Intimo, sferzante, politicamente scorretto, autobiografico, visionario, inclusivo. "Sonnambuli, se c’è un rigore lo tiro io" è lo spettacolo della compagnia Mayor Von Frinzius, composta da attori disabili e normodotati diretta da Lamberto Giannini, che domenica 11 settembre ha emozionato la gremitissima piazza dei Cavalieri a Pisa. Inserito nella rassegna "Summer Knights", promossa dal Comune in collaborazione con la Fondazione Teatro di Pisa e organizzata da Leg, è andato in scena con il sostegno di Fondazione Pisa e Fondazione Dopo di noi. Presenti, tra gli altri, il sindaco Michele Conti, l’arcivescovo di Pisa, monsignor Giovanni Paolo Benotto, il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, il vicesindaco Raffaella Bonsangue e la presidente della Fondazione Teatro di Pisa, Patrizia Paoletti Tangheroni.
"È stata una bella serata - ha commentato il presidente della Fondazione Dopo di noi, Francesco Barachini - e sono contento anche per aver visto una grande partecipazione di pubblico. Bello lo spettacolo, intenso e capace di esprimere un'idea forte di inclusione, che è il messaggio più importante da trasmettere". Stefano Del Corso, presidente della Fondazione Pisa, ha ricordato l'impegno "nel sociale ai numerosi progetti che arrivano dal territorio, ma anche sostenendone direttamente due: la Fondazione Dopo di Noi, con il centro semiresidenziale per disabili le Vele, e la Fondazione l’isola dei Girasoli".
"Sonnambuli" è un viaggio a ritroso nel tempo. Anzi uno spazio senza tempo di un non luogo interiore un po’ immaginato e un po’ vissuto da Giannini, nel quale il regista e i suoi attori mettono in scena l’esistenza di ciascuno sferzando i vizi del costume contemporaneo e prendendo a schiaffi con battute al vetriolo i vizi della nostra società tra dipendenza da social e ipocrisia buonista. Il risultato è inclusione vera. Autentica condivisione, non solo tra attori disabili e normodotati, ma anche tra i protagonisti stessi della commedia (per lunghi tratti malinconica) e il pubblico. Un 'melting pot' di suggestioni ed emozioni che parla di disabilità, politica, condizione femminile e immigrazione. E lo fa senza indulgenza. "Questo spettacolo - è la frase conclusiva del testo teatrale - nasce perché da piccolo ero sonnambulo. Ho passato tutta la vita a cercare di dimenticare quella notte e ora non riesco a raccontarla". A 60 anni (i suoi) e alla 500esima recita della compagnia è anche una sorta di bilancio dell’esistenza e dell’esistente. Il gran ballo finale è la metafora che ciascuno può dare all’esperienza appena vissuta. Rumore, colore, caos di cuori e menti contrapposti al buio e alle paure di ciascuno. E' di nuovo giorno. Un altro giorno. E non importa quante altre mattine ci saranno ancora. Siamo vivi.
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