cogito ergo sum un po’ poco, verrebbe da dire, se non fosse che la faccenda è seria e grave. 

Lo stress da social è reale e affligge grandi e piccini, senza distinzione di ceto. Una vera e propria sofferenza psicologica che tende a minare le fondamenta dell’intera società. Tra il 2003 e il 2018, i casi di ansia hanno registrato numeri da record, così come quelli di depressione, autolesionismo e problemi di alimentazione. Questo basti per capire che limitarsi a catalogare il problema come questione minore è sbagliato e pericoloso.

Complice il recente lockdown, la corsa verso la psicosocialpatologia ha accelerato il passo. L’unica soluzione a portata di mano, seppur temporanea, è prendersi una pausa dai social e uscire dalla bolla, come Selena Gomez insegna. 

Vivere la vita vera, in Logout, fatta di persone in carne e ossa che di perfetto hanno poco o nulla e che combattono ogni giorno per cercare di assomigliare a ciò che vorrebbero essere. 

E tu quanto tempo passi sui social? 📲

Di Margherita Ambrogetti Damiani ✍

#lucenews #lucelanazione #socialout #viverelavita #nofilter #autoconsapevolezza #stressdasocial #socialdetox
  • Ad appena 3 anni e mezzo, Vincenzo comunica ai genitori il desiderio di indossare vestiti e gonne. Alla richiesta viene inizialmente, quanto inevitabilmente, dato poco peso, come se fosse un gioco… 

Ma 6 anni e mezzo dopo Vincenzo fa un coming out più deciso, chiede di potersi chiamare Emma e di indossare un costume femminile alle lezioni di danza, che condivide con le due sorelle maggiori. Pochi giorni fa, grazie anche alla comprensione e disponibilità della sua insegnante di danza, ha vissuto il suo momento di gloria, esibendosi in un saggio-spettacolo di fine anno costruito su misura, con una coreografia che racconta la sua storia.

La danza, si sa, può essere di grande aiuto per costruire la propria identità, perché è prima di tutto libertà di espressione. 

“Gli anni di pandemia sono stati decisivi per mia figlia. La riflessione è diventata sempre più profonda e, con sofferenza, lo scorso ottobre, è riuscita a parlarci di ciò che davvero le stava a cuore. Le prime sostenitrici sono state proprio le sorelle, più aperte e predisposte mentalmente su questa tematica. Noi genitori ancora pensavano a una latente omosessualità, ma non era così: per nostra figlia la propria identità di genere non coincideva con il sesso assegnatole alla nascita”.

I primi tempi non sono stati facili, per certi aspetti è stato come elaborare un lutto perché Emma volava cancellare tutto il suo passato, buttando via foto e vestiti. La sua è stata una rinascita vera e propria, il suo “no" al nome, al genere maschile, è ormai definitivo. 

A scuola, ha chiesto e ottenuto di potersi chiamare Emma, così come in società. Fondamentale è stato il supporto della famiglia che, a un certo punto, ha capito che non si trattava di un gioco, malgrado la giovanissima età.

“A chi tuttora continua a ripeterci che avremmo dovuto insistere e iscriverla a calcio, dico con fermezza: i figli vanno ascoltati, è giusto che vivano la loro vita, quella più congeniale al loro sentire, perché tutti meritiamo di essere felici”.

Di Roberta Bezzi ✍

#lucenews #lucelanazione #bologna #emma #transgender #transrights
  • “Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. 

Ma se Andrea Pinna, apprezzato per i suoi aforismi taglienti, “né bello né ricco” come dice lui, è diventato uno degli influencer più originali del web, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e ha intrapreso un percorso di cura.

Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. 

"Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che a distanza di anni gli verrà diagnosticato come bipolarismo. 

"Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. Avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi”.

Sul suo profilo Instagram @leperledipinna ha deciso di portare avanti due battaglie: quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E attraverso le dirette Instagram di psicoterapinna "racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

La storia di chi ha trovato il coraggio di affrontare il bipolarismo e ha saputo rendere i social un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

L
  • "L’autismo è un fenomeno che riguarda sì, in primo luogo gli autistici e le loro famiglie, ma anche la società in generale. Un nato o nata ogni 70/80 rientra nello spettro autistico ormai ed è quindi bene che anche i cosiddetti neuro tipici sappiano di cosa si parla”.

Dopo la standing ovation ricevuta lo scorso 2 aprile al Cinema La Compagnia di Firenze e il fortunato tour avviato nei cinema e nei teatri della Toscana, il documentario “I mille cancelli di Filippo” sarà nuovamente proiettato lunedì 27 giugno alle 21, nella Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Al centro della narrazione il figlio del noto autore Enrico Zoi, il giovane Filippo, colpito da spettro autistico.

Con la delicatezza e la magia tipica di uno scrittore che, prima di tutto, è un babbo amorevole, Enrico – insieme a sua moglie Raffaella Braghieri – apre una volta ancora le porte della sua casa per raccontare al mondo la realtà speciale della sua famiglia.

E il consiglio per i genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di autismo sul proprio bambino sarebbe quello di "non chiudersi, di non chiedersi perché, di guardare al mondo esterno, di aprirsi. Chiudersi non serve a niente, anzi… è un po’ come una partita di calcio: se non scendi in campo la perdi a tavolino, se invece accetti il confronto te la puoi giocare!”.

Di Caterina Ceccuti ✍

#lucenews #lucelanazione #enricozoi #imillecancellidifilippo #firenze #autismo #autismawareness
"Ho capito che le regole di genere non sono problemi miei, ma di altri. Ho cercato di vederne le possibilità e non i limiti e mi si è aperto un mondo di risorse infinite, esprimendo la mia personalità in tutti i modi possibili". Parola di Pierluca Mariti aka "Piuttosto_Che", uno dei comici più amati sul web, dove ha un seguito ben nutrito di follower (la sua pagina Instagram "Piuttosto_Che" conta 192mila follower, poi ci sono anche le community su Telegram a livello nazionale e regionale) e le sue dirette sono ormai leggendarie. Merito anche di una cifra stilistica che gli permette di citare pezzi sacri della nostra cultura smitizzandoli e rileggendoli in chiave ironica. Lo dimostra in pieno il suo spettacolo “Ho fatto il classico” che lo sta portando in giro per l’Italia. Tra le prossime tappe: il 19 giugno a Lucca al Real Collegio, il 23 giugno a Sestri Levante alle Casette Rosse, il 24 giugno al Circolo Magnolia di Milano). Il tour è prodotto dall’associazione culturale WeReading, progetto di letture non convenzionali diffuso in diverse città italiane, che per l’occasione debutta nel campo della produzione dei grandi spettacoli nazionali dal vivo. Classe 1989, diplomato al classico e giurista pentito, Mariti ha lavorato per sette anni come manager in una multinazionale. Poco prima della pandemia ha deciso di rispolverare la sua mai sopita passione: l'intrattenimento. In breve Mariti è riuscito a creare una community fedelissima che lo segue regolarmente in tutte le sue attività, che sia un twerk sulle sigle dei telegiornali, un balletto improvvisato su una canzone di Britney Spears o un Tell Mama, la rubrica con cui risponde ai dolori d'amore dei suoi fan. Candidato ai Diversity Media Awards come “miglior creator dell’anno”, nella sua attività sui social, Mariti offre la ricetta del buonumore per raccontare e indagare il cambiamento nella società. Partendo dalla sua prospettiva di trentenne alle prese con la vita quotidiana, @piuttosto_che indaga le relazioni, i diritti e le questioni di genere e la cultura pop attraverso un racconto leggero e ironico, all’occorrenza con la dovuta serietà.
Pierluca Mariti ha lasciato il posto fisso per fare il comico e l'influencer su Instagram
Pierluca, come è possibile lasciare il posto fisso per seguire i propri sogni? "Non è facile, soprattutto mia mamma non ha vissuto bene questa scelta. Ma io non stavo più bene con me stesso. Già in passato avevo scelto Giurisprudenza per accontentare gli altri, io alla fine del liceo sognavo di fare l'attore: il palco, durante gli spettacoli a scuola, mi dava un grande sensazione di benessere. Stavolta ho deciso di buttarmi". Come è nato questo salto nel vuoto? "Durante la pandemia mi ritrovavo chiuso in casa, a Milano, da solo. Lavoravo ancora per Ikea e i negozi erano ovviamente chiusi. Così per gestire la lontananza con i clienti decidiamo di fare delle dirette su Instagram. Però, prima di far partire questo progetto, scelgo di fare delle prove tramite il mio profilo, giusto per superare le mie paure e ansie. Racconto, con tono ironico, la quotidianità del lockdown. E ci prendo gusto. In poco tempo aumentano i follower e la mia identità online diventa ben chiara. Poi arriva la proposta di WeReading per fare una serie di letture online e io lancio la controproposta: un testo scritto da me. Oggi quel testo è diventato lo spettacolo 'Ho fatto il classico'".
Nel suo spettacolo "Ho fatto il classico" Pierluca Mariti combina monologhi comici con momenti di improvvisazione
Di cosa parla lo spettacolo? "È un reading che combina monologhi comici con momenti di improvvisazione, qualche incursione didattica e fugaci passaggi emotivi. Io ho fatto il classico e in pratica ho studiato storia e personaggi di mille anni fa. Ma dai classici si può leggere l'attualità: Astolfo che recupera il senno dell’Orlando furioso ci ricorda che alla fine la bussola si può ritrovare, Orazio ci racconta come provare a gestire i ritrovati rapporti con persone che magari avremmo voluto evitare, mentre la poetica delle Cose di Montale può aiutarci ad affrontare il senso di precarietà e di smarrimento di questi tempi. E' uno spettacolo comico, non c'è alcuna pretesa di voler trarre grandi insegnamenti di vita, ma piuttosto la voglia di ridere del presente in un viaggio attraverso le parole del passato. Ovviamente ho un testo di base ma mi piace il dialogo con il pubblico. Per esempio, la rubrica 'Tell Mama' la propongo nel finale di spettacolo rispondendo alle domande di cuore che il pubblico scrive sui bigliettini, proprio come si faceva alle assemblee di istituto del liceo". Quale è il suo rapporto con il pubblico 'vero' e con i fan virtuali? "Bellissimo in entrambi i casi. Con i follower si è creata una community molto solida, direi una rapporto quasi familiare, un legame vero tanto che queste persone vogliono vedere anche dal vivo questo tizio, io, che fa le rubriche sceme".
Pierluca Mariti ci racconta: "'Ho fatto il classico' è uno spettacolo comico, non c'è alcuna pretesa di voler trarre grandi insegnamenti di vita"
E con gli haters? "Fortunatamente, finora, non ho mai avuto problemi con gli haters. Una categoria che non capisco: come è possibile aprire un computer o uno smartphone solo per diffondere odio e cattiverie? Comunque, io da questo punto di vista mi ritengo fortunato: ho ricevuto tanto affetto e tanto rispetto. Anche se mi rendo conto che, essendo io maschio, ho comunque una fortuna maggiore, perché sono meno vittima di polemiche e odio". La parità di genere e i diritti sono temi che affronta spesso... "Gli stereotipi di genere possono essere una gabbia. Se questo è evidente per le donne, lo è sicuramente meno per gli uomini: serve una nuova rappresentazione che includa storie di generi alternative, esempi differenti di cosa vuol dire maschile e femminile. Col monologo 'È da femmina!' parlo proprio dei dogmi che fin da piccoli ci sentiamo ripetere e di cosa succede se non aderiamo spontaneamente a queste idee, non rientrando quindi nello stampo degli stereotipi di genere".
Pierluca Mariti: "Quando dissi a mia madre che avevo lasciato il lavoro, lei si preoccupò molto. Mi chiese: 'E ora che dico quando mi chiedono cosa fai?'. Le risposi: 'Mamma, a chi lo devi dire, all'Fbi?'"
Parlando di etichette, si sente più influencer o comico? "Quando mi chiedono cosa faccio rispondo entrambi. Ma credo che le etichette servano più agli altri, non a me. Comunque quando ho lasciato il posto fisso per questa attività, mia mamma, molto preoccupata, mi ha chiesto: 'E ora che dico quando mi chiedono cosa fai? E io: 'Mamma, a chi lo devi dire, all'Fbi?'". Quali sono i suoi punti di riferimento della comicità? "Il mio modello è Gigi Proietti con la sua comicità intelligente e popolare. Mi piacciono molto le donne: Michela Giraud, Emanuela Fanelli, Paola Cortellesi, Anna Marchesini, quel tipo di comicità in cui si mescola il monologo brillante all'interpretazione dei personaggi. Ovviamente adoro tutta la famiglia Guizzanti. Attualmente come stand up comedian seguo Edoardo Ferrario, Luca Ravenna, Daniele Tinti, Stefano Rapone. E poi seguo e prendo spunti dalla scuola americana dove sono molto bravi a unire la comicità che va sul palco come stand up comedy, poi a riportarla in programma e serie tv". Parteciperebbe a Lol? "Dopo sei secondi sarei già fuori perché mi farebbero ridere. Ma mai dire mai, anche se sono cresciuto con programmi 'più classici' come Zelig e l'ottavo nano".
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